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Senza Goal 14 nel 2050 in mare più plastica che pesci

Secondo gli ultimi resoconti, l'Italia è penultima nella graduatoria dei paesi impegnati nel raggiungimento del Goal 14 di Agenda 2030. La colpa? Si fa poco per la depurazione e contro l'overfishing 

Secondo gli ultimi resoconti, l'Italia è penultima nella graduatoria dei paesi impegnati nel raggiungimento del Goal 14 di Agenda 2030. La colpa? Si fa poco per la depurazione e contro l'overfishing 

Uno sfruttamento della pesca eccessivo e la scarsa depurazione rispetto alla media Ue fa dell’Italia il paese che si pone quasi in ultima posizione (penultima per l’esattezza) nel raggiungimento del Goal 14 di Agenda 2030.  Un triste primato per un Paese dove il mare riveste un’importanza ambientale e socio-economica fondamentale. Il Belpaese, però, non è ancora riuscito a  rimediare al grosso gap nelle azioni contro questo pessimo stato di salute delle proprie coste e del proprio mare. 

Che cos’è il goal 14 di Agenda 2030

Ma cosa prevede, esattamente, l’Obiettivo 14 di Agenda 2030? L’obiettivo recita: conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile
E, in sintesi, i traguardi fissati sono (o erano in alcuni casi): quello di prevenire e ridurre in modo significativo ogni forma di inquinamento marino entro il 2025 e (entro il 2020!) di gestire in modo sostenibile e proteggere l’ecosistema marino e costiero, di ridurre al minimo e affrontare gli effetti dell’acidificazione degli oceani, regolare in modo efficace la pesca e porre termine alla pesca eccessiva, illegale, non dichiarata e non regolamentata nonché preservare almeno il 10% delle aree costiere e marine e vietare quelle forme di sussidi alla pesca che contribuiscono a un eccesso di capacità e alla pesca eccessiva. E ancora, entro il 2030, l'obiettivo prevede di aumentare i benefici economici dei piccoli stati insulari in via di sviluppo e dei paesi meno sviluppati, facendo ricorso a un utilizzo più sostenibile delle risorse marine, compresa la gestione sostenibile della pesca, dell’acquacoltura e del turismo.

Italia e Goal 14-Agenda 2030, a che punto siamo? 

La situazione in Italia, però, non è affatto semplice. Dalla discussione del Ddl 1571 sulla “Promozione del recupero dei rifiuti in mare e per l’economia circolare” (la cosiddetta “Legge salvamare”) alla discussione della direttiva  2019/883 del Parlamento e del Consiglio europeo relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi fino a scarse normative antisovrapesca, l’indice italiano relativo al Goal 14 mostra, ad oggi, un andamento altalenante: migliorava fino al 2015, grazie alla crescita significativa dell’indicatore relativo alle aree marine protette, per poi peggiorare sensibilmente negli ultimi quattro anni, a causa dell’aumento dell’attività di pesca e del sovrasfruttamento degli stock ittici (90,7% rispetto ad una media europea del 38,2%). A determinare tale situazione contribuiscono, da un lato la diminuzione dello sforzo di pesca (calcolato come il prodotto tra il tonnellaggio delle barche e i giorni di pesca, che cala del 36% circa rispetto al 2010), dall’altro l’aumento del catturato per unità di sforzo (che aumenta di oltre il 25% rispetto al 2010) senza un recupero complessivo delle risorse sfruttate. Proprio per questo, il Rapporto ASviS 2021 che ha appena fatto il punto sulla posizione italiana rispetto ai vari target di Agenda 2030, raccomanda, ad esempio, una gestione della pesca che coinvolga tutti i soggetti interessati e di tutelare efficacemente tutte le Aree marine protette. 

Scarsa depurazione e scarichi illegali rendono il mare inquinato 

Purtroppo, però, mala depurazione e scarichi illegali restano il principale nemico del mare e delle acque interne in Italia. Secondo i dati diffusi da Goletta verde ogni estate, infatti, uno ogni tre punti di campionamento durante la campagna estiva su oltre 8000 km risulta oltre i limiti di legge. Situazione critica alle foci dei fiumi: inquinate nel 58% dei casi. Ma c’è di più, su 263 campioni prelevati lungo le coste marine dai volontari di Goletta verde, 22 punti sono stati giudicati inquinati e 70 fortemente inquinati: nel complesso oltre i limiti di legge quindi il 35% del totale. 1 punto inquinato ogni 81 km di costa. Per questo l’associazione ambientalista è tornata a ribadire l'urgenza di destinare più investimenti per efficientare la depurazione e completare la rete fognaria, a partire dall'utilizzo delle risorse europee del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza). 

Il mare italiano sta male anche per colpa della plastica

Ma ci sono altre cause di questo cattivo stato di salute.  Secondo i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), i mari italiani, infatti, sono in sofferenza per tanti altri motivi. Basti pensare che sulle spiagge italiane è stata registrata una media di 400 rifiuti ogni 100 metri. Il 60% dei rifiuti è costituito da borse per la spesa (uno dei motivi perché dovremmo - se ancora non l'abbiamo fatto - smettere di usare buste di plastica), cotton fioc, posate usa e getta, cannucce, bottiglie. In alcune aree, anche i rifiuti spiaggiati che derivano dalle attività di pesca e acquacoltura sono molto abbondanti. Nei fondali italiani si deposita più del 70% dei rifiuti marini, di cui il 77% è plastica. In alcune aree dell’Adriatico, si trovano più di 300 oggetti per Km2 e la plastica rappresenta più del 80%. Uno dei principali impatti dei rifiuti marini sugli organismi è rappresentato dall’ingestione della plastica e dalla presenza di microplastiche. Nel Mediterraneo più del 63% di tartarughe marine ha ingerito plastica. Nel Mar Tirreno, più del 50% dei pesci analizzati e il 70% di alcuni squali che vivono in profondità hanno ingerito plastiche. Inoltre, in profondità, gli attrezzi da pesca, persi accidentalmente o deliberatamente abbandonati hanno un impatto sugli ambienti profondi perché intrappolano gli organismi e possono creare ferite o sradicarli, causando una progressiva degradazione dell’ambiente e impoverimento della biodiversità.

Sovrappesca e acquacoltura, i mali sottovalutati

E infine, ma non in ordine di importanza, c’è il sovrasfruttamento degli stock ittici. Su 243 specie identificate nei mari italiani (68% è ormai stabile), nelle aree vicine ai porti e agli impianti di acquacultura sono state rilevate 47 specie aliene rilevate negli ultimi anni, di cui 24 di recente introduzione. Per quanto riguarda la pesca emerge che il 75% degli stock ittici nel mediterraneo è sovrasfruttato, in calo dall’88% rilevato 6 anni fa grazie alla diffusione di pratiche più sostenibili ma non è ancora abbastanza. D’altra parte quanto la pesca sostenibile, o meglio smettere di mangiare pesce sarebbe vitale per il mare e il pianeta è stato ampiamente sottolineato nel documentario Seaspiracy

Seaspiracy, il documentario 

Seaspiracy - Esiste la pesca sostenibile? è un film documentario disponibile su Netfix, interpretato e diretto da Ali Tabrizi (Stati Uniti, 2021), un ambientalista che passa le giornate a raccogliere plastica sulla spiaggia. L'uomo intraprende un'indagine sulla pesca industriale che lo porterà a convincersi di come essa sia la principale causa dei problemi ambientali legati al mare. Intervistando ricercatori, attivisti e associazioni, cerca allora di capire se esista un modello di pesca sostenibile. Le sue investigazioni lo rendono scettico su questa possibilità, facendogli concludere che la scelta migliore per salvare gli oceani (e quindi il pianeta) sia smettere di mangiare pesce

Overfishing e inquinamento: nel 2050 in mare più plastica che pesci 

Eppure, si parla ancora troppo poco della salvaguardia del mare e del pericolo che possono costituire non solo l’inquinamento ma anche le attrezzature che vengono adoperate per la pesca. Oggi, si calcola, infatti, che ogni anno vengano pescati negli oceani circa 100 tonnellate di pesce e se questa tendenza - assieme all'inquinamento da plastica - non verrà invertita a breve, entro il 2050 ci sarà in mare più plastica che pesci e scompariranno tantissime delle specie ittiche che oggi conosciamo. Lo sfruttamento intensivo delle risorse marine non permette alle differenti specie di sostituire il pesce pescato con nuovi nati. 

Inoltre, la pesca intensiva aumenta in modo significativo l’inquinamento dei mari perché la maggior parte dell’inquinamento da plastica presente in mare è provocato dall’abbandono di attrezzature da pesca nelle acque o lungo i litorali. Ogni anno finiscono in mare 640mila tonnellate di lenze, trappole adoperate per la pesca commerciale e un numero incredibile di reti. L’inquinamento provocato dalla pesca e l’overfishing hanno un impatto devastante sui nostri mari.

Non solo, il mare è in pericolo anche a causa dell’allevamento intensivo. Gli allevamenti intensivi ittici, infatti, presentano le stesse criticità di quelli di bestiame sulla terra: un elevato impatto ambientale, e un carico di batteri, escrementi e grandi quantità di antibiotici rilasciati in acqua

Le possibili soluzioni e azioni da intraprendere 


Secondi l’alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, qualche possibilità di manovra c’è ancora. Ma è importante agire presto. In particolare, le proposte dell’ASviS su “Vita sott’acqua” sono:

Gestire efficacemente il 100% delle Aree marine protette (Amp) e dei Siti di importanza comunitaria (Sic) marini italiani, in modo da eliminare il fenomeno dei “paper park” (aree aventi uno status di luogo protetto solo sulla carta, che secondo gli esperti necessitano di maggiori attività di protezione per arrestarne il degrado) e rispettare le convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia, conseguendo il buon stato ecologico dei mari e colmando i ritardi rispetto alla Strategia marina europea.
Favorire la co-gestione sostenibile della pesca, promuovendo e sostenendo le esperienze della piccola pesca, basate sul coinvolgimento di pescatori, associazioni di categoria, istituzioni, enti di ricerca e associazioni ambientaliste.
Dare riconoscimento giuridico al Piano di azione regionale della Commissione generale della pesca in Mediterraneo, organizzazione regionale che fa parte della Fao e unisce 22 Paesi tra cui l’Italia. Il Piano ha come obiettivo prioritario la riduzione del cosiddetto “sforzo di pesca”, al fine di limitare l’impatto sulle risorse biologiche marine, supportare il settore della piccola pesca attraverso la promozione del pescaturismo, della trasformazione e della vendita diretta del prodotto ittico locale ai consumatori.

Foto di apertura badjaw©123RF.com