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Alessandra Sardoni: «Sono i virologi i nuovi protagonisti della scena televisiva»

La giornalista parlamentare Alessandra Sardoni racconta a DeAbyDay come cambia il giornalismo televisivo ai tempi del coronavirus.

La giornalista parlamentare Alessandra Sardoni racconta a DeAbyDay come cambia il giornalismo televisivo ai tempi del coronavirus.

Conduce il talk del mattino “Omnibus” su La7, ma la grande popolarità è arrivata come inviata di Enrico Mentana durante le famose maratone elettorali: Alessandra Sardoni, icona indiscussa dell'informazione su La7, è una delle giornaliste televisive più popolari e amate.

Proprio in questi giorni Alessandra Sardoni sta raccontando ai telespettatori di La7 la crisi del secondo governo Conte nelle famosissime maratone di Enrico Mentana direttamente da Palazzo Madama. Rigorosamente in diretta e con il telefono sempre in mano, dal quale filtrano le indiscrezioni dalle fonti di palazzo, la Sardoni con il suo straordinario aplomb, sta illustrando ai telespettatori italiani i risvolti di questa crisi politica inaspettata attuata dal gruppo parlamentare di Italia Viva e dal suo leader Matteo Renzi.

Poco prima dell'estate ci aveva raccontato in un' intervista esclusiva come ha vissuto il lockdown e quali impatti ha avuto sulla sua professione. E' stata anche l'occasione per capire con lei come lavora una giornalista televisiva inviata in prima linea dai luoghi della politica, durante le giornate calde dell'informazione.  

Alessandra, come sta vivendo questa situazione? Come sono cambiati la sua vita e il suo lavoro?
«La vita è cambiata come quella di tutti perché si sta molto in casa anche se io in particolare ho continuato a lavorare sempre con degli accorgimenti che sono stati presi da LA7, dallo studio, perché faccio la trasmissione Omnibus con un solo ospite in studio ben distanziato e collegamenti Skype e questo già fa la differenza per un talk che è un talk di parola e quindi di chimica che si crea tra persone sedute allo stesso tavolo. Lavoro anche per il telegiornale e lì sono stati fatti dei turni più rigidi sul lavoro che, come in tutte le redazioni, ha bisogno di contatto e di scambio. Anche questo è stato un cambiamento perché io passavo tantissime ore tra redazione e Camera dei Deputati e invece una parte del lavoro ora ho dovuto svolgerla più da casa. Rispetto ad altre persone comunque la mia vita è cambiata meno. Quello che è veramente cambiata è la percezione del contesto, la città deserta, il contesto angosciante in cui viviamo con la preoccupazione delle persone malate che non puo’ non segnare il nostro lavoro».

Il coronavirus ha cambiato in qualche modo la lista delle sue priorità personali?
«No, la lista delle priorità inteso come scale valoriali no, sono le stesse. Non serve questo tipo di pandemia per capire che le amicizie, i sentimenti o la salute o il rapporto con il prossimo hanno un’importanza in una scala diversa. Non credo neanche alla teoria che questa cosa ci renderà migliori. Se devo pensare ad un impatto di questo tipo, forse questo avverrà più sui giovani. Penso che per loro ci sia un’occasione di maggiore responsabilizzazione e maggiore partecipazione rispetto a quello che accade intorno a loro. Per chi ha la mia età spero che le scale valoriali fossero già chiare prima!»

Quali sono secondo lei le principali criticità che questa pandemia ha messo in evidenza nella nostra società? 
«Intanto una percezione ancora maggiore delle disuguaglianze. Anche nella pandemia ci sono delle disuguaglianze che emergono sia nel rapporto con le strutture sanitarie che nell’emergenza economica. Ma anche nella vita quotidiana. Un conto è essere chiusi in una casa ricca di facilitazioni e disponibilità economiche (con ad esempio la possibilità di ordinare le cene con i servizi di delivery a domicilio), un contro stare in altri tipi di case. C’è un tema di disuguaglianza, sicuramente evidente. C’è anche la sensazione che quello che fai puo’ essere molto dannoso per gli altri e quindi proteggendo gli altri proteggi anche te stesso. C’è una maggiore attenzione agli affetti e al modo di relazionarsi con gli altri. Questa puo’ essere un’occasione di riflessione che puo’ forse distoglierci da una deriva narcisistica che è il marchio della società contemporanea di oggi e che pero’ non so quanto questa pandemia risolva. Forse avere la propria salute al centro dei pensieri ancora una volta significa mettere sè stessi al centro…»

Cosa di quello che è stato prima dell’emergenza coronavirus ci consentirà di ripartire? O dovremo riprogettare tutto da zero?
«Spero che si facciano i conti, ma purtroppo non ho segnali in questa direzione. Sarebbe bello se noi facessimo i conti anche con le responsabilità pregresse. Non in termini ovviamente di espiazione o punizioni, assolutamente. Per esempio, la questione del debito. Se noi ci fossimo trovati di fronte alla pandemia, un evento impensabile e non considerato prima, con l’emergenza economica che c’è e che diventerà sempre più grave con un debito pubblico e delle politiche economiche che avessero fatto tesoro della ripresa che c’era, non ci troveremmo in una situazione cosi grave e potremmo fare ad esempio quello che ha fatto la Germania o che hanno fatto altri paesi più virtuosi. Spero che questo ci serva a capire che non si puo’ ragionare solo sul giorno per giorno e sui continui test elettorali e su una propaganda e una comunicazione politica dominante sulla politica. Serve anche una programmazione sul medio e lungo termine altrimenti non se ne vede la fine.»

Quali sono le nuove abitudini che il lockdown ha introdotto nella sua vita e che intende mantenere?
«A parte fare maggiori lavori in casa, che spero di fare meno più avanti direi di no! Mi piace avere i miei momenti solitari in casa, ma sono una persona abituata a uscire, a camminare, a vedere gli amici. Sinceramente mi auguro di tornare presto alla normalità sapendo che non sarà la stessa normalità. E’ come se stessimo vivendo una sospensione. Mi manca tutto sinceramente. Mi mancano i concerti, mi manca il teatro, le cose che fanno parte della vita! Mi mancano gli amici, ci sono “gli zoom” ma non è la stessa cosa!»

Quali sono gli impatti che il coronavirus porterà sull’informazione secondo lei? Cosa cambierà? Nell’agenda dei giornali e dei telegiornali. E soprattutto cosa è già cambiato?
«Sono venute intanto alla ribalta nuove figure professionali, cioè i medici! I virologi sono nuovi personaggi sulla scena televisiva. Questo è sicuramente un cambiamento. La costruzione delle puntate di tutti i talk, compreso quello che conduco io al mattino, subiscono l’impatto di queste nuove presenze oltre alla necessità di andare di più alle cose essenziali, anche nella politica. Distinguerei poi due fasi anche nell’informazione televisiva: c’è stata una fase uno e c’è ora una fase due che è questa in cui bisogna raccontare la dimensione della conflittualità politica nella scrittura del “decreto rilancio” che contiene tutta la politica economica di questa crisi. Distinguerei bene queste fasi, nella prima fase c’è stata una sospensione e sembrava quasi insopportabile anche una minima critica al governo che è sempre una cosa negativa. Credo che anche durante le emergenze un po’ di spirito critico serva. E’ stato brutto vedere una parte della stampa che criticava l’altra: chi criticava il Governo, veniva aggredito! Abbiamo scontato un po’ le caratteristiche negative dell’informazione, pero’ devo dire che sono venute fuori anche tante figure di colleghi bravi che sono andati a guadare quello che non si era visto, ad Alzano ad esempio o a Nembro hanno fatto luce sulla situazione delle RSA, soprattutto al Nord. Dei veli sono stati sollevati e l’informazione si è rivelata molto importante soprattutto nella dimensione della cronaca e del racconto di quello che stava accadendo. Secondo me adesso tocca al giornalismo politico ed economico raccontare quello che succede e spero con uno spirito libero di criticare.»

In futuro cosa succederà? Il Coronavirus rimarrà come tema dei talk show e dell’informazione a lungo?
«Bisognerà vedere come andrà il contagio, se sarà ridotto al minimo o se ci sarà la necessità di un nuovo lockdown, tutto questo è ancora imprevedibile. Secondo me riapriamo senza un vero piano sanitario chiaro e senza una politica nazionale costruita, senza una infrastruttura come l’ha chiamata l’epidemiologo Vespignani delle “tre t” (tracciamento, test e tamponi e terapia) e se ci dovesse essere un nuovo lockdown l’informazione tornerà a parlare di quello. Se invece ci sarà una vera ripresa con contagi al minimo e ci potremo concentrare sull’emergenza economica e quindi sulle conseguenze per curare la grande crisi, allora certamente il tema sarà quello.»

Chiudo con una nota di colore. So che ha un ruolo al Quirinale ed è stata Presidente della stampa parlamentare. Lo è tutt’ora?
«Lo sono stata per un mandato, per tre anni. Da diversi anni, da due mandati, non lo sono più, sono una giornalista parlamentare e sono molto preoccupata in questa fase perché per la prima volta in questi giorni hanno chiuso il Transatlantico ai giornalisti. E’ una cosa che non è mai accaduta, che hanno provato a fare tanti politici di destra e di sinistra, una cosa che non era mai riuscita e questa volta riesce perché c’è l’emergenza Coronavirus e il presidente della Camera, i questori e i capigruppo hanno deciso di utilizzare il transatlantico come allargamento di postazioni per distanziare i parlamentari e proibiscono l’accesso ai giornalisti. Come ex presidente della stampa parlamentare sono molto preoccupata per questo.»