Psiche
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Dipendenza affettiva e narcisismo: intervista a Nicola Ghezzani

Da una parte, chi ha bisogno di essere “visto” e amato, dall'altra, chi vuole dominare con la violenza psicologica: l’incastro perfetto. Ne abbiamo parlato con lo psicologo e psicoterapeuta Nicola Ghezzani.

Da una parte, chi ha bisogno di essere “visto” e amato, dall'altra, chi vuole dominare con la violenza psicologica: l’incastro perfetto. Ne abbiamo parlato con lo psicologo e psicoterapeuta Nicola Ghezzani.

L’hai appena incontrato e, dopo una valanga di attenzioni e presenza, lui scompare. Poi, quando ritorna, ti sminuisce o ti trascura per poi tornare all’attacco, con le sue lusinghe che simulano amore per non farti “fuggire”. In tutto questo, tu senti di aver bisogno di lui/lei. Senti che senza le sue pur scarne attenzioni, non riesci a vivere. E non fa niente se lui è scostante e ti tratta male, magari anche in modo violento: l’amore è dare senza chiedere nulla in cambio, ci hanno detto. Ma è vero?

Quello che abbiamo appena descritto è il rapporto tra un narcisista e un dipendente affettivo, due personalità psicopatologiche che si incastrano tra loro alla perfezione. Uno è la preda dell’altro perché anche il co-dipendente, ribaltando il rapporto, può fare del narcisista la vittima da brutalizzare, per esempio con le sue lamentele, i suoi ricatti affettivi o la sua gelosia ossessiva. Questa relazione è molto lontana da quella che Nicola Ghezzani, psicologo, psicoterapeuta e scrittore, considera “sana”. Nei suoi libri L’ombra di Narciso e Relazioni crudeli (entrambi editi da FrancoAngeli) esplora i meccanismi di queste storie, “rinforzate” anche dalla società contemporanea che, con i suoi dettami di dominazione e materialismo, rassicurano i narcisi che il loro modo di amare è “giusto”.

Nicola Ghezzani

Cosa sono la dipendenza affettiva e il narcisismo patologico? Quali sono i segnali da cogliere? È possibile guarire? Facciamo il punto con l’esperto.

La dipendenza affettiva: cos’è, sintomi, come uscirne

Cos'è la dipendenza affettiva?

La dipendenza affettiva è lo stato di insicurezza cronica che può essere placato solo ottenendo la conferma del partner di turno. La dipendenza affettiva fa capo a quel disturbo che nel DSM viene definito Disturbo Dipendente di Personalità.

Quali sono i sentimenti che guidano il dipendente affettivo?

Il sentimento basico cosciente e incosciente è la bassa autostima. Il dipendente affettivo non si considera mai abbastanza. Di conseguenza, nella sua continua ricerca di conferme, va incontro a infatuazioni, sentimenti entusiasti e gioiosi, di apparente innamoramento, a cui subito fa seguito l'ansia, la paura di abbandono, il timore di essere tradito. Chiede conferme continue circa la solidità del rapporto, la sua verditicità, la capacità di tenerlo in piedi. Il tutto manifestato anche attraverso la gelosia più o meno morbosa. A questo possono far seguito dei conflitti, dei tentativi di protesta da parte del dipendente per rivendicare più attenzioni. Dopo i conflitti, il dipendente ricade nella depressione dell'autostima. Il tutto fa parte di un circuito vizioso: infatuarsi, entrare in ansia e dubitare, manifestare gelosia, arrabbiarsi, rientrare in depressione.

Come si esce da questo ciclo?

Nella mia esperienza è raro che una persona ne esca da sola. La dinamica infatti è inconscia: gli episodi si ripetono ma non si vede lo schema, c'è una determinazione nelle cose che accadono che non si vuole vedere, anche nelle scelte che si fanno. E allora si dà la colpa alla sfortuna. Anche quando se ne rende conto, è più forte di lei, ma anche di lui perché i casi maschili esistono e sono numerosi. A mio avviso non se ne esce nemmeno con i farmaci, che diventano necessari nei casi molto seri, depressivi e a rischio suicidio. L'unico modo per guarire è la psicoterapia.

La solitudine atterrisce i dipendenti affettivi. Perché?

La solitudine in questo caso è un sentimento di vuoto, che deriva da una parte dall'abuso narcisistico e dall'altra dall'abuso di conflitto. Avendo ripetuto il ciclo tragico, durante il quale si vive solo per l'altro o contro l'altro, senza alcun amore per se stessi, il sentimento di sé è svuotato. Tutto questo perché il dipendente affettivo non ha potuto costruirsi un sano rapporto con stesso: dentro è vuoto.

Da dove nasce la dipendenza affettiva?

La dipendenza affettiva nasce da due fattori. Uno è legato a un trauma infantile o adolescenziale. Si tratta di bambini che sono stati trascurati, che non hanno avuto il rispecchiamento empatico dai genitori. Il bambino ha bisogno di questo per sentirsi vivo, valido, gioioso. Inoltre, in quei momenti della vita deve evolversi insieme a qualcuno. Se non c’è, ci si sente soli. Si tratta di traumi ordinari, non violenti, dovuti a genitori ben intenzionati, ma che semplicemente hanno altro da fare.

Qual è il secondo fattore?

Al trauma infantile si sovrappongono i codici sociali, che vengono trasmessi e che incentivano comportamenti altruistici e sacrificali. Viviamo in un sistema di valori prescrittivo, dove si chiede ai bambini di “fare i bravi” per avere un premio. “Caro bambino, devi fare i compiti. Solo così avrai la tua ricompensa, il mio amore”. Il premio infatti è relazionale: il bambino si sente gratificato nell’aver fatto stare bene la mamma o il papà. Non è mai diretto. Quindi se sta bene l’altro, sto bene anche io. Non ci si abitua a valutare la reciprocità, necessaria per creare un rapporto sano.

Narcisismo patologico: cos’è, sintomi e come uscirne

Cos'è il narcisismo patologico?

Il narcisismo è una reazione anaffettiva all'angoscia di impotenza.

Quali sono i sentimenti che guidano una persona affetta da questo disturbo?

La voglia di dominare e di schermarsi dai sentimenti altrui.

Da dove nasce il narcisismo patologico?

Il narcisismo ha due cause. A differenza del dipendente, il primo trauma che il narcisista subisce è quello dell’umiliazione. Da piccolo si è sentito impotente, inetto perché i genitori lo hanno svalutato, facendolo sentire un inetto o magari mettendolo a confronto continuo con gli altri.

Cosa succede nel bambino in queste condizioni?

Prova vergogna e rabbia per l'umiliazione subita. Dunque soccombe e va in depressione oppure trasforma la sua rabbia in comportamenti vendicativo-subdolo-nascosto: organizza una personalità anaffettiva e orientata al dominio. Per esempio se trova una debolezza nel genitore, comincia a tiranneggiarlo, gode nel vederlo in difficoltà. Inizia a maltrattare i fratellini o i compagni di scuola.

Qual è la seconda causa?

La società. Viviamo in un tempo fortemente narcisistico, che fomenta questi comportamenti, il possesso di beni al posto delle relazioni, rinforza il dominio sugli altri e l'anaffettività. Quindi il bambino e l'adolescente sentono che la società dà loro ragione.

Cosa fa il narcisista con questa approvazione sociale?

Il narcisista deve dimostrare continuamente di essere superiore all'impotenza. Al contrario del narcisista di spettacolo o del politico, che seducono un intero pubblico, lui punta una persona. Ha bisogno di individui vulnerabili per esprimere la propria potenza e sentirsi confermato nella propria superiorità. Dal canto suo la persona vulnerabile riconosce quella fredda, da ammirare. C'è dunque quella che io chiamo una collusione sadomasochistica, nota anche come co-dipendenza.

Foto: Antonio Guillem © 123RF.com

Quali sono i segnali inequivocabili che identificano il narcisista?

Intanto il rapporto è instabile a livello affettivo perché il narcisista lusinga e denigra. Il dipendente si sente umiliato, non sa da cosa e nemmeno perché, perché il narcisista prende e scompare, facendo ghosting. A quel punto il dipendente riprecipita nell'autosvalutazione. Quindi cerca conferme da parte del partner. A quel punto il narcisista lo denigra. Il narcisista può avere anche una reazione rabbiosa contro le rivendicazioni.

Cosa succede a quel punto?

Le possibilità sono due: da un lato, il dipendente può andare in depressione e queste storie possono durare anni. Oppure il conflitto può diventare sempre più accesso, con violenza fisica e abbandoni, stalking che può essere reciproco.

In che modo?

Il dipendente può essere geloso, ma può accadere anche il contrario. Se il dipendente porta avanti la sua ribellione, il narcisista si sente depredato della sicurezza che gli dà la sua relazione. Si dice che in amore vince chi fugge, ma questo è vero solo in quello patologico.

Si può guarire dal narcisismo patologico?

Il narcisista grave non affronta il problema e quindi non viene in terapia. Il narcisismo non grave invece può essere guarito in psicoterapia. Si è lì perché ci si sente in colpa o si ritiene di aver fatto danni nella vita.

Cosa succede in terapia?

Lo specialista valuta se il paziente sta instaurando una buona relazione con lui o se sta stabilendo una relazione dominante o sfidante. L'arroganza del paziente o la sua sottile svalutazione dei mezzi del terapeuta fanno parte del gioco. Si tratta di una strategia difensiva che serve al narcisista per non rivivere l'impotenza imparata da bambino. “Se io accetto la relazione in terapia sono un debole”, pensa: è questo che bisogna smontare. Si cerca di andare a capire che i danni che ha fatto possono essere aggiustati con beneficio. Bisognerà spiegargli che nessuno da solo è forte. Si è molto più forti e solidi insieme agli altri.

La relazione tra dipendente affettivo e narcisista

Quali sono i rischi di una relazione tra una persona affetta da dipendenza affettiva e un narcisista?

Il rischio primario è la depressione: le due persone restano sole nel rapporto. Non si sono mai davvero incontrate. Inoltre, quando esplode l'aggressività, si fanno del male psicologicamente e fisicamente. Solitamente non fanno figli o, se li hanno, questi non vengono tenuti in considerazione né dal narcisista né dal dipendente. Sono troppo presi dalla loro dinamica patologica e i figli rimangono allo sbando. Quindi c’è anche il rischio di un danno generazionale.

Quali sono gli elementi essenziali di una relazione amorosa per definirla sana?

Sul piano psicologico l'amore è fatto di emozioni, sentimenti di gioia e soddisfazione. La persona non si sente mai vuota. Poi c’è la consapevolezza di una crescita e maturazione personale con l’altro. C’è la reciprocità: quello che si dà e che ritorna. Se non ritorna, non è un rapporto sano. L'amore è il perfezionamento di scambi naturali: se do da mangiare a un bambino, questo sorride. Mi dà in cambio tutto quello che può. La retorica religiosa ci ha insegnato a dare per essere premiati, ma solo nell’aldilà. L'amore come noi lo conosciamo, quello relazionale, deve avere un ritorno diretto non nell’altra, ma in questa vita.

Foto apertura: Antonio Guillem © 123RF.com