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Disturbi alimentari: lo speciale

PEOPLE: L'ATTUALITA'
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Bulimia, la storia di Wendy e Alessandro

Wendy ha rischiato di morire per un attacco di cuore, una delle cause di morte più comuni tra chi soffre di bulimia. Al suo fianco, c'era Alessandro, che l'ha salvata e le ha insegnato a volare. 

Wendy ha rischiato di morire per un attacco di cuore, una delle cause di morte più comuni tra chi soffre di bulimia. Al suo fianco, c'era Alessandro, che l'ha salvata e le ha insegnato a volare. 

Una mattina di luglio 2014 Wendy Mandziy ha un attacco di cuore. Per sua fortuna, accanto a lei - come nel momento in cui li intervisto - c'era Alessandro Mazzochel, suo compagno, che si accorge che qualcosa non va. Non sono i soliti incubi, questa volta è qualcosa di serio. Molto serio. Wendy era arrivata a quel luglio 2014 passando attraverso anoressia, binge eating e bulimia. E un attacco di cuore è la cosa più comune che possa succedere a chi soffre di disturbi alimentari e passa le sue giornate a destreggiarsi nel ciclo spesso continuo di abbuffate e induzione del vomito.

Wendy oggi è guarita e desidera una vita piena, una famiglia con il suo Alessandro, che per lei ha scritto il libro "La caduta delle farfalle" (Città Nuova). L'obiettivo: spiegare che di bulimia si può morire e che soprattutto uscirne è possibile.

Quella mattina Wendy, receptionist in un'azienda, ha affrontato uno dei problemi più comuni per chi soffre di bulimia. Alessandro, libero professionista, spiega che chi mangia e vomita per 3-4 volte al giorno, perde potassio. "Al momento dell'arresto cardiaco, Wendy aveva il livello di idratazione di una persona che non beve da 3 giorni".

Grazie all'intervento salvifico dei paramedici del 118, che hanno spiegato telefonicamente ad Alessandro cosa fare, Wendy si è salvata. Dopo 4 giorni in terapia intensiva, si è risvegliata dal coma e ha iniziato la riabilitazione, con il supporto di psicologo, psichiatra e nutrizionista. Più tanta forza di volontà.

Uno dei miti da sfatare sulla bulimia è legato proprio al farcela da soli. "Non se ne esce da soli - spiega Wendy - la volontà e la forza di volontà sono ciò che ti fa ripartire". Interviene Alessandro per non sminuire il grande passo fatto dalla sua compagna. "Puoi essere il miglior fidanzato del mondo, ma se chi soffre non capisce da sé che la vita è degna di essere vissuta, se non riesci a riempire quel vuoto d'amore che crei abbuffandoti e vomitando, è difficile venirne fuori. Le figure professionali a supporto di Wendy c'erano anche prima, ma capire che la morte non capita solo agli altri, le ha fatto intraprendere una strada, che ti costruiscono gli altri, ma che devi essere tu a percorrere".

Ciò che ha riavviato il motore di Wendy è stato l'amore. "Veder soffrire Alessandro e la mia famiglia mi ha spinta a guarire per non rinunciare al loro amore - spiega. - Se ci fossi ricaduta, magari non ci sarebbero stati più".

Il suo percorso nel tunnel dei disturbi alimentari è iniziato nel 2009, con la morte di sua madre e l'inizio dell'università. "Ho iniziato con l'anoressia. Sono arrivata a mangiare anche solo limoni. Ma quando ho capito che non riuscivo più a fare attività fisica (cosa a cui Wendy si dedicava per controllare il suo peso), allora ho ricominciato a mangiare".

È stato il momento del binge eating. "Dopo non aver mangiato per tanto tempo, il mio corpo richiedeva più cibo. Questa fase però è durata poco: aumentavo di peso e non lo accettavo. Quindi sono diventata bulimica: la mia soddisfazione era veder scendere l'ago della bilancia. Ma subito dopo ero di nuovo triste perché avrei voluto perdere di più". Durante la settimana lavorativa faceva i suoi esercizi, addominali, step... Durante il weekend Wendy si dedicava alle abbuffate e al vomito. "Sono arrivata a vomitare anche 6 volte al giorno".

La sua bulimia nasceva dal bisogno di attirare l'attenzione di un padre distaccato. "Mi identificavo con la malattia. Per molto tempo non ho avuto una personalità definita, così sono diventata quella che mangia e vomita - racconta Wendy. - Ma non provo vergogna per la malattia. Provo solo tristezza".

Accanto a lei, c'era sempre Alessandro. Che ci ha messo tanto tempo a capire che qualsiasi cosa tu dica a chi soffre di bulimia, si commette un errore. "A chi soffre di bulimia e anoressia, dire "ti vedo bene" significa creare confusione: cosa vorrà dire davvero "ti vedo bene?", si chiede chi riceve il complimento - spiega. - La sensazione che avevo è di trovarmi in un tunnel senza via d'uscita in cui sbattevo contro le pareti di gomma, senza trovare una soluzione. Quello che si può fare è starle accanto, evitare la questione cibo, rinunciando anche a una componente della vita sociale molto importante. Lo fai per salvaguardare la tua salute mentale. Poi si studia il percorso insieme".

"Uno dei problemi principali della bulimia è la comunicazione. La persona si è creata da sola quel vuoto. Chi ha questa malattia non riconosce di essere malato". In realtà Wendy spiega che alternava momenti di lucidità, in cui si rendeva conto di star facendo qualcosa di sbagliato, in cui pensava di poter superare la cosa da sola, ad altri in cui il suo comportamento le appariva normale.

"La mia lotta era per la ricerca di perfezione - svela Wendy. - Mia madre, mia nonna e mio padre hanno cercato di inculcarmi l'idea di perfezione, che non esiste. L'idea del controllare la vita, le situazioni, mi ha portato a voler controllare anche il modo di nutrirmi, per ristabilire il senso di vuoto che sentivo dentro di me, vomitavo dopo essermi abbuffata".

Usciti dal tunnel, Alessandro e Wendy girano per le scuole per raccontare la malattia, per attirare l'attenzione su qualcosa di cui si parla e che si conosce ancora troppo poco. "Se mi trovassi dall'altra parte non saprei ancora cosa consigliare alla me stessa del passato - confessa Wendy. - Bisogna cercare di capire che si vale, che la vita è una e vale la pena di viverla fino in fondo". 

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