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Isabella Potì: «In cucina il sesso non conta»

Chef, imprenditrice, presidente di una squadra di rugby, compagna di uno degli chef più vulcanici del momento: le mille anime di Isabella. 

Chef, imprenditrice, presidente di una squadra di rugby, compagna di uno degli chef più vulcanici del momento: le mille anime di Isabella. 

Tosta, tostissima anzi, ma con un sorriso e un soufflé che stenderebbe chiunque: lei è Isabella Potì, chef del ristorante stellato Bros' e se già questa qualifica fa scattare ammirazione per lei, dopo questo 2020 sembra quasi riduttivo. Infatti, la cooking star appena 25enne è anche presidente di una squadra di rugby, ha appena scritto un libro (Millennial Cooking, Rai Libri) e passa le sue giornate da imprenditrice in lockdown facendo la cosa che le riesce meglio: progettare.

Classe 1995 (quindi Millennial per definizione anagrafica), Isabella Benedetta Potì è nata da madre polacca e padre leccese, un mix genetico che ha avuto importanti influenze sul suo modo di cucinare. Parla cinque lingue (italiano, inglese, polacco, spagnolo e francese ) e si è formata presso Claude Bosi a Londra e da Martin Berasategui e Paco Torreblanca, in Spagna. Dell'esperienza britannica parla con grande gratitudine, ricordando che anche se si dormiva tre ore al giorno, quell'esperienza l'ha aiutata a diventare ancora più instancabile.

Il suo cuore culinario è devoto alla pasticceria. Sia essa classica o moderna è la chiave che le ha aperto le porte per uno stage estivo con i Pellegrino Bros: Francesco, Floriano e il suo compagno di studi all'alberghiero Giovanni facevano consulenze presso i ristoranti, formavano il personale e poi andavano via. Il lavoro di un'estate, l'amore di una vita.

Nel 2015 torna a Lecce per entrare a far parte dell'avventura di Bros'. L'intesa con Floriano è fortissima e, laddove lei mette razionalità, lui mette energia e passione. Grazie a questo mix sono entrambi finiti nel mirino del Forbes che li ha inclusi nei 30 Under 30 da tenere d'occhio nel 2017.

Per Isabella Potì le differenze di genere sono ormai una faccenda superata: ciò che conta è il merito e nient'altro: «Se un bravo chef è bravo, il suo sesso non ha importanza». Forse la soluzione al gender gap sta proprio nella rimozione del problema alla radice.

isabella potì

Isabella Potì, ci racconti qual è il tuo primo, assoluto, ricordo del cibo?
Forse avevo quattro anni, quindi ero abbastanza incosciente. Avevo voglia di fare un dolce, il mio primo dolce, usando cacao, uova, farina, zucchero. Ma non volevo un forno giocattolo: avevo voglia di cucinare con strumenti veri. Venne fuori uno sgorbio!

Cosa ricordi della relazione tra la cucina e la tua famiglia?
Quando ci si sedeva a tavola, c'era un misto di sapori. Polonia e Italia si mescolavano. Dall'Est arrivavano i cibi affumicati, molto naturali, la verza, le patate e aromi come l'aneto, che in Italia non ho mai mangiato e non ho ritrovato fino a che non sono andata a lavorare all'estero. Poi in Polonia mia nonna aveva l'orto e le galline: quando andavo a trovarla sentivo già questa connessione tra natura e alimentazione. Oggi il mio palato è più ampio anche grazie a queste esperienze.

Nonostante i tuoi 25 anni, hai avuto numerose esperienze all'estero: qual è quella che ricordi con più gratitudine, quella che ti ha insegnato di più, anche se non per forza piacevole?
Credo la prima, quella a Londra da Claude Bosi. È una città frenetica, ed è la prima cosa a cui bisogna abituarsi. Lì c'è molto business food. Si iniziava alle sette del mattino e si finiva alle due di notte. Dormivi tre ore e poi ricominciavi da casa. È stato un bello sbalzo di attitude. C'era molta pressione ed era richiesta molta determinazione, qualità che avevo ma che lì ho rafforzato.

Quando è avvenuto il tuo incontro con Floriano? Cosa ricordi della prima volta che lo hai visto?
L'ho incontrato quando ero ancora a Lecce, nel 2014. Ho iniziato a lavorare da lui nel Salento, quando prendeva in gestione un ristorante per fare consulenze. Con quello che si guadagnava, si viaggiava. L'ho conosciuto tramite suo fratello Giovanni, frequentavamo l'alberghiero assieme.

Cosa ammiri di più di lui?
La sua estrema passione e dedizione al lavoro. Se fosse per lui, si parlerebbe solo di lavoro e si lavorerebbe sempre, ma senza la pesantezza di chi ha una vita dedita solo a questo. Nelle sue parole c'è sempre il piacere, cosa molto difficile da trovare al giorno d'oggi. Poi è molto autocritico a differenza di quello che si possa pensare.

Come ti ha cambiata e come tu hai cambiato lui?
Gli ho dato un po' più di calma e razionalità, che in me abbonda, forse troppo! Lui mi ha dato la carica e l'energia, quella voglia di emergere che avevo, ma meno forte rispetto a lui.

Nel 2018 hai condotto Il ristorante degli chef: cosa ti è rimasto dell'esperienza televisiva? È ancora tempo per gli show dedicati al cibo trasmessi in tv?
È un'esperienza che mi ha aiutato a capire il mondo che c'è dietro questi show. Mi trovo bene nel mondo della tv, dello spettacolo in generale, ma sono sicura che i programmi dedicati alla cucina debbano un po' cambiare. Serve qualcosa che entri più in profondità, che sia più naturale, che documenti realmente ciò che accade ai fornelli.

isabella potì

Sei presidente di una squadra di rugby: da dove nasce questa passione? Cosa significa per te questo impegno?
Mi sono avvicinata a questo sport grazie a Floriano. Non sapevo quasi nulla, né lo avevo mai praticato. Con lui ho iniziato a viverlo e a veere la connessione tra rugby e cucina. Ho visto chiaramente cose che facevamo già al ristorante come il meeting prima del servizio, il saluto prima di entrare nella cucina: sono tutte cose che fanno parte del mondo del rugby e che creano uno spirito di squadra speciale.

Da dove nasce l'idea di scrivere un libro come Millennial Cooking?
L'idea nasce di voler raccontare quello che è stato il mio percorso e quella che è la mia visione di cucina. Perché dover aspettare di dover arrivare alla fine della mia carriera per scrivere un libro. Magari ne scriverò degli altri! Può essere da monito ai ragazzi più giovani di me per dire che ce la si può fare e non bisogna mai arrendersi. Io vengo dal nulla e chiunque, con impegno, può realizzare i propri sogni.

Qual è l'ingrediente a cui non riesci a rinunciare in cucina?
Frutta e verdura, anche perché mangio solo quello. Ma alla fine di ogni pasto ci vuole un po' di zucchero, altrimenti non sono contenta! Sia io che Floriano chiudiamo il pranzo o la cena con un mandarino, delle castagne, oppure una patata zuccherina.

Il 2020 è stato un anno difficile per chef e ristoratori, costretti a tenere a freno l'adrenalina del fare a causa delle chiusure: cosa ti resterà di questi 12 mesi?
Tanta progettazione. In questi mesi abbiamo progettato tanto, costruito tanto, anche attorno al ristorante, come già facevamo prima. Abbiamo continuato a lavorare con la nostra comunicazione: il libro, il rugby, i progetti legati all'e-commerce... In questo periodo c'è il panettone realizzato in collaborazione con Marco Lattanzi di Corato (Ba), mio maestro nella panificazione. C'è Limoniamo, progetto di tableware realizzato con Vincenzo Del Monaco, che cura il design dei nostri piatti. Abbiamo avviato la svolta veg da Bros', avvicinandoci al lato etico. Se non lo facciamo noi che siamo Millennial, chi deve farlo. Mi porterò dietro la consapevolezza di ciò che siamo, di quello che dobbiamo fare e dimostrare.

È tempo di guardare al futuro: qual è la tua ricetta per ripartire?
Non perdersi d'animo e unire le forze. Noi lo facciamo già da team e per questo abbiamo lottato per mantenere tutte le nostre forze lavoro durante il caos. Oggi siamo pronti a ripartire proprio perché non abbiamo mandato via nessuno e abbiamo mantenuto la nostra routine quotidiana. Vogliamo spingere sui ragazzi, che fanno tantissimo per noi.

Cosa diresti a una giovane donna che vuole fare strada nel mondo della cucina?
Di non farsi nessun problema, di non ritenersi donna e quindi in difficoltà. Sarebbe già partire con il piede sbagliato. Bisogna andare avanti e metterci tutte se stesse come i ragazzi. Non bisogna guardare alla differenza di genere. Il fatto che le donne siano meno è legato a un fattore storico. Abbiamo solo bisogno di un po' più di tempo.