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Mangiatori Anonimi, la storia di Ornella

Definisce la sua dipendenza alimentare 'un inferno in cui non vuole più tornare': superare i disordini alimentari è molto difficile. Lei ci è riuscita, quando ha deciso di cambiare rotta seguendo il programma Mangiatori Anonimi.

Definisce la sua dipendenza alimentare 'un inferno in cui non vuole più tornare': superare i disordini alimentari è molto difficile. Lei ci è riuscita, quando ha deciso di cambiare rotta seguendo il programma Mangiatori Anonimi.

In un'epoca di food influencer e #foodporn si dimentica che per alcuni il cibo è fonte di disagio, preoccupazione, malessere. Per alcuni è una vera e propria malattia, come spiega Ornella (nome di fantasia), che ha scelto di cambiare rotta seguendo il programma Mangiatori Anonimi“Si può vivere senza sigarette, ad esempio: se smetto di fumare, posso uscire da una stanza in cui ci sono di fumatori. Ma non si può vivere senza mangiare”.

Mangiatori anonimi: l'esperienza di Ornella

La storia di amore e odio di Ornella col cibo inizia durante l'infanzia, quando per proteggersi dai minacciosi compiti, si rifugia nei dolciumi. “Li mangiavo per farmi coraggio, ma poi dopo due pacchi di biscotti non ero molto lucida così, oltre all'umore, ne risentiva anche il rendimento scolastico”, racconta.

Con la giovinezza è giunta l'ossessione per il corpo. “Negli anni Settanta avevo vent'anni e un grande bisogno di essere fisicamente accettata dagli altri. In quel momento per la prima volta ho visto il mio modo di mangiare come un'ossessione – spiega Ornella –. Da una parte c'era il bisogno di soddisfare il piacere, dall'altra il senso di colpa”.

“Masticare mi faceva mandare giù anche ciò che della vita non mi piaceva”.

La dipendenza alimentare non si manifesta solo attraverso l'obesità (che in molti ancora non associano a un disagio psicologico). Il corpo di chi soffre di disturbi alimentari può anche non presentare segni di eccessiva magrezza o sovrappeso, grazie anche ai meccanismi di compensazione. Negli anni Settanta, anche se era magra, Ornella inizia a sentirsi grassa. Per questo comincia a saltare i pasti e a fare esercizio fisico più volte alla settimana, poi più volte al giorno.

“A 35 anni ero arrivata avvilita e persa: il mio tempo girava attorno al mangiare e consumare”.

Due anni dopo incontra Mangiatori Anonimi. “Lì ho trovato persone che raccontavano cose che io non avevo nemmeno il coraggio di confessare nemmeno a me stessa – ricorda Ornella – anche con tanta ironia su se stessi”.

cioccolato

Foto: VOLHA BONDAR © 123RF.com

Ci sono voluti molti mesi per vedere i primi importanti cambiamenti. Sedici, per la precisione, per smettere di mangiare il cioccolato. “Per i primi tre anni ho cercato di capire cos'era l'astinenza, ci provavo – spiega Ornella –. Ci ho messo sedici mesi per smettere di mangiare il cioccolato, che per me era come l'alcol per l'alcolista. Una sera presi in mano l'ultimo cioccolatino e non ne mangiai più. Sentii di essermi liberata, ma in realtà è un processo che è avvenuto un giorno alla volta. Ora sto lontana dal cioccolato come da un'auto in corsa”.

Pian piano, seguendo il programma mutuato dagli Alcolisti Anonimi e adattato alle esigenze dei mangiatori compulsivi, i valori di Ornella cambiano. “Ho riscoperto il valore dell'onestà, dell'essere sinceri, del riconoscere i torti, di trovare il coraggio, la forza che mi aiuta ogni giorno. Ora so che posso sbagliare, che devo sbagliare per imparare”.

Rivolgersi ai Mangiatori Anonimi è semplice: basta consultare il sito e scegliere il metodo di contatto più adatto a se stessi. “Nessuno può dire ad un altro 'sei un mangiatore compulsivo' e spingerlo a frequentare il gruppo. Andare alle riunioni può aiutare ad aprire la mente, ma ciascuno ha il suo tempo”, sottolinea Ornella. La chiave di volta sta nel riconoscere la malattia, passo difficile perché costringerebbe ad abbandonare la stampella vitale, il cibo.

“La negazione è uno dei sintomi della malattia: ci sono persone di 150 kg che dicono di non avere alcun problema”.

Magari ci si sente senza speranza, nel mondo e negli altri. Ma venire un po' di volte, senza giudicare e ascoltare, parlare con qualcuno, con uno sponsor, può servire. Sono quelli i modi per far succedere qualcosa nella testa: bisogna uscire dall'isolamento e portare il corpo alle riunioni, soprattutto quando non si ha voglia: è lì che la malattia sguazza”. 

Foto apertura: Syahrir Maulana © 123RF.com