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Sindrome post-Covid: sintomi e patologie dopo il virus

Stanchezza, affanno, confusione mentale, dolori muscolari e articolari: quando questi e altri sintomi del coronavirus persistono anche se il tampone è negativo, si parla di sindrome post-Covid. I medici sono al lavoro per capire qualcosa in più su questa condizione.

Stanchezza, affanno, confusione mentale, dolori muscolari e articolari: quando questi e altri sintomi del coronavirus persistono anche se il tampone è negativo, si parla di sindrome post-Covid. I medici sono al lavoro per capire qualcosa in più su questa condizione.

Chiunque abbia contratto il Covid-19, in forma più o meno severa, accoglie il giorno del tampone negativo con un grande sospiro di sollievo. Finalmente ci si può lasciare alle spalle la paura di un peggioramento, condita dallo stress da Covid e dagli inconvenienti pratici legati alla quarantena. Non è affatto raro, però, che alcuni sintomi permangano anche a settimane – o mesi – di distanza dalla guarigione. Tant’è che è stata coniata un’espressione ad hoc: sindrome post-Covid.

Che cos’è la sindrome post-Covid?

Quando si parla di sindrome post-coronavirus ci si riferisce a una serie di fenomeni dai confini sfumati, non ancora pienamente codificati dalla scienza. Cos’è successo, di fatto? In questi convulsi mesi caratterizzati dall’emergenza sanitaria, un numero crescente di pazienti ha continuato a lamentare malessere e problemi fisici anche dopo la guarigione. Alcuni ne hanno discusso tra loro sui social media, altri si sono rivolti al medico curante o all’ospedale, spesso senza trovare delucidazioni chiare. 

Sappiamo che il Covid-19 è più pericoloso quando colpisce gli anziani, soprattutto se sono già fragili per altre patologie. Al contrario, questi effetti a lunga durata sono stati osservati anche in persone giovani e in salute, indipendentemente dal fatto che abbiano contratto la malattia in forma grave o lieve. Non è nemmeno possibile definire una durata precisa della sindrome post-Covid, tanto più perché a volte il malessere è intermittente

Il tema insomma è intricato, ma merita di essere preso in considerazione con la massima serietà anche per via dei numeri in gioco. Nel corso di un convegno medico che si è tenuto a dicembre 2020, Danny Altmann, immunologo dell’Imperial College di Londra, ha ipotizzato che ne soffrano circa cinque milioni di persone. D’altra parte, l’Organizzazione mondiale della sanità ad aprile 2021 censisce oltre 134 milioni di casi confermati, di cui oltre 76 milioni sono guariti.

Sintomi e patologie più comuni

Sotto l’ombrello della sindrome post-Covid ricade un lungo elenco di problemi fisici che in parte ricalcano quelli vissuti da chi è positivo. Vediamo insieme quali sono i più comuni.

Stanchezza

Il tratto che accomuna il maggior numero di persone è una costante sensazione di stanchezza, non giustificata dall’aver fatto sforzi fisici o mentali. Sui 143 pazienti del Policlinico Gemelli di Roma sottoposti a uno studio, il 44% lamenta una peggiore qualità della vita dopo la guarigione; la stanchezza è in assoluto il sintomo più comune perché viene riportato nel 53% dei casi.

Difficoltà di concentrazione

Tra gli strascichi del coronavirus c’è anche la cosiddetta “nebbia cognitiva” che, secondo alcune stime, riguarda circa un guarito su 20. Questi soggetti sentono di aver perso parte della propria lucidità mentale: faticano a concentrarsi, dimenticano le cose, percepiscono una forte stanchezza mentale o, a volte, si sentono disorientati e confusi. Il dottor Giorgio Dalla Volta, responsabile dell’unità operativa di Neurologia dell’istituto clinico Città di Brescia, ci rassicura: la nebbia cognitiva è il sintomo di una malattia in atto, ma non equivale ad aver subito danni cerebrali

Fame d’aria o dispnea

Nella graduatoria dei sintomi di cui soffrono i 143 pazienti del Policlinico Gemelli di Roma, al secondo posto (43%) incontriamo la dispnea, meglio nota come fame d’aria. Anche persone giovani, allenate e in forze, possono sentire il fiato corto dopo aver salito le scale o mentre si piegano per allacciarsi le scarpe. Si tratta di un fenomeno tipico del coronavirus ma anche di svariate patologie che interessano i polmoni, il cuore, i vasi e il sangue.

Tosse

La tosse è un altro sintomo che spesso accompagna tanto il Covid-19 quanto le settimane successive alla negativizzazione. Da uno studio condotto su 274 pazienti, appare come il sintomo in assoluto più comune dopo la stanchezza: lo riferisce il 61% degli intervistati

Dolori muscolari e articolari

Tra le 143 persone studiate al Policlinico Gemelli di Roma, più di una su quattro è alle prese con i dolori articolari. Altri percepiscono dolori muscolari, anche noti come mialgia. Un dolore che potrebbe diventare cronico (cioè persistente per oltre tre mesi) per il 4% dei malati più gravi, cioè quelli ricoverati con ausilio alla respirazione. Lo fanno sapere gli specialisti riuniti a marzo 2021 per un corso di formazione organizzato dalla Fondazione Pascale di Napoli, sottolineando come sia fondamentale prendersi cura di loro con un approccio multidisciplinare, anche sfruttando le potenzialità delle nuove tecnologie.

Dolore al petto

Anche il dolore al petto capita di frequente: in questo caso è ancora più consigliato rivolgersi a un medico che escluda patologie cardiovascolari.

Depressione o ansia

Anche in questo caso, la dimensione psicologica merita la stessa attenzione che si riserva a quella fisica. Dopo un’esperienza debilitante come il Covid-19, infatti, molti pazienti ricadono in stati di ansia, depressione post Covid, insonnia o disturbo da stress post-traumatico, che potrebbero complicare il loro ritorno alla vita sociale e lavorativa. Lo conferma uno studio dell’ospedale San Raffaele che ha riscontrato queste condizioni addirittura in un terzo dei pazienti ricoverati con le forme più gravi, dopo tre mesi dalle dimissioni. La buona notizia è che sembrano rispondere molto bene alle terapie psicologiche e farmacologiche.

Mal di testa 

Anche la cefalea, non associata a febbre, è una sgradita conseguenza con cui fa i conti una quota compresa tra il 6 e il 15% dei pazienti; ma la percentuale reale potrebbe essere più alta, supponendo che tanti non chiamino il medico, liquidandola coma una casualità. 

Perdita di gusto e olfatto

Abbiamo ormai imparato che la perdita di gusto e olfatto è un inequivocabile campanello d’allarme per il contagio. Meno di frequente sentiamo dire che circa un paziente su dieci non li ha ancora recuperati del tutto nell’arco di un mese. Si tratta di una minoranza, certo, ma i medici la stanno giustamente tenendo d’occhio. Esiste addirittura la riabilitazione olfattoria, cioè un training in cui si annusano ripetutamente odori molto forti.

Le possibili cause

Finora abbiamo sciorinato una lunga lista di sintomi, ma quali sono le cause? Come abbiamo capito in questo lungo anno di pandemia, la scienza non può trovare risposte certe dall’oggi al domani perché progredisce attraverso ipotesi, studi, test, verifiche e nuove ipotesi. Questo principio resta pienamente valido anche per la sindrome post-Covid. 

Un articolo pubblicato su OggiScienza fa il punto sulle varie teorie in discussione. Alcuni ritengono che il virus sia ancora annidato nell’organismo ma, dopo un certo lasso di tempo, sfugga ai tamponi. Oppure il SARS-CoV-2 potrebbe innescare una risposta immunitaria sproporzionata che provoca infiammazioni agli organi; d’altra parte, accade lo stesso con la febbre dengue. La presenza di coaguli e cicatrici nei polmoni, ostacolando l’afflusso di sangue ossigenato, potrebbe spiegare l’affanno con cui fanno i conti in tanti.

Altri esperti invece credono che il coronavirus provochi una disautonomia, cioè un malfunzionamento del sistema nervoso autonomo che regola la respirazione, il battito cardiaco e la pressione sanguigna. Il celebre immunologo statunitense Anthony Fauci si è detto preoccupato per l’eventualità che la sindrome post-Covid si evolva in sindrome da stanchezza cronica (tecnicamente, encefalomielite mialgica). 

Come intervenire

Con le terapie intensive sovraffollate e i medici di base subissati di telefonate, i cosiddetti long-hauler a volte si sentono quasi in imbarazzo a chiedere aiuto. Altre volte ci provano, ma si scontrano contro un muro di disattenzione e scetticismo. Non stupisce quindi il proliferare di gruppi Facebook in cui raccontano la propria storia e si danno manforte a vicenda; quello italiano in questo momento conta quasi 16mila membri.

Ora che le testimonianze pubbliche si moltiplicano, così come i trial clinici, fortunatamente la mentalità sta cambiando. Inizia a essere sempre più chiaro che anche quelli che all’apparenza potrebbero sembrare “banali” mal di testa o momenti di spossatezza meritano di essere esaminati e curati al meglio delle nostre possibilità.

Il dottor Andrea Antinori, direttore dell’unità operativa Immunodeficienze virali dell'Istituto Spallanzani, sottolinea quanto siano importanti i controlli da fare nel tempo per studiare la risposta immunitaria di chi ha contratto l’infezione. Le persone che si rivolgono allo Spallanzani – ma anche a tanti altri ambulatori sparsi per la Penisola – vengono quindi sottoposte a tampone, esami ematochimici e test specifici sui polmoni, come la spirometria. 

Considerato che stiamo parlando di una platea potenziale di decine di milioni di persone in tutto il mondo, un adeguato follow up è il punto di partenza per arrivare piano piano a più solide certezze scientifiche sulla sindrome post-Covid. Oltre che un diritto di ogni paziente, e un prezioso regalo che ciascuno può fare alla propria salute.

Foto apertura: Andrea De Martin / 123rf.com