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Cucinare Stanca, arriva il libro: «Il cibo? Un mezzo rivoluzionario»

Il volume Cucinare Stanca. Manuale pratico per Incapacy non è solo una raccolta di ricette, ma anche un manuale di vita: ancora una volta Sofia Fabiani cerca di salvarci da noi stessi (e ci riesce).

Il volume Cucinare Stanca. Manuale pratico per Incapacy non è solo una raccolta di ricette, ma anche un manuale di vita: ancora una volta Sofia Fabiani cerca di salvarci da noi stessi (e ci riesce).

Il primo post è stato pubblicato il 15 ottobre 2020. Un anno dopo, Cucinare Stanca è un profilo da quasi 100 mila follower (o meglio, Incapacy). La mente dietro l'intero progetto è quella di Sofia Fabiani, romana, innamorata dell'arte culinaria e premiata dal Corriere della Sera tra le 20 donne del cibo 2021 per capacità di visione, creatività, empowerment e imprenditorialità. Ora Cucinare Stanca è diventato anche un libro di ricette e metodi per stare al mondo senza umiliarci troppo. Naturalmente scritto seguendo una filosofia basilare: «No sentimenti, no torta mimosa».

Chi è Sofia Fabiani

Nata a Roma, Sofia Fabiani è la mente e il corpo dietro il profilo Instagram Cucinare Stanca. Dopo un passato tra i banchi di Giurisprudenza e una sofferta esplorazione del mondo della pasticceria che l'ha portata alla CAST alimenti di Iginio Massari, è tornata a casa, ha studiato per diventare perito chimico e ha scelto di lavorare nella società di famiglia, specializzata nello smaltimento di rifiuti e progettazione di discariche. Ma il suo amore per la cucina non si è mai assopito e, come un rigurgito insopprimibile, si è fatto strada fino a portarla sui social a sfogarsi contro tutta l'imprecisione e presunzione di chi, solo perché una volta gli «è venuta una ricetta a caso, si fa chiamare chef».

Come mai hai deciso di scrivere un libro?

Avevo appena 8.000 follower quando sono stata contattata da Marco Bolasco di Giunti. «Vorrei fare un libro con te – mi ha detto – ma non saprei quale. Sarebbe un peccato costringerti a fare qualcosa». Così mi ha dato del tempo per pensare e io gli ho fatto la mia proposta. L'impostazione del libro in uscita è la stessa discussa all'epoca. Anche tutte le ricette che ho proposto sono state accolte.

Come sei riuscita a conciliare l'attività di scrittrice con tutte le cose che fai?

Ho dovuto ritagliarmi uno spazio sia in ufficio sia a casa perché scrivere non è una cosa automatica. Le idee mi venivano nei momenti più inaspettati: per questo ho il telefono pieno di audio con degli appunti che recitavo per non dimenticare. Sì, perché tanti spunti li ho persi per strada. In più, non sapevo che dietro a un libro ci fosse così tanto lavoro! Ci sarebbe da scrivere un dark book con tutto quello che è rimasto fuori dalle varie revisioni...

In anteprima rispetto all'uscita di Cucinare Stanca. Manuale pratico per Incapacy hai spiegato che Cucinare Stanca è pensato come una specie di gioco dell'oca. Ci spieghi bene in cosa consiste?

Le ricette sono collegate tra i tre livelli di professionalità degli Incapacy, che sono Incapaci 101, quelli che poverini dovrebbero avere il DASPO in cucina; Incapaci Junior, quelli che una volta gli è venuta una ricetta a caso e si fanno chiamare chef; Incapacy Dottorato, che sono i peggiori, i vostri compagni di scuola che studiavano 46 ore ma prendevano sempre 7. L'idea fondamentale era legare l'insegnamento al mio stile. Nel libro ho inserito sia cose già fatte su Instagram, per creare una certa continuità con chi mi ha seguito sui social, più cose nuove, come i test.

Le tue ricette, anche qui su DeAbyDay, sono sempre dei punti di partenza per parlare di altro. Qual è quella a cui sei più legata?

Amo molto quella del Tabulè legata al tema dell'immigrazione, ma anche quella dei Ravioli all'ortica e i pregiudizi, e del Casatiello e l'arte di saper perdere e convivere con la sconfitta. C'è da dire che ogni volta che finisco di scrivere – è successo con il libro, ma accade anche con un articolo – provo un senso di vuoto e di tristezza, come se questa cosa non fosse più mia. Per questo voglio bene a tutte le mie ricette.

All'interno del libro non ci sono solo ricette, ma anche considerazioni sul galateo. Qual è l'errore più comune e sgradevole che si fa quando si è invitati a pranzo o a cena a casa di qualcuno?

Mettere le mani nella preparazione di qualcun altro: odio quando lo fanno con me, quando cucino e magari vengono lì e assaggiano. Sono una persona accogliente, ma alcune cose mi urtano, tipo il voler aggiungere altri ingredienti quando sto cucinando perché «io lo faccio così».

Un anno dopo la nascita del tuo profilo Instagram, come definiresti la vita da influencer?

È sicuramente un lavoro privilegiato. Facciamo quello che ci piace. Abbiamo un palco dove mettere in scena la nostra creatività. Ma c'è un lato negativo.

Quale?

C'è poca comprensione del fatto che sia un lavoro vero e proprio. Anche nel fare l'influencer c'è abnegazione: nella promozione, nel lavoro, nella creazione di un piano editoriale. I soldi stanno su Instagram, è un fatto. Ma anche se è un lavoro ben pagato e divertente, ci vogliono idee sempre nuove, che è poi il vero stress del fare l'influencer.

Ci sono stati dei momenti in cui hai pensato: «Basta, chiudo tutto»? Chi ti ha aiutato a desistere?

Non l'ho mai pensato, ma col tempo mi sono incattivita. Faccio un esempio. Io, in privato, rispondo sempre a tutti. Mi chiedono il menu per la cena con il fidanzato. Mi chiedono di guardare una ricetta, di modificarla, cose per le quali un consulente si fa pagare. Io ci sono sempre e do sempre spunti gratuiti. Allora mi chiedo perché non posso avere un guadagno dalle collaborazioni? Perché dà così fastidio. Sulle Adv ho ricevuto insulti personali. Allora mi sono incattivita e ho iniziato a fare adv tutti i giorni. A volte bisogna saper mettere un freno.

Sei stata nominata dal Corriere della Sera una delle venti donne più influenti del mondo del cibo in Italia. Come ti ha fatto sentire questa cosa?

Mi sono sentita morire: non avevo capito che avrei ricevuto un premio. Mi hanno invitato alla cerimonia, dove siamo state tutte trattate come delle regine. Quando sono arrivata c'è chi mi ha chiesto «cosa fai qua?», c'è chi era lì per fare degli speech. Dopo poche ore mi hanno chiesto di accomodarmi perché sarei stata premiata per la mia creatività. Nonostante io odi parlare in pubblico, sono andata sul palco, mi hanno fatto qualche domanda ed è andato tutto bene. Ero stupita di questo risultato soprattutto perché è passato solo un anno dalla nascita di Cucinare Stanca. Sento di aver rivoluzionato il modo di comunicare il cibo e di averlo potuto fare perché, per scrivere di cucina, non mi paga nessuno.

Oltre a essere sostentamento, cos'è secondo te il cibo oggi?

Soprattutto per noi donne, è un mezzo rivoluzionario. La maggior parte delle donne, prima, poteva solo cucinare a casa. Ora sono uscite e cucinano nei ristoranti stellati. Guadagnano. Certo, il maschilismo c'è ancora, ma ci sono donne come Antonia Klugmann che si impongono anche per le altre. È un modo per rivendicare la propria autonomia. Oltre a essere un strumento culturale, il cibo è anche un mezzo di scambio e di confronto.

Un ultima domanda. Anche in questo libro non hai ceduto alla ricetta per la torta mimosa. Un giorno la scriverai?

Mai! Nemmeno a quella del Pan di Spagna.

Foto: Roberta Krasnig