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Gender Fluid: Camilla e L., storia di una crescita anticonvenzionale

Camilla Vivian è la madre di L. nonché autrice del blog Mio figlio in rosa. Davanti al vuoto sociale e sanitario sul tema, ha iniziato a studiare e ha capito che i primi a cambiare devono essere gli altri 

Camilla Vivian è la madre di L. nonché autrice del blog Mio figlio in rosa. Davanti al vuoto sociale e sanitario sul tema, ha iniziato a studiare e ha capito che i primi a cambiare devono essere gli altri 

"Non è la persona non conforme che deve adeguarsi per proteggersi, non sono io madre che devo conformare mio figlio perché altrimenti lo espongo a sofferenza certa. Ma sono gli altri che devono imparare a conoscere, capire e accettare". Già da queste poche parole si capisce subito il mondo in cui vive Camilla Vivian, mamma di L. e autrice del blog "Mio figlio in rosa": non solo non è una donna che si nasconde, ma è anche una combattente pronta a conoscere ed essere al fianco di suo figlio.

L. oggi ha 9 anni: nato maschio, si è sempre sentito anche una femmina. Porta i capelli lunghi, gli piacciono i vestiti svasati. Quando era piccolo non si separava mai da un vestitino a nido d'ape con cui gli piaceva fare le giravolte.

"Noi adulti abbiamo bisogno di far rientrare la cosa in un'etichetta di qualche tipo - dice Camilla -. Mentre ognuno di questi bambini e adulti è un caso a sé, come ognuno di noi".

L. è un bambino con uno sviluppo atipico dell’identità di genere, aspetto della natura umana dalle mille sfaccettature. Alcuni bambini fin da piccolissimi sentono di appartenere al sesso opposto a quello in cui sono nati. Altri rifiutano categoricamente gli stereotipi di genere che imporrebbero loro di apparire semplicemente maschi o femmine. Altri ancora fluttuano con nonchalance tra il maschile e il femminile.

All’estero, a tutti quei bambini che per un periodo abbastanza lungo, sostengono in maniera costante, persistente e insistente di appartenere al sesso opposto viene fatta fare una terapia di transizione e li si fa vivere nel genere a cui si sentono di appartenere. In Italia, invece, gli psicologi sconsigliano la transizione sociale.

Infatti è in atto un dibattito tra chi sostiene che la transizione sia assolutamente liberatoria per i bambini e chi invece crede che questi bambini debbano restare in una sorta di limbo barcamenandosi tra genere fisico e psichico fino alla pubertà. Il motivo? Secondo gli esperti anche una transizione al contrario può essere psicologicamente difficile.

Io personalmente, da non esperta ma da semplice mamma, credo che ogni caso vada valutato singolarmente per capire quale sia la soluzione migliore per quello specifico bambino e rimanendo, noi genitori, sempre aperti e accoglienti di fronte a qualsiasi ulteriore cambiamento futuro”.

Nel caso specifico, L. è andato da uno psicologo per un percorso di valutazione di disforia di genere (che letteralmente vuol dire “mal sopportazione del proprio genere biologico”), ma la specialista ha detto che non c'erano le condizioni. "Secondo lui L. aveva solo una forte personalità, lo ha definito un anticonformista". Ma L., una volta a casa, riprende i propri comportamenti, gioca con le bambole e non vuole saperne niente delle "cose da maschio”.

Ora che conosco meglio cosa vuol dire essere transgender, capisco meglio quella valutazione che al momento non mi era sembrata soddisfacente. Io rimanevo comunque attaccata al sistema binario: se mio figlio non era maschio allora doveva essere femmina. Invece no! Ora so che in mezzo ci sono una serie infinita di possibilità. Tra cui anche L.”.

"Gli altri Paesi" hanno salvato Camilla, che ha altri due figli, dalla confusione. Oggi legge qualsiasi cosa sul tema, come ad esempio i libri di Margaret Mead, un'antropologa che ha studiato la crescita non binaria dei bambini in alcuni stati del Pacifico. Così ha deciso di condividere la sua esperienza e le sue scoperte sul tema tramite “Mio figlio in Rosa”.

"Vedo che la nostra esperienza dà ispirazione - racconta Camilla -. Ho perso delle amiche perché non accettano questa situazione e pensano che sia colpa mia. Il blog è un modo per parlare della questione, può portare altri bambini a sentirsi come tutti gli altri, anche se secondo me hanno una marcia in più. Nelle culture in cui esiste un terzo o un quarto genere, vengono considerati anche illuminati perché sono molto più sensibili degli altri".

La parola tolleranza non dà sensazioni positive a Camilla. "Se penso che una persona mi tollera, già mi sta antipatico -. dice - Se mi si vuole bene e mi si accetta per quello che sono, è meglio. Ma per accettare gli altri bisogna conoscere, difficilmente si può accettare. Ciò che non conosciamo ci fa paura".

Ecco il motivo di uno studio intenso, di relazioni con mamme d'oltreoceano che le hanno spiegato che i bambini a 3 anni hanno il momento di picco di consapevolezza della propria identità. "Se in quel momento ti dicono che si sentono in un certo modo, probabilmente è quella la loro natura".

Camilla non si è mai preoccupata della "situazione" di L. Era come quando le bambine fanno i maschiacci. Oggi attorno a “Mio Figlio in Rosa” si riuniscono tante storie, persone che le scrivono "vorrei una mamma come te"o "per fortuna esiste il tuo blog".

Per questo, Camilla sta per trasformarlo anche in un'associazione che si muova in prima linea sul tema dell’identità di genere. L'obiettivo è diffondere la cultura e la conoscenza della sessualità fluida, della disforia di genere, delle identità di genere atipiche, ma anche formare gli insegnanti e gli operatori che possano applicare i principi di integrazione e accettazione.

Infine, l'associazione organizzerà anche dibattiti, convegni e si occuperà anche di pubblicare libri, quelli che oggi mancano in Italia e che potranno un giorno diventare una bussola per bambini e genitori.