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La povertà accorcia la vita: longevità ridotta di oltre 2 anni

La longevità dipende anche dallo stato socioeconomico. Scopri gli effetti della povertà sulla durata della vita! 

La longevità dipende anche dallo stato socioeconomico. Scopri gli effetti della povertà sulla durata della vita! 

La povertà accorcia la vita. A evidenziarlo è un'analisi pubblicata su The Lancet da un gruppo internazionale di ricercatori che conferma quanto già sostenuto ormai da tempo dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms): la salute non è pura assenza di malattia.

Secondo la definizione dell'Oms, la vera salute corrisponde a uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale

Ora questo studio lo conferma, stimando in circa 2 anni la quantità di vita persa a causa di un basso stato socioeconomico.

I suoi autori hanno utilizzato i dati provenienti da 48 studi precedenti, per un totale di oltre 1,7 milioni di persone coinvolte in 7 diversi Paesi: Italia, Svizzera, Francia, Regno Unito, Portogallo, Stati Uniti e Australia. Il risultato è la prima analisi a confrontare l'impatto della povertà con quello di noti fattori di rischio per la salute, come l'inattività fisica, il fumo, il diabete, la pressione alta, l'obesità e il consumo di alcolici.

Ne è emerso che lo stato socioeconomico è uno dei parametri più adatti a predire la comparsa di malattie e il decesso precoce. La povertà è stata infatti associata a una probabilità di morire prima di aver spento le 85 candeline superiore del 46%; la riduzione dell'aspettativa di vita (pari a 2,1 anni) è risultata simile a quella associata a un'attività fisica non adeguata (pari a 2,4 anni).

Queste stime dipingono lo stato socioeconomico come un fattore di rischio per la salute addirittura più pericoloso della pressione alta, dell'obesità e del consumo di grandi quantità alcolici, associati rispettivamente a una riduzione dell'aspettativa di vita pari a 1,6, 0,7 e 0,5 anni. I maggiori rischi sembrano invece rimanere legati al fumo e al diabete, che secondo le stime accorciano la vita, rispettivamente, di 4,8 e di 3,9 anni.

Non è però possibile ignorare i limiti insiti nell'analisi, prima di tutto il fatto che lo stato socioeconomico è stato valutato semplicemente utilizzando come suo indicatore l'occupazione lavorativa dei partecipanti, scelta che potrebbe in alcuni casi potrebbe essere stata una semplificazione eccessiva. Inoltre gli stessi autori ammettono che è stato difficile separare gli effetti della povertà da quello di altri fattori di rischio.

Quest'ultimo aspetto evidenzia l'importanza di agire sullo stato socioeconomico ma, contemporaneamente, anche sugli altri noti fattori di rischio per la salute. Infatti come spiegato da Paolo Vineis, responsabile dello studio, “lo stato socioeconomico è importante perché è una misura che somma l'esposizione, nel corso della vita, a circostanze e comportamenti pericolosi che va al di là dei fattori di rischio per le malattie non trasmissibili cui si rivolgono, in genere, le [iniziative] politiche. Il nostro studio”, sottolinea Vineis, “indica che dovrebbe essere incluso insieme ai fattori di rischio convenzionali fra i fattori di rischio chiave per una cattiva salute”.

In effetti, benché con alcuni limiti, questa analisi sottolinea come spesso le politiche dedicate alla salute trascurino l'impatto della povertà sul benessere degli individui. Lo stesso Piano d'Azione Globale dell'Oms per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie Non Trasmissibili non include lo stato socioeconomico fra i fattori di rischio per queste patologie.

Come sottolineato invece da Silvia Stringhini, primo nome dello studio pubblicato su The Lancet, “dato l'enorme impatto dello stato socioeconomico sulla salute, è di vitale importanza che i governi lo riconoscano come uno dei principali fattori di rischio e smettano di escluderlo dalle politiche in tema di salute”.

Ridurre la povertà, migliorare l'educazione e creare ambienti domestici, scolastici e lavorativi sicuri sono di importanza centrale per superare l'impatto delle privazioni socioeconomiche”, aggiunge la ricercatrice. “Facendolo si potrebbe agire sullo stato socioeconomico e migliorarlo, portando un maggior benessere e una migliore salute per molti”.


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Fonte: EurekAlert!