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Bettina Buttgen: «Moda etica per salvare il mondo»

Indossare l'alba. Volteggiare in una stola, azzurra e trasparente come l'etica. La moda secondo Bettina Buttgen.

Indossare l'alba. Volteggiare in una stola, azzurra e trasparente come l'etica. La moda secondo Bettina Buttgen.

Ho conosciuto Bettina Buttgen una sera d'estate. Di quelle quando il lungomare di Forio si accende di sfumature di arancio. Ci passeggio ogni giorno, a quell'ora. Lascio scorrere gli occhi lungo i binari dei fasci di luce che sfumano all'orizzonte.

Le ho chiesto: "Vorrei una stola con i colori del tramonto".

Bettina ha un dono, riesce a vedere la bellezza dei particolari: un fiore, una ruga di calcare nella roccia, la spuma mutante delle onde. Cattura la natura e la trasforma in tessuti d'arte indossabili. Capi unici firmati a mano con la doppia B del suo nome. E così, grazie a lei, è possibile indossare le nuvole del cielo di Punta Imperatore. Volteggiare in uno scialle. Azzurro e trasparente come certi fondali dell'isola d'Ischia, protetti da calette nascoste e piattaforme di lava che digradano verso il mare. Avvolgersi in un poncho con i colori di un arcobaleno sul blu della baia di San Francesco.

Bettina è avanti. È in grado di “sentire” in anticipo le mode. “Il colore è nell'aria”, dice. “Del resto gli impressionisti mica si conoscevano, tra loro?”. Molti prototipi che ha nel cassetto salgono alla ribalta delle passerelle anni dopo.

Bettina è l'artista del tessuto più etica che conosca. Pensate: usa gli stessi pennelli da 28 anni, senza mai sciacquarli. Ed è capace di dosare il colore per tingere le stoffe con una precisione così millimetrica da farlo assorbire completamente. Neppure una goccia finisce ad inquinare l'acqua.

Sacrificio, passione, coraggio, rispetto. Scelte che prescindono dal particolare andando verso una prospettiva universale e circolare. In armonia perfetta con quello che dovrebbe essere lo spirito di questi tempi.

Tutto questo è Bettina.

Raccontami delle tue radici.

«Vengo da Elsdorf, un paesino della Renania settentrionale, in Germania. Uno dei tanti distrutti per fare spazio al carbone. Qui hanno scavato il buco più grande del mondo... spostato paesi, castelli, prosciugato fiumi e laghi. L'impatto con la natura che mi è stata strappata è stato fortissimo. Forse le radici della mia sensibilità nei confronti dell'ambiente iniziano proprio da lì, da quel paese che non esiste più».

Quando hai iniziato ad appassionarti alla moda e ai tessuti?

«La mia mamma faceva la modella, gattonando stavo dietro le quinte delle sfilate. Poi, a 7 anni, mi hanno regalato un pony. Lo abbiamo affidato al guardiano della casa del bosco. La moglie tingeva tessuti. Così, quando pioveva, andavo da lei: è diventata la mia seconda mamma. A 14 anni ho seguito il primo corso di pittura su seta, in Francia. La mattina montavo a cavallo e il pomeriggio dipingevo».

Il primo capo che hai realizzato te lo ricordi?

«Fin da piccolissima ho iniziato a lavorare all'uncinetto dalle nonne. Fabbricavo sottobanco – col permesso delle maestre - sciarpe per tutto il paese. Me la sono portata fino all'università, questa pulsione, questa voglia di fare cose con le mani».

E ti sei mai chiesta da dove ti viene, questa voglia?

«È una cosa che è sempre stata dentro di me. Da piccola piangevo e tiravo i nastri di seta che uscivano dalla scollatura del vestito di mia madre. Così tutte le notti, per farmi star tranquilla, mi appendevano centinaia di nastri attorno alla culla: io li rotolavo sotto il naso e li buttavo via. Insomma... è una cosa che sapevo da sempre. Mi affascina tutto quello che è tessile. Non avrei potuto fare altro nella vita».

Come sei approdata a Ischia?

«Avevo un' amica che faceva la guida turistica a Ischia. Sono venuta sull'isola in vacanza per la prima volta nell''89, e me ne sono innamorata. Natura viva, fumarole, fiori, terme. Mi sono detta: questo è il posto in cui vorrei vivere. Sono ritornata diverse volte, ho conosciuto mio marito e nel '90 ho fatto il trasloco. Vivo qui ormai da 30 anni. Ischia è la mia casa, ora».

Se non avessi conosciuto tuo marito ti saresti trasferita?

«Non lo potrò mai sapere...».

Moda etica... cosa significa per te?

«Dietro ogni capo di abbigliamento ci sono persone che lo fabbricano e quando si tratta di materiali naturali, come lana e seta, ci sono anche animali. Sono diventata sempre più consapevole di questo. Ho iniziato a scrivere a tutte le ditte: “da dove vengono i vostri tessuti?” e a selezionare con criteri molto rigidi i materiali di cui mi servo».

È difficile lavorare così?

«Sì, costa tutto molto di più e non hai tutto questo materiale a disposizione. Sei molto limitata nell'acquisto».

Tu paghi tutti i tessuti e filati che usi per la produzione artigianale in anticipo, prima della realizzazione. Una scelta coraggiosa...

« La produzione programmata garantisce ai miei fornitori artigiani sicurezza economica. Credo che se alla base di ogni capo di abbigliamento ci fosse questo principio il mondo sarebbe più giusto e sostenibile».

La lana che usi?

«Lana bio certificata Gots, naturale al 100% e di alta qualità, garantita in tutte le fasi della lavorazione, e lane che realizza per me nel Kashmir una piccola realtà artigianale che esiste da generazioni».

La tua seta, invece, è cruelty free.

«Normalmente per produrre la seta i bozzoli vengono buttati in acqua bollente, una cosa molto crudele. Ho sentito parlare della Peace Silk (seta della pace), e sono andata in India a scoprire la realtà degli allevamenti e della raccolta non violenta. Fanno nascere prima le farfalle, permettendo il completamento della metamorfosi del baco da seta … il bozzolo viene bucato e poi prendono il filato. In questo modo nessun animale deve soffrire o morire».

Parlami di come usi i colori.

«Parto sempre da un materiale bianco, non trattato. In tutti questi anni di attività ho sviluppato delle tecniche per non inquinare. Ad esempio utilizzo pennelli di spugna, da 28 anni sempre gli stessi: ogni colore ha un pennello, non li sciacquo mai per non far uscire il colore e inquinare l'acqua. Ho cercato di diminuire il rilascio del colore nell'acqua anche nel processo di tintura. Io calcolo con precisione quanto colore ci vuole nei miei tessuti per raggiungere la saturazione in modo che nell'acqua non ne rimanga traccia. Rimane limpida».

Come li scegli, i colori? Quali sono le tue fonti di ispirazione?

«Da anni intreccio lunghi dialoghi con i colori. Vivendo a Forio i tramonti sono una delle mie fonti di ispirazione... sono così belli che cerco sempre di riprodurli sui miei tessuti con tutte le loro sfumature. Ma anche una pietra, un fiore, il calcare che crea l'acqua di mare sui muri... io amo osservare le piccole cose, i particolari. Vedo la bellezza dappertutto: ho questo dono, questa fortuna. Mi perdo nella bellezza».

Ogni tuo capo è un capo unico: il valore dell'unicità per te.

«Un capo fatto con amore ha un altro tocco, un'altra energia. Lo senti, lo vedi da lontano. Brilla nella luce nell'etica».

Uno dei principi alla base della moda etica è la territorialità, il legame con il luogo in cui si lavora...  Tu oltre ad ispirarti alla natura dell'isola per le tue creazioni utilizzi anche modelli di Ischia, vero?

«Sì! Sono circondata da tanti bellissimi giovani (belli in tutti i sensi). E collaboro anche con fotografi locali».



La genesi di un tuo capo, uno a cui tieni in maniera particolare...

«Quando c'è stato il terremoto a Ischia, nel 2017, abitavo vicino alla zona rossa. In linea d'aria, cento metri a destra, sono crollate le prime case. Ho sofferto tanto per tanti amici che hanno perso tutto in quel momento. Sono entrata in una crisi creativa. Non riuscivo più a lavorare. Poi, una mattina, uscita fuori al terrazzo di casa che dà sulla baia di San Francesco, ho visto un arcobaleno che dal mare saliva verso Punta Imperatore. Mi ha dato una gioia immensa. Così ho dipinto con quei colori un mandala sussurrando parole di amore, pace, speranza … è stato un atto molto intimo. Da questo tessuto è nato un bellissimo poncho».

Nel corso del tempo hai avviato molte collaborazioni solidali. C'è un Paese in particolare che ti è rimasto nel cuore... che ti ha regalato particolari ispirazioni?

«In Turchia ho conosciuto donne che lavoravano con un filato sottilissimo a uncinetto, là è nata la mia prima collaborazione: ho chiesto loro di realizzare dei fiorellini che applico sui miei foulard. Le palle di lana all'interno delle mie collane in seta della pace sono invece infeltrite a mano e di lana locale, vengono da una piccola realtà artigianale del Nepal. Loro con una parte del guadagno realizzano e aiutano scuole nelle zone più isolate delle montagne».

Spesso sei “avanti” con le tue creazioni ...

«Troppo. Uso colori o tecniche che escono dopo due tre anni. Ma non è sempre cosa buona essere avanti. Il prodotto lo capiscono in pochi. Mi è capitato di sviluppare prototipi che sul momento non hanno avuto risposta dal mercato.

Per esempio?

«Anni fa, quando i miei figli erano piccoli, io filavo tanto all'arcolaio. Ho creato delle sciarpe con dei ricci che sono di una bellezza incredibile: quest'anno ho visto che Valentino le ha fatte uguali. In un triste momento in cui l'Italia aveva chiuso i porti agli sbarchi, ho dipinto poi un foulard con un cuore da cui si diramavano raggi con scritte del tipo: io sono un abitante della terra, la mia religione è l'amore, la mia razza è umana. Vogue ha lanciato di recente un motivo simile con cuori e scritte».

Come lo spieghi?

«Io credo che tutto giri, è nell'aria. Anche gli impressionisti non si conoscevano tra loro, eppure hanno creato opere d'arte simili… Il colore è nell'aria».

Hai paura che ti copino?

«Ho sempre vissuto con questo, con la consapevolezza che ci sono persone che per “ispirarsi” vengono a vedere quello che faccio. Ma ci sono cose che non si possono copiare. Ogni mio capo è diverso da tutti gli altri, con particolari artigianali, certe sfumature nel filato che possono essere riprodotte solo lavorando nel mio mondo. Piccoli dettagli che l'industria non può curare. E poi c'è il discorso dell'etica, della scelta dei materiali. Un consumatore consapevole, critico, valuta e sceglie attentamente tenendo conto di tutto questo».

Impossibile copiarti, insomma.

«Difficile. A meno che non decidi di produrre come me e allora.... il profitto non è così alto (ride ndr)».

In un tempo in cui diventa sempre più urgente fare delle scelte consapevoli, come cambierebbe il mondo se cambiassimo il modo in cui ci vestiamo? Se evitassimo di acquistare 10 abiti su Wish a 20 euro perché non sappiamo cosa metterci una sera?

«Sicuramente si comprerebbe di meno, si penserebbe meglio. E si produrrebbe il giusto. Non queste masse di vestiti-spazzatura che stanno invadendo il mondo. Si acquisterebbero cose che durano di più. Se poi sono cose fatte di materiali naturali si disferebbero, diventerebbero di nuovo terra. E se anche le varie fasi della produzione animale, come la tosaura o la filatura fossero affidate a persone pagate bene, ci sarebbero molto meno stress e odio in sottofondo. Se tutti avessero un minimo di sussistenza, insomma, ci sarebbero anche meno guerre e più sensibilità verso gli altri. Se tutti gli animali fossero rispettati assieme a chi lavora il mondo sarebbe un posto migliore».

Una delle obiezioni che si fanno solitamente nei confronti dei capi "etici" è che costano molto. A prescindere da quelle che sappiamo essere le ragioni del prezzo di vendita, cosa può essere fatto secondo te perché la moda etica possa diventare più sostenibile anche da un punto di vista economico? Auspicando che un giorno l'acquisto di capi etici diventi la norma e non l'eccezione, in vista di un cambiamento sempre più urgente e necessario nel nostro stile di vita...

«Quando un capo di abbigliamento costa poco c'è sempre qualcun altro che paga per noi. Dietro c'è sicuramente abuso dei lavoratori, e anche dell'ambiente. Sicuramente un passo avanti importante per aiutare soprattutto piccole realtà come la mia, che faticano ad andare avanti, potrebbe essere fatto col pre-ordine: ordinare prima che venga prodotto un capo. Così le persone possono lavorare tranquillamente, hanno già tutto programmato, non devono lottare ogni giorno per l'esistenza. Ti faccio un esempio: se tu mi dici “vorrei un poncho di questo colore, me lo puoi fare?”, io potrei applicarti anche il 30% di sconto».

Il coronavirus ha cambiato totalmente la tua vita lavorativa... In che modo?

«Ho dovuto lasciare il mio atelier e mi sono ritirata in un posto isolato, pieno di luce e uccelli, dove creo e spedisco le mie creazioni acquistabili sul mio sito web Bettinabuttgen.com. Lo shop al Castello Aragonese d'Ischia, per adesso, è l'unico luogo dove si possono vedere e toccare da vicino, ma spero presto di poter ampliare la mia rete di distribuzione».

Cosa ci hai perso e cosa ci hai guadagnato?

«Ho perso il contatto fisico con i clienti, quello a cui ero abituata da quasi 30 anni. Parlare, confrontarsi, provare. Adesso è diventato quasi tutto virtuale per me. E non posso più permettermi di dare lavoro ad altri. Prima collaboravo con donne dell'isola che mi aiutavano: chi faceva l'orlo a mano, chi l'uncinetto... Cercavo di far lavorare le persone, inventavo cose solo per questo. Certo, ho guadagnato più tempo per me, posso godere quest'isola che non avevo più il tempo di godere. Godere degli amici. Non seguendo più ritmi pressanti posso essere anche più creativa».

In futuro...

«... sarebbe bellissimo trovare qualcuno a cui passare il mio sapere per portarlo avanti, ho davvero tanto da dare».