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Riccardo Luna, «Trovato il vaccino torneremo a fare i rave party»

Un'intervista per immaginare il futuro, tra e-commerce artigianale, tecnologia, smart working e voglia di tornare ad abbracciarsi 

Un'intervista per immaginare il futuro, tra e-commerce artigianale, tecnologia, smart working e voglia di tornare ad abbracciarsi 

Riccardo Luna è sicuro: torneremo ad abbracciarci. Ne abbiamo bisogno. «Nessuna app può sostituire quella roba là», spiega il giornalista, innovatore e come si legge sul suo profilo Twitter, “ex di un sacco di cose belle, alla ricerca del prossimo sogno”. Per leggere il Mondo Nuovo, quello post - Coronavirus, serve una mente fervida, occhi allenati a guardare più in là. Nei suoi articoli Luna ha raccontato le mascherine trasparenti Aeri, l'app Immuni e come l'Intelligenza Artificiale potrebbe aiutarci a tenere sotto controllo il virus. Ma ha immaginato anche come ci alleneremo, quale sarà il destino dei negozi di quartiere e come lavoreremo nel prossimo futuro.

Ecco come cambieranno il nostro mondo e le nostre abitudini secondo Riccardo Luna.

Futuro e dispositivi. Su Repubblica hai parlato di Aeri, la maschera trasparente, di intelligenza artificiale. Ma anche di Immuni e tracciamento. Quanto concederemo alla tecnologia nel prossimo futuro?

«Abbiamo capito cos'è ciò che ci serve e ciò di cui possiamo fare a meno. Un computer, un telefono, una connessione a internet, qualche buona app. Il resto – telefonini pieghevoli, assistenti vocali, televisori ricurvi – non è indispensabile. Durante la quarantena abbiamo visto che ci sono famiglie in cui non ci sono computer o che ne hanno uno, al massimo due. Dinanzi a smart working e didattica a distanza, l'organizzazione familiare è collassata».

Smart working. Grazie alla pandemia, l'Italia ha scoperto che non era così difficile da mettere in pratica. Da protocollo fantascientifico, è diventato normalità. Torneremo in ufficio? Restare a casa e perdere la pausa caffè con i colleghi ci impoverirà umanamente?

«Innanzitutto dobbiamo chiarire che lo smart working non è home working. Nel primo caso, teoricamente, si è vincolati a obiettivi e non a luoghi oppure orari. Quindi, se si dovesse evolvere, lo smart working mi permetterebbe di lavorare quando e dove voglio. Avrebbe una serie di impatti positivi. Il pendolarismo verrebbe eliminato. Ci sarebbe un impatto positivo anche sulla struttura degli uffici. Ci si va se proprio si deve. Si dovrebbe creare una dimensione elastica, non un'altra gabbia. Prima era tutto un cartellino e procedure. Se si lavora per obiettivi, c'è un'evoluzione per tutti. Del resto quelli che lavoravano, hanno lavorato anche da casa. Chi si imboscava, si imboscava anche da casa».

Vedersi sarà ancora un'opzione?

«Vedersi è importante, ma si facevano tante riunioni inutili. Vengono meno le trasferte di lavoro, che possono trasformarsi in videochiamate, risparmiando inquinamento e tempo. Se davvero devo andare a Milano, devo farlo per qualcosa per cui è indispensabile la mia presenza. Guadagneremmo molte ore. Ora come ora, fare una trasferta per un incontro di mezz'ora è inutile».

Per le app di fitness è un momento magico. Ma oltre ad allenarsi a casa, come sarà il nostro rapporto con il corpo?

«Ci sarà una lunga fase due-tre in cui conviveremo con il virus e certe cose non potremo farle. Ballare, i concerti in spiaggia... Ma non sarà per sempre e la realtà virtuale non può sostituire quella fisica. Quando arriverà il vaccino, torneremo a fare i rave: nessuna app può sostituire quella roba. Ora dobbiamo convivere con il virus».

Dal sesso allo sport, ad esempio esisteranno ancora gli sport di squadra?

«Dal punto di vista psico-fisico è stato importante fare sport in quarantena. Adesso riaprono le palestre e, con tutte le regole a cui sono sottoposte, sono infinitamente penalizzate. Oggi, se devo far ginnastica, uso le app, i corsi online, vado a correre al parco. È chiaro che in una situazione ideale, la palestra permette di socializzare, di stare bene, ma per la dimensione meccanica ci sono tante app che ci permettono di raggiungere quel risultato. Non ci disabitueremo ad avere rapporti fisici. Non basterà un anno per dimenticare gli abbracci e lo stare insieme. Ora è inevitabile. Cambierà la consapevolezza con cui facciamo le cose».

Futuro e shopping. Il negozio di quartiere sembra aver vissuto una nuova età dell'oro durante il lockdown. Ma gli acquisti online ci hanno permesso di mantenere una specie di normalità, acquistando ciò che ci serviva sul web. Come cambierà il nostro modo di fare shopping?

«La cosa più interessante è che il negozio di quartiere e gli acquisti online non sono stati in contraddizione. La piccola bottega si è attrezzata per l'e-commerce, realtà lontanissima in Italia. Durante il lockdown il negozietto ha capito che l'home delivery era il mezzo per continuare ad avere clienti. Il grande boom del delivery non l'ha vissuto Amazon, ma la gelateria di quartiere. E penso che questo possa continuare anche dopo il lockdown, potrebbe tenere in vita l'artigiano. Oggi entrare in un supermercato è un'esperienza meno piacevole di prima, così come andare a fare shopping. Il negozietto è più accessibile».

Futuro e politica. Molti hanno definito inadeguata e impreparata la classe dirigente che ci ha guidati durante la pandemia. Che caratteristiche dovranno avere i leader politici del futuro?

«Questa crisi globale ha rimesso al centro la necessità di avere persone competenti nei centri decisionali. In tv e sui giornali abbiamo visto meno ciarlatani, più scienziati, filosofi, matematici, economisti, gente competente. È stato un fenomeno globale. Forse solo la Germania è stata in grado di affrontare la pandemia con i giusti protocolli. Molti Paesi guidati da donne hanno gestito la crisi meglio di altri. Ma complessivamente la classe politica mondiale si è rivelata impreparata. Non c'è stata un'impreparazione solo italiana o lombarda: basti pensare a ciò che è successo negli Stati Uniti. Negli ultimi 20 anni le democrazie hanno fallito nell'esprimere una classe dirigente all'altezza. Finita la pandemia, le persone guarderanno con distacco alla situazione, ma chiederanno un cambio».

Futuro e social network. Durante la quarantena eravamo tutti lì, più in contatto che mai. Rimarremo lì per sempre, sempre più recalcitranti all'idea di tornare a incontrare e contaminarci?

«Internet ha continuato a dimostrare la sua resilienza e soprattutto ha continuato a funzionare bene. Ha retto ovunque. È un mezzo pensato e costruito bene. Dal punto di vista dei contenuti è cambiato. È come se improvvisamente fossero diminuite aggressività e odio. Mi hanno colpito gli artisti che si sono messi in gioco direttamente, per intrattenere il proprio pubblico. Quando questo periodo finirà, non credo che Jovanotti continuerà a fare le dirette tutti i pomeriggi o che Bottura continuerà a cucinare tutte le sere».

Nel mondo di prima il futuro era qualcosa che, a spanne, si poteva ancora immaginare, tentare di delineare. La pandemia ci ha dimostrato che avevamo torto. Cos'è, oggi, il futuro per l'umanità?

«È sempre lo stesso: è quello che costruiamo, che facciamo. Questa pandemia ha messo in evidenza tutti i difetti e i problemi del mondo di prima. Dobbiamo recuperare le cose belle che avevamo, quando avremo il vaccino, e poi approfittare di questa occasione per cambiare. Per far reggere questa economia, ci si indebita molto. Bisogna andare verso un'economia circolare, sostenibile e inclusiva. Se avremo ricostruito il mondo di prima, avremo fallito». 

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