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Lotta al cancro: prevenzione, diagnosi e cura

PEOPLE: L'ATTUALITA'
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Tumore, cosa fare in caso di diagnosi positiva: il lavoro di AIMaC

Si va dal medico e si scopre di avere un tumore. Ma per combattere questa battaglia e stare al fianco di chi deve affrontarla ci sono tanti validi alleati, come AIMaC.

Si va dal medico e si scopre di avere un tumore. Ma per combattere questa battaglia e stare al fianco di chi deve affrontarla ci sono tanti validi alleati, come AIMaC.

La parola che Dina Pero, psicologa e psicoterapeuta di AIMaC, usa per definire la sensazione che si prova davanti a una diagnosi positiva per tumore è "confusione". La sigla AIMac sta per associazione italiana malati di cancro, parenti e amici. La loro principale attività è dare sostegno psicologico orientativo e informativo a chi si prepara a combattere la battaglia più dura della vita: quella contro il tumore.

A combattere al fianco del malato ci sono anche parenti amici, anche loro confusi e spesso smarriti. Ecco cosa fare quando sulla propria strada si incontra la malattia.

La strategia di assistenza di AIMaC, attiva dal 1997, è multimediale, "usiamo il web, l'help line ma anche le pubblicazioni di libretti cartacei per supportare i malati e i familiari dei malati di cancro, per essere presenti su tutto il territorio nazionale", spiega Pero.

Lo scopo è rispondere a tutte le domande che ci si pone davanti alla diagnosi positiva. "Che faccio", "Dove vado", "Cosa succede ora", ma soprattutto "Come mi comporto al lavoro?". Quest'ultimo punto turba molto chi scopre di avere il cancro perché non conosce i suoi diritti di malato oncologico e può temere di essere licenziato. Turba anche chi il malato decide di assisterlo, che ha paura di non poter essere presente. "Aimac risponde a tutti i quesiti dalla diagnosi alla riabilitazione attraverso la strategia multimediale", spiega la psicologa.

Ad amici e parenti è dedicata una delle 34 pubblicazioni di AIMaC. Il titolo è "Non so cosa dire". Ci sono risposte a vari quesiti sulla comunicazione con il paziente. Inoltre, un libretto è dedicato a chi si prende cura del malato: "Helper giver. il ruolo al fianco del malato oncologico" è un insieme di consigli pratici per chi si prende cura del malato, per farlo al meglio anche nel proprio interesse. "Chi sta accanto al malato oncologico dimentica di prendersi cura di sé e di quanto sia importante ascoltarsi per farlo al meglio", spiega Pero.

Il supporto psicologico migliora la vita dei pazienti oncologici e di chi gli sta accanto. "Riduce il carico di angoscia e confusione che la patologia porta - sottolinea la psicologa AIMaC. - Potersi raccontare, avere uno spazio in cui essere accolti, consente al paziente di buttare giù la maschera".

Per questo, oltre agli strumenti di assistenza multimediali, l'associazione ha creato anche il Centro di Ascolto Psiconcologico “PARLIAMONE”. Tutti i gruppi sono supportivi e informativi, e prevedono un termine. "Il nostro compito è anche quello di facilitare la comunicazione tra i membri della famiglia, prevenire le difficoltà che si possono incontrare nell'organizzazione delle attività per affrontare la malattia".

Inoltre, quando arriva il momento in cui i dottori dichiarano che non c'è più niente da fare, il supporto psicologico diventa ancora più importante. "Fondamentale è l'accompagnamento, concedersi di poter vivere questa fase - spiega Pero. - A volte ci si può isolare, ed è legittimo: fa parte dell'ascoltare i propri limiti. Tuttavia farsi accompagnare da specialisti è un modo di concedere a se stessi la possibilità di vivere questa fase. AIMaC fornisce tutte le informazioni sulle risorse presenti sul territorio".

Per chi vive accanto a qualcuno che sta combattendo contro il cancro ciò che conta, secondo l'esperta AIMaC, è esserci e ascoltarsi. "Non ci si ascolta molto, ci si dedica in tutto e per tutto al malato. Ma non è così. È come quando si spiega come utilizzare le maschere di ossigeno in aereo. Prima è necessario pensare a se stessi per poi aiutare gli altri bambino. Ascoltarsi ed essere autentici ad esserci davvero".

Infine, si potrebbe incappare nei più classici sensi di colpa: "non ci sono stato abbastanza" o, peggio "potevo fare di più". "Il senso di colpa di non esserci stati abbastanza è molto comune - sottolinea l'esperta - ma ognuno fa quello che può, non siamo onnipotenti, alcune cose dipendono da noi, altre no". 

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Tipsby Dea

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