Psiche
Psiche

Body shaming, i corpi bersagliati: oltre la violenza delle parole

Il body shaming permea la nostra cultura e le nostre abitudini molto più di quanto pensiamo. Possiamo lasciarci alle spalle questi giudizi controproducenti, ma dipende solo da noi.

Il body shaming permea la nostra cultura e le nostre abitudini molto più di quanto pensiamo. Possiamo lasciarci alle spalle questi giudizi controproducenti, ma dipende solo da noi.

L’espressione “body shaming” può sembrare un po’ astratta e lontana; e, con ogni probabilità, l’uso della lingua inglese non aiuta. Ma è un qualcosa che tutte, prima o poi, abbiamo sperimentato: perché ne siamo state testimoni, vittime, o magari perché ci siamo cascate in buona fede anche noi. Invece di limitarci a condannarlo in astratto, dunque, cerchiamo di capire meglio cos’è il body shaming e quali conseguenze comporta.

Il significato di body shaming

“Ma non sarai dimagrita un po’ troppo? Fra un po’ scompari!”. “Certo che, con quelle gambe, potrebbe anche indossare una gonna un po’ più lunga…”. “Ma non si vergogna ad andare in giro conciata così?”. “Dopo la gravidanza è rimasta proprio fuori forma, potrebbe curarsi un po’ di più”. Potremmo continuare all’infinito con gli esempi di body shaming, ma il significato è chiaro: sono tutti giudizi non richiesti sul corpo altrui

C’è chi li rivolge direttamente alla persona bersagliata – capita spesso alle celebrity, tempestate da sgradevoli commenti sui social media – e chi invece ne sparla con gli amici. Il principio è il medesimo: si sceglie un tratto fisico che non aderisce pienamente ai canoni estetici dominanti – tipicamente il peso, ma anche l’altezza, gli occhiali, la scelta dell’abbigliamento, il fisico poco scolpito – e lo si usa come motivo di scherno. Le conseguenze sono facili da immaginare: imbarazzo e vergogna possono innescare un circolo vizioso di ansia e mancanza di autostima.

Il confine tra opinione e giudizio

Sarebbe semplicistico cercare una causa esterna per il body shaming. La causa siamo noi, perché diamo per scontato che esista un aspetto fisico “giusto” e uno “sbagliato”. Che una persona grassa, poco tonica o poco attenta all’abbigliamento sia anche una persona che si trascura, non si sforza abbastanza, non si impegna a tal punto da ottenere il corpo che vuole (è il principio cardine della grassofobia).

Come se non bastasse, ci riteniamo in diritto di esprimere il nostro parere sull’apparenza degli altri, senza che ci sia stato richiesto. Perché sta qui il discrimine tra opinione e giudizio. Un medico che pesa una paziente, e le consiglia di prestare attenzione all’alimentazione, sta semplicemente facendo il suo lavoro. Se invece a esprimere parole molto simili è un’amica, un parente o addirittura una persona sconosciuta che non ha alcun titolo per parlare e a cui non è mai stato chiesto un parere, allora siamo di fronte a un giudizio. Che, in quanto tale, è solo distruttivo e non costruttivo

Body shaming e social media 

Quando andiamo a caccia di responsabilità per il body shaming, dunque, come prima cosa dovremmo riflettere sulla cultura in cui siamo cresciute e sforzarci di scardinare alcuni bias che ci portiamo dietro fin dall’infanzia. Questo è indubbio. Detto questo, è vero anche che l’onnipresenza dei social media non ci aiuta, per tanti motivi. 

Innanzitutto, i social media vivono di apparenza. L’immagine è tutto. Ed è un’immagine che potrà anche sembrare spontanea ma in realtà è l’esito di un delicato gioco di filtri, pose, accorgimenti, luci. Ciascuna di noi è costantemente messo confronto con corpi ideali e irreali. Che non sono più soltanto quelli della vicina di casa o della collega, come in passato, ma sono quelli potenzialmente di chiunque. Così facendo, i difetti che ciascuna di noi ha – piccoli o grandi che siano – diventano giganteschi, intollerabili. 

Come seconda cosa, i social media ci permettono di esprimerci in qualsiasi momento, senza filtri e senza realmente “metterci la faccia”. Prova a leggere i commenti sprezzanti che compaiono a centinaia sotto il post di una qualsiasi celebrity, da Chiara Ferragni ad Aurora Ramazzotti: quanti utenti avrebbero il coraggio di dire le stesse cose a voce, guardandole negli occhi?  

Il body shaming è un reato? 

Descrivendo questo quadro, sorge una domanda lecita. Quando si viene offesi per il proprio aspetto fisico, ci si può difendere in qualche modo, anche legalmente? In Italia il body shaming non costituisce un reato a sé, ma nella giurisprudenza è capitato che i responsabili venissero puniti perché si configurava un altro reato. 

Con una sentenza del 2022, per esempio, la Cassazione ha deciso che le offese gratuite a una persona ipovedente su Facebook integravano il reato di diffamazione. Un’interpretazione innovativa, perché il presupposto per parlare di diffamazione è l’assenza della vittima; in caso contrario, si tratta di ingiuria. Se invece il body shaming diventa una persecuzione, perché è continuo, reiterato nel tempo e obbliga la vittima a chiudere i propri profili sui social network, cambiare numero di cellulare o modificare le proprie abitudini, si può configurare il reato di stalking

Insomma, non bisogna più dare per scontato che il body shaming rimanga impunito. Certo, non saranno le sentenze a sradicarlo. La cultura può fare molto, molto di più. E dipende solo da noi.

Foto di apertura: Immagine di Freepik