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Vita da Mamma: la rubrica di Federica Federico

Adolescenza
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Controllate i cellulari dei bambini: pericolo bullismo e cyberbullismo

Controllare i cellulari dei bambini non è solo un gesto di protezione verso i propri figli è un dovere di educazione digitale. Il bullismo e il cyberbullismo sono problemi sociali e collettivi e solo facendocene carico possiamo estirparli.

Controllare i cellulari dei bambini non è solo un gesto di protezione verso i propri figli è un dovere di educazione digitale. Il bullismo e il cyberbullismo sono problemi sociali e collettivi e solo facendocene carico possiamo estirparli.

L’irritabilità, l’evitamento del gruppo, le manifestazioni improvvise di paura, un’atteggiamento ansiogeno, una generale tensione negativa verso la scuola, la palestra o il gruppo dei pari, un'inspiegabile chiusura, diverse manifestazioni di malessere fisico non giustificate da condizioni patologiche, disturbi del sonno, un crollo dell’autostima e un calo del rendimento scolastico possono essere spie di un disagio. Nello specifico sono sintomi osservabili e manifesti nelle vittime di bullismo e cyberbullismo

Quando si parla di bullismo, l’associazione mentale più comune è quella con la violenza. Se in parte siamo condizionati dalla cronaca più esposta, che ci racconta della faccia feroce del bullismo, questa associazione (bullismo - violenza) dipende fortemente da una tendenza sociale a sintetizzare il male nella aggressione tangibile, nella ferita fisica e virulenta.

Tuttavia l’altra faccia della medaglia del bullismo è altrettanto pericolosa pur rimanendo più silente e meno immediatamente riconoscibile: stiamo parlando del bullismo psicologico e del cyberbullismo.

Il bullismo che non sanguina sul corpo ma nel cuore: mamme fate molta attenzione

Il cyberbullismo, che per definizione è quella forma di bullismo che adopera lo strumento elettronico per aggredire la vittima, è una violenza non fisica ma sistematica, canalizzata attraverso un mezzo informatico e alla portata di tutti i ragazzi, profonda e capillare nella vessazione anche pubblica, allargata al gruppo dei pari e persino oltre.

La violenza psicologica tra pari è scarnificante: aggredisce la vittima come una fiera aggredisce la preda, mette a nudo le ossa e l’anima, si nutre delle fragilità e delle diversità ed è il fenomeno sociale che più di ogni altro inquadra l’egoismo e la solitudine della società in cui viviamo.

Solo emancipando il nostro pensiero dalla associazione bullismo-violenza fisica potremmo comprendere pienamente l’importanza di monitorare i comportamenti dei nostri figli (anche nelle relazioni mediate dagli strumenti informatici). Manca ai ragazzi di oggi, alle loro famiglie e fortemente pure alla scuola una corretta educazione digitale che renda cellulari, tablet e PC strumenti di comunicazione funzionale.

Bulli e bullismoFoto: Antonio Guillem/123rf

Perché è importante controllare i cellulari dei bambini e in che modo farlo?

Controllare i cellulari dei bambini non è solo un gesto di protezione verso i propri figli e non equivale necessariamente a un controllo materiale potendo diventare un confronto dialogante sul come, perché e quando dell’uso.

L’atto di supporto all’utilizzo del cellulare non vale solo affinché i nostri figli non subiscano in prima persona alcuna vessazione o aggressione, il controllo dell’accesso di un bambino alla rete è un dovere di educazione digitale. In una conversazione viso a viso le parti si guardano e parlano anche attraverso la mimica del volto e dei gesti. Dietro lo schermo del cellulare o del PC agiamo “senza volto” e al non poter essere visti, mentre scriviamo e comunichiamo, corrisponde l’eguale impossibilità di vedere l’altra parte. 

L’assenza della mimica facciale e del linguaggio del corpo mina l’immediatezza di alcuni feedback comunicativi: il bambino che sta “offendendo” il compagno non subisce l’impatto emotivo delle lacrime dell’amichetto. Questa assenza non è secondaria e rappresenta una delle condizioni di aggravamento degli atteggiamenti bullizzanti. 

Mentre è nascosto dietro il suo strumento elettronico, al bullo manca la presa di coscienza dello sconcerto dell’altro, della sua rabbia o della sua paura. Il bullo è da solo, gode dell’adrenalina prodotta dalle sue stesse parole e alimentata dall’attesa “buia” del messaggio di risposta. Inoltre, quando lo scherno è pubblicamente esposto, il carnefice viene caricato e supportato dall’ilarità degli altri.

In questa assenza di reazioni a specchio visivo, nella mancanza della compresenza fisica, come nell’attesa solitaria di riscontri e risposte, le parole non sono semplicemente “libere”, la loro cattiva gestione facilmente può renderle aggressive e brutali. Un adulto riesce a comprenderlo, mentre un bambino deve imparare il valore della comunicazione (fosse anche mediata) e qualcuno dovrà pure insegnarglielo!

Non si nasce bulli, ma si diventa prima arrabbiati, poi frustrati e infine oppositori e aggressivi. Anche il bullo soffre, semplicemente non è abbastanza forte da ammetterlo.

Controllate i cellulari dei vostri figli: i ragazzini, già a 10\12 anni, potrebbero essere molto diversi da quei bimbi profumati di borotalco che tenevate stretti al petto … praticamente fino a ieri.

Siamo abituati a familiarizzare con le vittime di bullismo, come è giusto che sia. La vittima, però, ci attrae a sé anche perchè sollecita in noi profondi sensi di colpa: proprio noi adulti, grandi e responsabili come siamo, concorriamo a costruire una società orientata all’apparenza e alla  esposizione scintillante dell’essere formale.

L’essere formale è pienamente conforme alle comuni aspettative sociali, ma non sempre fonda sé stesso su una solida impalcatura valoriale e ideale. 
Siamo ciò che possediamo e non possediamo sempre un animo nobile. Ma il mondo potrà mai divenire migliore senza anime dorate che lo innalzino?
Da adulti siamo consapevoli della crisi del sistema dei valori, della concentrazione sui beni materiali, della grande attenzione al danaro e dell'importante deviazione verso l’apparenza. In quest’ottica la vittima ci appare come il solo elemento da curare dinnanzi al fenomeno bullismo: il bullo è semplicemente il cattivo, è l’onta, è il sunto di tutto quel “peggio sociale” poc’anzi descritto. 

Ma in realtà bullo e bullizzato sono due vittime e sono due figli di uno stesso male: l’indifferenza degli adulti. Malgrado la consapevolezza di genitori, insegnanti ed educatori, la società non cambia perché noi adulti non muoviamo le nostre azioni nella nobile direzione del buon esempio, siamo esemplificativi, superficiali e poco attenti alla sensibilità altrui. Il bullo è un ragazzo dal comportamento disfunzionale. Senza volerlo giustificare, va detto che ha evidentemente accumulato un’enorme frustrazione e tanta rabbia

Il bullismo dei genitori contagia i figli, l’atteggiamento da bullo non è, infatti, una predisposizione innata, probabilmente è il risultato di modi di agire assimilati già in casa. 

Il bullismo è una conseguenza del divenire (crescere ed essere educato) e non è l’essere in sé stesso.

Il bullo impara a casa la sopraffazione, la legge del più forte, la reazione violenta e metabolizza questi atteggiamenti come strumenti di “risoluzione dei conflitti”. 
Il bullizzato, per parte sua, è stato certamente sottovalutato, è rimasto incompreso e si sente abbandonato da chi avrebbe dovuto proteggerlo. Troppo spesso la vittima viene etichettata come il ragazzo fragile, quello che non si sa proteggere, il bambino che deve crescere. Nella sua solitudine questa vittima commette un delitto contro sé stesso: scappa sempre più profondamente dentro la propria solitudine. 

Il cyberbullismo permette al bullo di essere pregnante, mentre la vittima può scivolare in enormi sacche di buia solitudine senza che nessuno la veda fuggire. I dolori coinvolti in questa spirale di violenza sono due, la condanna è una soltanto e pesa sulla famiglia e sulla società.

Controllate i cellulari dei vostri figli con la consapevolezza che il bullismo è una responsabilità di noi adulti. 

Non vi chiedo di avere pietà del bullo, non sarebbe l’atteggiamento giusto e non sarebbe nemmeno plausibile, ma vi chiedo di mettere in atto comportamenti maturi, seri, supportivi e correttivi, ovvero capaci di realizzare una maglia sociale di protezione e finalizzati ad educare i bambini e i ragazzi al rispetto.

Viviamo in una società estremamente esemplificativa: “Bullo è una parola grossa” dicono le mamme che vogliono sfuggire alla responsabilità di non aver intuito la frustrazione dei figli. Ma bullo non è una parola, nemmeno è un profilo comportamentale rigidamente delineato, si tratta, piuttosto, di una condizione
Bullo non è né una parola grossa né una piccola: è una fragilità implosa così violentemente da diventare forza distruttiva

Essere incapaci di intercettare un punto di contatto con il diverso da sé é destabilizzante e può scuotere  fino a un punto di non ritorno, ovvero fino a sentire il bisogno di “scavalcare” l’altro negando violentemente la sua posizione e la sua condizione. Il bullo è un prevaricatore per bisogno di emersione: non riesce a eccellere per autonomo slancio e, pur di sentirsi vivo, scarica l’energia repressa e mal covata contro gli altri.

Molto spesso le situazioni bullizzanti vengono sminuite, a facilitare le esemplificazioni è l’atteggiamento stesso della vittima che tendenzialmente si chiude e si cala dentro il dolore, si isola, si allontana, evita, scappare e si nasconde.  In questa società iper-veloce e iper-produttiva la vittima di bullismo non fa rumore, almeno non fino “all’eruzione”.

Attenzione: le vittime di abusi emotivi possono rifugiarsi nell’evasione del silenzio, nel chiuso della loro anima ma lì non sono affatto al sicuro. Covano il dolore, ne hanno cura, mangiano la loro stessa frustrazione e rabbia, alimentano tra sé e sé la sensazione svilente di non essere parte, di non essere capaci, di non essere … niente. Poi, un giorno, il “vulcano erutta” e la violenza ricevuta, fisica o emotiva che sia, si esternalizza muovendosi o verso il mondo o verso la propria persona. Violenza porta violenza, è un’antica legge che va corretta con la pace. E non si tratta di romanticismo o umanità, è solo questione di scegliere da che parte del Tao della vita collocarsi.

La colpa di tutto questo è di noi adulti, è nostra per ogni volta in cui non abbiamo saputo rendere giustizia alle differenze e privilegiarle. A fronte della grande diffusione della tecnologia, anche come strumento di comunicazione tra i ragazzi, noi adulti abbiamo trascurato l’educazione digitale. 

Ai nostri figli dovremmo insegnare che:

  • chattare non è parlare; 
  • un cellulare diventa un'arma di offesa se rappresenta il canale di divulgazione di immagini altrui inappropriate, offensive o semplicemente rubate; 
  • se chatto con qualcuno devo mantenere una educazione persino maggiore di quella che terrei in sua presenza; 
  • il cellulare non è una propaggine dell’ego;
  • le parole hanno un peso e scriverle, ancor più che pronunciarle, ha un valore oggettivo perché restano impresse nella memoria emotiva e visiva di chi le riceve;
  • cancellare un messaggio non equivale a non averlo mai scritto ed anzi può rappresentare un atto di fuga e un atteggiamento di profonda vigliaccheria;
  • se scrivo qualcosa di sbagliato (anche solo a livello emozionale, ovvero se le mie parole diventano lesive dell’altrui sensibilità) è doveroso chiedere scusa;
  • il diverso non esiste, nessuno deve sentirsi costretto all’uniformazione per paura di non essere altrimenti accettato.

Il diverso non esiste: ai nostri figli dovremmo insegnare che tutti abbiamo delle caratteristiche che singolarmente considerate rappresentano una diversità, perciò chiunque di noi potrebbe essere considerato “diverso” da un altro.

La comunicazione in rete pretende un rispetto largo ed esteso dei diritti altrui, operiamo un auto-controllo anche dei nostri cellulari per accertarci di essere veramente consapevoli di questo come adulti, come genitori e come esempio.

Molti atteggiamenti bullizzanti passano attraverso l’abuso dell’immagine: 

  • se voglio pubblicare una foto di un mio amico devo chiedergli il permesso! Ecco un’altra cosa che dovremmo insegnare ai nostri figli. 

Possedere un’immagine sul proprio cellulare, averla catturata in questa o quella occasione non fa di noi i proprietari dell’altrui faccia. Ma quest’atto di educazione anti-bullismo, ovvero chiedere il permesso di rendere pubbliche le immagini altrui, è qualcosa che nemmeno gli adulti mettono costantemente in pratica.

Educare i figli all’empatia equivale a pulire il loro mondo dalla violenza e dalla sopraffazione, significa insegnare loro che i rapporti inter-relazionali non sono atti di forza ma atti di amore. 

Educazione all'uso del cellulareFoto: fizkes/123RF 

Diventano bulli i figli trascurati, quelli che sentono di non poter contare su un genitore protettivo. Essere genitori punitivi, rigidi o repressivi non basta a mettere al sicuro l’educazione dei figli, è importante che il ragazzo trovi nell’adulto un porto sicuro in cui riversare quel carico di ansie e frustrazioni che altrimenti diventano rabbia e possono sfociare in atteggiamenti violenti e di sopraffazione.

Alcuni consigli pratici per prevenire il cyberbullismo

  • Mai cellulari prima della quinta elementare;
  • L’introduzione del cellulare merita un periodo di monitoraggio attento. Ove possibile, regalatelo preferibilmente appena prima dell’estate o di un periodo di vacanza dedicando del tempo a istruire il ragazzo al suo corretto uso;
  • Controllate i cellulari dei vostri figli partendo da una sola regola base: farne un uso funzionale,
  • Abbiate cura di essere un buon esempio.

Con molta facilità affidiamo ai bambini il primo cellulare più difficilmente controlliamo l’uso che i ragazzi ne fanno, perché?

Tutti noi abbiamo assimilato il cellulare nelle nostre abitudini di vita e in qualche modo lo abbiamo sdoganato mancando di  dare il giusto peso al potenziale comunicativo che riveste.

Il cellulare è un affaccio isolato sul mondo, da questa ipotetica angolazione nascosta ognuno di noi può ottenere una visione prospettica delle cose, ma potenzialmente può anche “sparare colpi di pistola sulla folla”. Un messaggio mortificante contro un compagno è un colpo di pistola, all’opposto un messaggio di conforto è il frutto di una visione di insieme in cui la difficoltà del compagno è stata positivamente colta. La pratica della mortificazione è già bullismo. Il web può avere un potere accrescitivo e fare da cassa di risonanza.

App e piattaforme comuni tra i giovani possono indurre nell’errore che il cellulare sia una vetrina di sé stessi sottolineando il valore del corpo e dell’apparenza, favorendo la sopraffazione come strumento di affermazione, esasperando persino la competizione. Noi genitori dobbiamo educare all’uso dello strumento elettronico come funzionale e soprattutto dobbiamo educare alla costruzione individuale del sé non come immagine ma come essere.

Il bullismo e il cyberbullismo sono problemi sociali e collettivi, solo facendocene carico possiamo estirparli.

Foto apertura: Antonio Guillem/123RF