Amore
Amore

5 indimenticabili poesie d'amore di Eugenio Montale

Il poeta del male di vivere ci ha regalato anche bellissime poesie d’amore: eccone 5 che dovresti conoscere. 

Il poeta del male di vivere ci ha regalato anche bellissime poesie d’amore: eccone 5 che dovresti conoscere. 

Nato a Genova nel 1896 e morto a Milano nel 1981, Eugenio Montale è stato uno dei più grandi scrittori italiani nel Novecento, Premio Nobel per la letteratura nel 1975. La sensibilità artistica di Montale, che lo portava a recepire le influenze culturali del suo tempo, come una spugna in grado di interpretare e rielaborare, si manifesta in modo tangibile in tutte le sue liriche.

Definito spesso il “poeta della disperazione”, ha narrato il suo dolore esistenziale attraverso le sue poesie: la negatività di Montale si aggancia al bisogno di trovare positività nel mondo, una speranza alla quale aggrapparsi, un varco per sfuggire da sé stessi e dal proprio isolamento.

Le sue emozioni sono state così sublimate in versi: nonostante vivere sia per lui "seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”, citando i versi della poesia Meriggiare pallido e assorto, tra gli scritti di Montale troviamo anche alcune poesie d’amore che meritano di essere ricordate.

Se sei alla ricerca di poesie famose sull’amore, allora devi assolutamente leggere le frasi di Neruda o le frasi di Osho che parlano di questo sentimento così profondo.

Poesie d’amore di Eugenio Montale: Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

La poesia d’amore di Eugenio Montale più bella in assoluto è stata dedicata all’amore della sua vita, la moglie Drusilla Tanzi. La delicatezza dei versi, contenuti nella raccolta Xenia II uscita nel 1967, avvolge il cuore e lo fascia con la potenza di un sentimento in grado di sopravvivere alla decadenza dei corpi e alla caducità della vita.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Poesie d’amore di Eugenio Montale: Ripenso il tuo sorriso

Ripenso il tuo sorriso è una poesia contenuta nella raccolta Ossi di seppia. Montale la dedica a uno amico, il cui ricordo si manifesta come consolazione e acqua limpida nel grigiore dell’esistenza.

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpidascorta per avventura tra le petraie d’un greto,

esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi;

e su tutto l’abbraccio di un bianco cielo quieto.

Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano,

se dal tuo volto s’esprime libera un’anima ingenua,

o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua

e recano il loro soffrire con sé come un talismano.

Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie

sommerge i crucci estrosi in un’ondata di calma,

e che il tuo aspetto si insinua nella mia memoria grigia

schietto come la cima di una giovinetta palma…

Poesie d’amore di Eugenio Montale: Morgana

Eugenio Montale ebbe una visione fortemente idealizzata dell’amore: la sua concezione della donna ricorda la tradizione del dolce stil novo e della donna angelo. La poesia Morgana è l’ultima della raccolta Quaderno di quattro anni, pubblicata nel 1977.

Non so immaginare come la tua giovinezza

si sia prolungata

di tanto tempo (e quale!).

Mi avevano accusato

di abbandonare il branco

quasi ch’io mi sentissi

illustre, ex gregis o che diavolo altro.

Invece avevo detto soltanto revenons

à nos moutons (non pecore però)

ma la torma pensò

che la sventura di appartenere a un multiplo

fosse indizio di un’anima distorta

e di un cuore senza pietà.

Ahimè figlia adorata, vera mia

Regina della Notte, mia Cordelia,

mia Brunilde, mia rondine alle prime luci,

mia baby-sitter se il cervello vàgoli,

mia spada e scudo,

ahimè come si perdono le piste

tracciate al nostro passo

dai Mani che ci vegliarono, i più efferati

che mai fossero a guardia di due umani.

Hanno detto hanno scritto che ci mancò la fede.

Forse ne abbiamo avuto un surrogato.

La fede è un’altra. Così fu detto ma

non è detto che il detto sia sicuro.

Forse sarebbe bastata quella della Catastrofe,

ma non per te che uscivi per ritornarvi

dal grembo degli Dei.

Poesie d’amore di Eugenio Montale: La belle dame sans merci

Poesia contenuta nella raccolta Satura, del 1971: Montale narra di come laddove una volta ardeva una fiamma, adesso c’è il gelo. La sua poesia ha quel sottofondo di malinconia che accompagna chi vive con la nostalgia per le cose che ha perso.

Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano
le briciole di pale che io gettavo
sul tuo balcone perché tu sentissi
anche chiusa nel sonno le loro strida.
Oggi manchiamo all’appuntamento tutti e due
e il nostro breakfast gela tra cataste
per me di libri inutili e per te di reliquie
che non so: calendari, astucci, fiale e creme.
Stupefacente il tuo volto s’ostina ancora, stagliato
sui fondali di calce del mattino;
ma una vita senz’ali non lo raggiunge e il suo fuoco
soffocato è il bagliore dell’accendino

Poesie per lui e per lei: Lo sai debbo riperderti e non posso

La poesia Lo sai debbo riperderti e non posso, contenuta nella raccolta Le occasioni, è dedicata a una delle figure femminili più ricorrenti nella poetica montaliana: Clizia. Si trattò molto probabilmente dello pseudonimo utilizzato per indicare Irma Brandeis, ma nei versi di Montale Clizia divenne un simbolo di rinascita, la vita d’uscita per liberarsi del buio che offusca ogni giorno.

Lo sai: debbo riperderti e non posso.
Come un tiro aggiustato mi sommuove
ogni opera, ogni grido e anche lo spiro
salino che straripa
dai moli e fa l’oscura primavera
di Sottoripa.
Paese di ferrame e alberature
a selva nella polvere del vespro.
Un ronzio lungo viene dall’aperto,
strazia com’unghia i vetri. Cerco il segno
smarrito, il pegno solo ch’ebbi in grazia
da te.
E l’inferno è certo.