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Omotransfobia nel 2020: una questione (trans)culturale

Cos’è l’omotransfobia e perché in Italia c’è ancora molto da imparare, a partire dal linguaggio.  

Cos’è l’omotransfobia e perché in Italia c’è ancora molto da imparare, a partire dal linguaggio.  

Tra tutti i sentimenti che gli esseri umani possono provare gli uni verso gli altri, l’odio è quanto di meno umano ci possa essere. Cos’è che spinge una persona a odiarne un’altra? La paura e l’ignoranza sono alla base di ogni cosa.

Paura nei confronti di qualcosa che non si conosce perché diversa da ciò a cui si è stati abituati, ignoranza intesa come mancanza di conoscenza e incapacità di voler andare oltre, di informarsi, di ampliare le proprie nozioni base. Paura e ignoranza generano una delle forme di odio più diffuse nella nostra società: l’omotransfobia.

Cos'è l'omotransfobia

Il termine omotransfobia viene utilizzato per indicare l’atteggiamento di ostilità nei confronti delle persone transessuali. Una paura legata agli stereotipi di una società che per troppi anni si è basata sulla dicotomia uomo-donna, forgiando generazioni di automi ai quali veniva affibbiato un ruolo: quello maschile o quello femminile.

La transessualità è un concetto che buona parte degli uomini etero cisgender, ovvero individui che si riconoscono nel sesso biologico ricevuto alla nascita, non sono ancora in grado di comprendere. Ne verrebbe meno la loro virilità. Superare il concetto di genere binario è così inconcepibile che chi va oltre, oltrepassando il confine, “deve essere punito”.

Maria Paola, morta perché amava "un trans"

“Volevo darle una lezione”: sono proprio queste parole utilizzate dal fratello di Maria Paola Gaglione, la giovane morta perché innamorata di Ciro, un uomo trans. Il giovane voleva punire la sorella perché “era stata infettata” da Ciro: dopo essere stata speronata dal fratello, Maria Paola ha perso l’equilibrio e la caduta dal motorino le è stata letale.

La vicenda - di per sé incommentabile per l’assurdità delle motivazioni del fratello – è solo la punta di un iceberg omotransfobico che è emerso in tutta la sua freddezza: in Italia il limite contro i transessuali è prima di tutto un gap comunicativo.

Un numero fin troppo elevato di media nazionali e locali ha raccontato la storia di Maria Paola e Ciro come quella di due amiche che avevano una relazione LGBT. Cirò è stato addirittura chiamato Cira. Alcuni hanno perfino scelto di non pronunciare il suo nome. Ciro è diventato semplicemente “un trans”.

Perché la violenza contro le persone trans è prima di tutto verbale

La violenza contro le persone trans, dunque, è prima di ogni altra cosa una violenza di tipo verbale. Ciò che è stato fatto a Ciro viene vissuto ogni giorno da migliaia di persone e ha un nome: si tratta di misgendering, ovvero del parlare di un transessuale con articoli, pronomi e desinenze che non corrispondono affatto alla sua identità di genere.

Il misgendering è un crimine d’odio, dal quale può scaturire la disforia, ovvero una sensazione di disagio che si prova nei confronti di alcune parti del proprio corpo. Lo stesso termine transessuale viene utilizzato come soggetto e non come aggettivo, stereotipizzando ancor di più la rappresentazione sociale delle persone transgender.

La transfobia si fa portavoce di un vizio assai diffuso nel nostro Paese: il non essere in grado di chiamare le cose con il loro nome, fornendo così una rappresentazione del mondo che non è neanche lontanamente vicina al reale. Bisognerebbe partire dal capovolgimento di quello che ci raccontiamo. E allora possiamo dirlo: Maria Paola non è morta per amore. Maria Paola è stata uccisa dalla paura e dall’ignoranza.

Le vittime di omotransfobia in Italia: al Lazio la maglia nera

L’Italia è il Paese europeo dove si registra, dal 2008 a oggi, il più alto numero di vittime a causa di episodi di omotransfobia. Dagli insulti sui social network, che spesso sfociano nelle minacce di morte, alle aggressioni per strada, il quadro dei crimini commessi ogni giorno per l’orientamento sessuale e l’identità di genere non è per niente confortante.

Alcuni dati raccolti nei primi sei mesi del 2020 hanno permesso di stilare una sorta di classifica delle Regioni nelle quali la discriminazione si fa sentire in modo più netto. Al primo posto troviamo il Lazio, che conta 12 casi, dei quali 9 soltanto a Roma. Al secondo posto troviamo la Lombardia, con 8 casi, dei quali 5 a Milano, e al terzo la Toscana, con ben 6 casi. Le Regioni in cui invece non sono stati segnalati episodi di omotransfobia nel 2020 sono state Marche, Umbria e Molise.

Come NON crescere figli omofobi

Nel 2016 l’associazione italiana Gaynet aveva redatto un documento, intitolato “8 esercizi per l’informazione – Una proposta per il linguaggio sulle questioni LGBT”, nel quale erano state fornite delle indicazioni da seguire per favorire lo sviluppo di una comunicazione più inclusiva.

Bisognerebbe allora partire da quello: dalle parole. Perché la percezione che abbiamo del mondo passa prima di ogni altra cosa dal linguaggio. Ai bambini si dovrebbe spiegare la differenza esistente tra sesso biologico, identità di genere e orientamento sessuale.

Ma bisognerebbe farlo con il loro modo di vedere la realtà, per esempio raccontando delle storie: a questo proposito, si potrebbe partire dalla lettura del libro Fabulous Families - Love beyond gender and color. È solo un inizio, ma potrebbe essere quello giusto.

Omofobia: quella legge che ancora manca

L’Italia è ancora oggi uno tra i pochi Paesi europei rimasti senza l’approvazione di una legge contro le discriminazioni e le violenze per orientamento sessuale, genere e identità di genere, la cosiddetta legge Zan.

Il nostro Codice Penale punisce attualmente soltanto i crimini e i discorsi di odio basati su motivazioni razziali o religiose: l’obiettivo della legge Zan è fare in modo che la violenza perpetrata contro chi è diverso per orientamento sessuale o identità di genere venga punita allo stesso modo.

L’Italia, però, sembra essersi impantanata nei soliti litigi tra destra e sinistra, per i quali la legge contro l’omotransfobia non è ancora divenuta realtà. Abbastanza surreale se si considera che il primo testo di legge in materia risale al 1996.

Foto: Sam Worldley - 123rf