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Cosa fare se un bambino è positivo al coronavirus: un vademecum per i genitori

È uno scenario che speriamo di non dover mai affrontare, ma ecco quello che serve sapere nel caso in cui nostro figlio fosse positivo al coronavirus.

È uno scenario che speriamo di non dover mai affrontare, ma ecco quello che serve sapere nel caso in cui nostro figlio fosse positivo al coronavirus.

Di sicuro è un pensiero che vuoi scacciare il più lontano possibile dalla tua mente. Ma, con la riapertura delle scuole e l’arrivo della tanto temuta “seconda ondata”, è pur sempre un’eventualità da tenere in considerazione. Il tuo bambino ha qualche linea di febbre o un’insistente tosse secca, il pediatra gli prescrive il tampone… e risulta positivo al coronavirus.

Che fare? La prima regola è quella di non farsi prendere dal panico: a diversi mesi dall’esordio della pandemia, i nostri medici sono più che capaci di valutare ogni situazione e affrontarla nel migliore dei modi. Se i genitori sfoderano la giusta dose di consapevolezza e sangue freddo, poi, anche l’isolamento passa in un battito di ciglia. Abbiamo chiesto qualche consiglio alla dottoressa Elena Bozzola, segretaria e consigliera nazionale della Società Italiana di Pediatria (Sip) e medico presso l’unità di Pediatria generale dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma.

I sintomi del Covid-19 più comuni nei bambini

Come prima cosa la dottoressa ci regala una gran bella rassicurazione, confermandoci ciò che si legge nei giornali: nella maggioranza dei casi, il Covid-19 si manifesta nei più piccoli con sintomi lievi, paragonabili a quelli di una comune influenza. Bisogna quindi aspettarsi febbre, tosse, difficoltà respiratoria. Rispetto agli adulti, la percentuale di bambini ospedalizzati o addirittura in terapia intensiva è «molto, molto inferiore».

Questo non significa, ci tiene a precisare la dottoressa Bozzola, che il coronavirus possa essere preso sottogamba. «È falsa la notizia, circolata a lungo in Rete, per cui il bambino non si ammala mai o al massimo manifesta sintomi lievi. Non è così. Purtroppo ci sono anche casi di bambini con sintomatologie importanti o miocarditi, che hanno bisogno della terapia intensiva». Rari, magari rarissimi, ma ci sono. Secondo le ultime stime, il tasso di ospedalizzazione nella popolazione pediatrica varia tra il 2,5 e il 4 per cento, con un’incidenza maggiore tra gli adolescenti o tra i piccolini al di sotto dell’anno di età.

La terapia per curare il Covid-19

Caliamoci nella situazione più comune, quella in cui il bambino può trascorrere tranquillamente la convalescenza a casa. Il pediatra gli prescriverà il paracetamolo, utile per controllare la temperatura, o anche l’ibuprofene. Proprio come fa per tanti altri virus che è facile contrarre frequentando asili e scuole.

Ma i farmaci vanno accompagnati anche da un corretto stile di vita, ci ricorda Elena Bozzola: «Sicuramente è importante una buona alimentazione ricca di frutta e verdura. Tanti bambini infatti non ne mangiano porzioni adeguate, soprattutto quando si sentono poco bene o hanno gusti un po’ difficili». Se proprio si fa fatica a convincerli, gli integratori possono aiutare. Anche il riposo ha il suo peso nella guarigione: insomma, per una volta non c’è fretta di tornare a scuola!

«Se poi ci sono sintomatologie più gravi o importanti, con tosse persistente o difficoltà respiratoria, i pediatri del territorio sono tenuti a visitare i pazienti, perché ci potrebbero essere delle sovrainfezioni batteriche che vanno curate con gli antibiotici», continua.

Bambini e coronavirus: quando chiamare il medico

Non serve essere particolarmente apprensivi per porsi una domanda: e se, dopo aver esordito con qualche sintomo leggero, il bambino peggiora? Quali sono i campanelli d’allarme da non ignorare? «Una mamma sa quando suo figlio sta male, glielo legge in faccia», ci tranquillizza la dottoressa Bozzola. Se quindi ha qualche linea di febbre ma è vigile, reattivo e segue i suoi soliti ritmi, non c’è nessun motivo per allarmarsi.

Bisogna invece chiamare subito il medico se «sta molto male, si rifiuta di mangiare o bere, oppure se ha tanti episodi di vomito o diarrea. Come gli adulti, inoltre, anche i bambini possono andare incontro a difficoltà respiratoria, come la cosiddetta ‘fame d’aria’. In questo caso bisogna portarli subito in ospedale». Tutti sintomi che qualsiasi genitore riconosce a colpo d’occhio.

Come prendersi cura di un figlio in isolamento domiciliare

Per l’adulto positivo al coronavirus, le regole dell’isolamento domiciliare sono parecchio rigide. Oltre a non uscire di casa per nessun motivo, deve restare da solo in una stanza ben ventilata che va disinfettata una volta al giorno, mangiare da solo, restare rigorosamente a un metro di distanza dagli eventuali coinquilini. Tutte norme comprensibili, ma non certo applicabili quando il paziente è un bambino. «Anche in ospedale di solito ricoveriamo il piccolo paziente insieme a un genitore, a meno che non si tratti di una terapia intensiva», conferma la dottoressa.

«Quando c’è un caso di Covid-19 bisogna indagare l’intero nucleo familiare, ed è abbastanza comune che anche i genitori siano stati contagiati. Essendo conviventi, in ogni caso, rientrano comunque nella categoria dei ‘contatti stretti’ da sottoporre all’isolamento», continua. «Senza dubbio la presenza di un adulto è indispensabile per preparare i pasti al piccolo, cambiarlo, aiutarlo a vestirsi, fargli prendere le medicine, monitorare l’evoluzione dei sintomi».

Se invece il genitore è negativo, come fa a tutelare la propria salute? La risposta sta nelle norme di prevenzione che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi: sanificare di frequente le mani, indossare occhiali resistenti o visiere, spalancare le finestre più volte al giorno. E, soprattutto, mettere correttamente la mascherina coprendo naso e bocca. «Se un soggetto non ha il Covid-19 e l’altro sì, ma indossano entrambi una banale mascherina chirurgica, il rischio di trasmissione è minimo. Si parla dell’1-2%. Se invece il bimbo è troppo piccolo, può essere utile che il genitore indossi una mascherina con una capacità filtrante superiore, di categoria ffp2».

Bimbi in quarantena: l’importanza di usare le parole giuste

Almeno dieci giorni di clausura tra quattro mura, senza andare a scuola, incontrare gli amichetti al parco, allenarsi insieme alla squadra di calcio o pallavolo. Come farli “digerire” a un bambino in età da asilo o da scuola primaria, che non ha certo i nostri stessi strumenti per razionalizzare l’accaduto? Secondo la dottoressa, i nostri figli sono più che capaci di sorprenderci in positivo.

«Già durante il lockdown si diceva che i bambini fossero le grandi vittime. Io invece sostengo, da pediatra ma soprattutto da mamma, che loro non soffrano se noi grandi sappiamo trovare il risvolto positivo di ogni cosa». Se l’isolamento è descritto come un’imposizione e gli stessi genitori fanno il conto alla rovescia per la data della “liberazione”, è comprensibile che il piccolo di casa si senta come un leone in gabbia. «Ma noi abbiamo il potere di farlo vivere in un altro modo, come una festa privata in cui mamma e bambino possono inventare storie, costruire marionette, fare lavoretti con la pasta di sale, guardare un bel film, ballare insieme. Un bel modo per scoprirsi e riscoprirsi, godendo della compagnia dell’altro».

Foto apertura: Ecaterina Glazcova - 123RF