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PEOPLE: L'ATTUALITA'
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Donne che non denunciano: la paura e l'amore delle donne vittime di violenza

Le donne che scelgono di non denunciare le violenze fisiche e psicologiche subite dal partner, vivono sentimenti ambigui. Valeria Benatti, giornalista e scrittrice, li ha raccontati nel suo romanzo "Gocce di Veleno".

Le donne che scelgono di non denunciare le violenze fisiche e psicologiche subite dal partner, vivono sentimenti ambigui. Valeria Benatti, giornalista e scrittrice, li ha raccontati nel suo romanzo "Gocce di Veleno".

Ascoltando una donna vittima di violenza, si ha l'impressione di essere sulle montagne russe. Quando si scoperchia il vaso di Pandora e inizia la confessione, c'è il racconto della paura, ma anche dell'amore. L'incongruenza delle parole della vittima può disorientare chi vuole ascoltare e aiutare la persona in pericolo, ma in realtà questi due sentimenti sono le due facce di una stessa medaglia.

Valeria Benatti, giornalista e scrittrice, restituisce questa esperienza nel suo romanzo "Gocce di Veleno" (Giunti). Claudia è una donna intrappolata in un rapporto malato, vittima di un carnefice che la maltratta verbalmente e fisicamente, ma di cui non riesce a liberarsi.

Abbiamo intervistato Valeria Benatti, ex vittima di violenza psicologica, per scoprire i sentimenti di amore e paura che si mescolano nel cuore delle donne in pericolo

Quali sono le paure che animano il cuore di una donna maltrattata?

Le paure sono molteplici e spesso contraddittorie. Più che paura per la sua incolumità, la donna maltrattata teme che l’amore che vive possa finire, o che l’uomo che ama possa lasciarla. Per questo subisce senza reagire: in cuor suo spera sempre che lui possa cambiare”.

Come si manifesta invece l'amore delle vittime per i loro carnefici?

Con un attaccamento fortissimo che spesso, dal di fuori, appare misterioso, incomprensibile, almeno superficialmente. Eppure fra vittima e carnefice vi è un patto fortissimo, di complicità e dipendenza reciproca, che è molto difficile scindere".

La protagonista del suo romanzo a un certo punto dice "Con il tempo mi sono legata a quest'uomo brusco eppure pieno di desiderio per me. Un desiderio così forte da lusingarmi". Le donne riescono a trovare lusinghiero il possesso esercitato dall’uomo?

Le donne con scarsa o nulla autostima vivono delle briciole che l’uomo maltrattante concede loro. Pensano di non meritare nulla, e si accontentano di pochissimo per tirare avanti. Persino la gelosia è vissuta come dimostrazione di interesse e amore".

Scrive nel romanzo: "Io non so spiegare nemmeno a me stessa perché voglio così ostinatamente essere amata da Barbablù". Prima che le cose si facciano pericolose, c'è anche l'ostinazione di quelle donne che non vogliono mollare la presa e iniziano a giustificare i comportamenti dei propri partner. Da cosa dipende secondo lei?

"Ammettere di avere completamente sbagliato il proprio investimento affettivo è molto difficile e doloroso. Si spera sempre che le cose miglioreranno, che lui cambierà, anche grazie al nostro amore e alla nostra dedizione. Invece più ci facciamo calpestare, meno ci rispetteranno, in un circolo vizioso che può diventare assai pericoloso".

"Se io gli do tutto, e permetto tutto, lui alla fine mi vorrà bene". La speranza di poter avere l'amore che si vuole sembra il risultato di un sacrificio: da cosa deriva questo atteggiamento?

"Scioccamente, o forse superstiziosamente riteniamo che, immolandoci sull’altare del sacrificio, otterremo quel che vogliamo. Sono retaggi antichi, che vedono la donna sempre succube e dedita al bene degli altri, dimentica del proprio”.

Cosa frena le vittime di violenza psicologica e fisica dal denunciare i loro carnefici?

"La paura di ritorsioni, la paura di non essere credute, la paura di restare sole. E poi la vergogna. Chi vive situazioni di questo tipo si isola sempre più dal mondo e ne teme il giudizio".

"Non esistono amori semplici", dice la protagonista: non crede che questa sia un po' la scusa che le donne si danno per tollerare anche più del dovuto, non solo la violenza?

"Ci hanno insegnato fin da piccole la pazienza e la tolleranza. A fare le brave bambine, a fare le mammine, servizievoli, devote, comprensive. Pensiamo ancora che ci sia un premio, per tutto questo, e invece il premio non c’è. L’amore non si deve meritare per gratitudine, l’amore deve partire dall’amore e dalla stima per sé, altrimenti è accattonaggio affettivo".

Le è mai capitato di vivere la paura e l'amore di donna incapace di denunciare la violenza?

"Mi è capitato di non riuscire a troncare una relazione malata. Continuavo a ricaderci e non capivo il perché. Fino a quando non ho varcato la soglia di un Centro antiviolenza. Quello è il passo più difficile da fare. Spesso sottovalutiamo il pericolo, e non vogliamo ammettere nemmeno con noi stesse che abbiamo bisogno di aiuto. Invece per venirne fuori c’è bisogno di aiuto, eccome! Per questo ho scritto "Gocce di veleno", perché spero che le donne, leggendolo, si decidano a tagliare i ponti con chi le maltratta e a ricominciare una nuova vita, senza orchi".