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Vita da Mamma: la rubrica di Federica Federico

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Perché tutti abbiamo sperato che Olesya Rostova fosse veramente Denise

Dal giorno della scomparsa di Denise, 1° settembre 2004, sono trascorsi ben 17 anni. Tutti i bambini rapiti sono vittime di un delitto gravissimo: l'omicidio di identità. Giustizia e non spettacolarizzazione, è questo quello che meritano e che va chiesto a gran voce.

Dal giorno della scomparsa di Denise, 1° settembre 2004, sono trascorsi ben 17 anni. Tutti i bambini rapiti sono vittime di un delitto gravissimo: l'omicidio di identità. Giustizia e non spettacolarizzazione, è questo quello che meritano e che va chiesto a gran voce.

Riusciamo a essere “noi stessi” solo quando la vita si colloca su un continuum, ovvero procede lungo un percorso di eventi e esperienze che dall’infanzia evolve all’età adulta.

E’ questa successione temporale continua e inscindibile che plasma e segna ogni cammino nella sua unicità.

Pertanto ciascuno di noi è una persona singolare e unica grazie al cammino che vive.

Spezzare questa “linea della vita” interrompe la personalità, rappresenta una violazione così intima e importante da configurare un reato.

Sulla base di ciò, il rapimento di un bambino, inteso come sottrazione violenta agli affetti e deprivazione traumatica delle radici, può essere definito come “omicidio di identità”.

Denise Pipitone, Angela Celentano, probabilmente le gemelline Schepp - e come loro tanti altri bambini nel mondo - sono tutte vittime di omicidi di identità. Non c’è sangue, nessun corpo, alcun delitto, eppure il dolore sparso negli anni è logorante quanto devastante. Di questi bambini, probabilmente vivi in qualche parte del mondo, resta un’immagine cristallizzata che li ritrae eternamente piccoli e “bloccati” in un’età senza tempo.

  • Denise Pipitone fu sottratta all’abbraccio della sua mamma il 1° settembre 2004, aveva 4 anni;
  • Angela Celentano scomparve il 10 agosto 1996 durante un pic-nic sul Monte Faito (Napoli), aveva 3 anni;
  • Alessia e Livia Schepp non furono più riportate a casa dopo una giornata trascorsa col papà, separato dalla loro mamma, avevano 6 anni ed era il 30 gennaio del 2011. Il padre si tolse la vita lasciando l’ex moglie nell’incubo del dubbio riguardo la sorte delle loro bambine.

Alessia e Livia sono state letteralmente inghiottite in un mistero rimasto irrisolto. Nella foschia dell’ignoto sono scomparse anche Denise e Angela.

Noi le ricordiamo tutte piccole piccole, oggi, però, ciascuna di loro potrebbe essere una donna diversa dall’immagine che le ha rappresentate in questi anni: restano i volti di piccole bimbe stampati sui volantini con la scritta “Missing”, ovvero disperso, sparito e sostanzialmente mancante.

Queste figlie mancano, infatti, nella vita e nel cuore di famiglie disperate e straziate, mancano nella linea continua delle esistenze di chi le ha partorite e amate.

Il cuore di cristallo delle mamme trema ogni qual volta un bambino viene strappato all’abbraccio della donna che lo ha messo al mondo.

Solo pochi giorni fa, Olesya Restova, una giovane orfana russa, ha lanciato un accorato appello attraverso la trasmissione televisiva “laпусть говорят” (Lasciali parlare) messa in onda sul canale1 russo: “Mammina mia non ti ho mai dimenticata”, il suo intento è quello di ritrovare la madre.

Una telespettatrice ha segnalato il volto e la storia di Olesya alla redazione italiana di “Chi l’ha Visto”: una somiglianza con Piera Maggio ha sollecitato l’attenzione del programma Rai e, di conseguenza, anche quella della famiglia Maggio\Pulizzi.

In questi 17 anni, mamma Piera non ha mai smesso di cercare sua figlia viva. Nessuna delle risultanze processuali fa pensare alla morte di Denise.

I genitori continuano a cercarla, lo fanno anche da “soli”, o meglio col solo appoggio dell’opinione pubblica e della Tv di inchiesta, perché le indagini istituzionali sono sostanzialmente ferma e lo Stato non è più formalmente impegnato in questa ricerca.

La conferma dell’estraneità biologica di Olesya Restova alla famiglia Pulizzi-Maggio è tristemente passata per il mezzo televisivo: contro la volontà dei genitori e del loro legale, l’annuncio del gruppo sanguigno, non compatibile con quello di Denise, è avvenuto in Tv.

Abbiamo tutti partecipato alla visione di un dolore che si è irradiato oltre lo schermo infrangendo ancora una volta il cristallino cuore delle mamme, tuttavia qualcosa si è nuovamente smosso: l’eco della disillusione ha riacceso l’attenzione su Denise e sui bambini scomparsi.

“Se quella bambina (Denise, ndr.) è viva da qualche parte e noi non la cerchiamo più, stiamo fallendo nel nostro destino di uomini”, queste parola sono state pronunciate con coraggio dal Magistrato che tra il 2004 e il 2005 subentrò nelle indagini sulla scomparsa di Denise Pipitone. (Fonte della citazione: trasmissione Tv “Ore 14”, Rai 2 - puntata del 7aprile, intervista di Milo Infante alla Dottoressa Angione)

Denise Pipitone è figlia di tutti, negli anni è diventato l’emblema di una lotta etica contro l’omicidio di identità dei minori, il rapimento e la deprivazione affettiva che ne consegue.

Senza entrare nel merito delle indagini, degli eventuali vizi e dubbi, qui vogliamo riflettere sull’onda d’urto del dolore.

La Tv russa ha fortemente urtato la suscettibilità italiana. Probabilmente la sensibilità sociale varia nelle diverse culture o forse Denise è così tanto entrata nei nostri cuori da pervaderli ogni qual volta una nuova pista riporti alla speranza di rivederla tra le braccia di Piera.

Olesya, la giovane orfana russa, è stata esposta come se fosse un elemento del talk show televisivo che, invece, avrebbe solo dovuto farle da cassa di risonanza.

L’intera storia di Denise è finita, di conseguenza, in un tritacarne mediatico-internazionale fatto di test falliti e speranze sfumate.

Ciò disattende quel bisogno di riscontro che Olesya stessa deve vivere nella ricerca della sua mamma e, contemporaneamente, dimostra che tutti siamo vittime dei nostri cuori fragili e della loro sensibilità innata.

Nello specifico, la puntata in cui il sangue di Olesya ha tradito la speranza del ritrovamento di Denise è stata posta al centro di un dibattito etico sulla spettacolarizzazione del dolore.

Piera Maggio e il suo legale chiedevano semplicemente di ottenere un riscontro scientifico basilare, ovvero il gruppo sanguigno dell’orfana russa, per poi procedere nella privatezza e nella legalità della loro ricerca.

Ma Olesya è stata quasi “resa inaccessibile” dalle telecamere che ne hanno raccontato la storia.

L’avvocato Giacomo Frazzitta, infatti, per addivenire prontamente ad una conclusione, cioè per conoscere presto il gruppo sanguigno di Olesya, si è trovato costretto a prendere parte allo show russo.

Frazzitta con tenace compostezza non ha mancato di sottolineare che Lui, come legale, e i genitori, come famiglia sofferente e fiera, hanno ceduto a questa spettacolarizzazione solo per accorciare massimamente i tempi. Piera Maggio e Piero Pulizzi aspettano Denise da 17 anni.

Se il gruppo sanguigno di Olesya fosse stato uguale o compatibile con quello di Denise sarebbe stato possibile procedere al Dna, ovvero sarebbe stata ammessa la speranza, quel sentimento tante volte infranto nella storia di Denise ma mai smarrito da Piera Maggio.

Cosa resta di tutto questo?

Denise, a suo modo anche Olesiya, non meno di Angela Celentano e di Alessia e Livia Schepp ci insegnano che quando si spezza la linea continua della vita di un bambino il cuore di cristallo della sua famiglia, in modo particolare della mamma, va in frantumi e le schegge finiscono ovunque, le ferite che provocano non sanguinano visibilmente, ma intimamente sì e scavano baratri di sofferenza.

Ogni madre ha tre cuori:

  • un cuore di cristallo, che si lesiona ogni qual volta la vita di un figlio è compromessa, fisicamente o emotivamente;
  • un cuore di leone, che incarna la forza protettiva, l’accudimento e la cura;
  • un cuore di fuoco, che è sede dell’energia per non mollare mai.

Piera Maggio, così come le altre mamme coraggio, hanno il cuore di cristallo in frantumi ma è cresciuto in potenza il loro cuore di leone, mentre quello di fuoco arde ovunque si trovi una speranza.

Anche le madri dei bambini scomparsi sono lese nella loro identità, anche loro hanno smesso di vivere su quel continuum armonico dell’esistenza: la linea della vita che le ha viste diventare mamme si è spezzata irrimediabilmente.

La sofferenza di Piera, quella che nei giorni scorsi abbiamo solo potuto immaginare, ha lambito il cuore di cristallo di ogni madre italiana: io ho tanto sperato che la somiglianza tra Olesya e Piera fosse reale e non frutto di una aspirazione immaginifica.

Ha sede qui, nel dolore del cuore di cristallo, la grande indignazione per la spettacolarizzazione del pathos di Olesya. Eppure, animati dalla speranza di ritrovare Denise, tutti siamo caduti nella trappola mediatica e abbiamo tentato di vedere e inseguire buone notizie.

Ciò che dovremmo trarre è un rinnovato concetto del rispetto:

- mai smettere di cercare, ciò in rispetto dei bambini prima e delle mamme poi;

- mai rendere queste madri e i loro figli pedine di giochi mediatici, ciò in rispetto del cuore di cristallo di tutti noi;

- mai permettere che vadano dimenticate storie di dolore e separazione, ciò più di ogni altra cosa e in rispetto della vita stessa.

Immagini ©LaPresse