Salute e Benessere Tips
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Il diabete di tipo 1 spiegato a chi non ce l'ha

Si tratta di una malattia autoimmune e il suo esordio non ha nulla a che fare con l'alimentazione, né con lo stile di vita. Ne abbiamo parlato con Giulia Mengolini, giornalista e blogger affetta dalla patologia. 

Si tratta di una malattia autoimmune e il suo esordio non ha nulla a che fare con l'alimentazione, né con lo stile di vita. Ne abbiamo parlato con Giulia Mengolini, giornalista e blogger affetta dalla patologia. 

Nell'ambito della salute la prevenzione è fondamentale, ma tante volte, purtroppo, non basta. Non c'è vademecum salutista che tenga, né preghiera immunizzante: la vita fa da sé, un po' come le pare, a prescindere dalla nostra condotta morale e materiale.

Vale per tutti, ma ce ne rendiamo conto di più e meglio se nella distribuzione di questo o quel male il destino beffardo sceglie proprio noi. E quando questo avviene, quando vediamo che il mirino punta dritto dalla nostra parte, i molteplici “perché?” restano senza risposta. Di alternative, a quel punto, ne abbiamo solo due: fuggire e perdere, o rispondere.

Pensavo questo mentre parlavo con Giulia, mia amica, giornalista e blogger, che da qualche anno vive con una penna per l’insulina nella borsa, e un sensore per monitorare la glicemia sul braccio. Quando l’ho conosciuta aveva da poco scoperto di essere affetta da diabete di tipo 1, ma solo dopo mesi me ne aveva parlato. L’aveva fatto spontaneamente, con occhi fiduciosi ma velati dalla paziente consapevolezza che io, purtroppo, non avrei potuto capire. Ed è così: oggi come ieri io non posso capire. Non fino in fondo.

Posso però imparare, e lo sto facendo. Anche grazie a lei, che di recente ha aperto una pagina Instagram, @senzazuccheri_aggiunti, per parlare a quelli come me, non diabetici e inconsapevoli, ma soprattutto alle persone, tra cui tanti giovani confusi e spaventati, affette da diabete di tipo 1. Che, c'è da chiarirlo subito, è molto diverso da quello di tipo 2.

In occasione della Giornata mondiale del diabete, che ricorre il 14 novembre, le ho chiesto di parlarmi della patologia, per spiegare cosa significa doverci convivere e perché è davvero importante informare e sensibilizzare le persone su questo tema.

Cos’è il diabete? Qual è la differenza tra 1 e 2?

Il diabete è una malattia cronica caratterizzata da alti livelli di glucosio nel sangue. C’è una differenza sostanziale tra il tipo 1 e il 2, che in molti ignorano. La maggior parte delle persone ha il 2, quello che in genere colpisce gli anziani. Un tipo di diabete che si può prevenire, al contrario del tipo 1, con un corretto stile di vita e con la giusta dieta.

Il diabete di tipo 1 viene invece prevalentemente ai bambini e adolescenti, ma può arrivare a qualunque età e non dipende da scorrette abitudini alimentari. Si tratta in questo caso di una malattia autoimmune e degenerativa, di cui non si conoscono le cause. Quando si scatena la persona diventa insulinodipendente perché il pancreas distrugge le cellule beta, ovvero le cellule che, producendo insulina, fanno sì che quando mangiamo carboidrati non ci sia il picco glicemico. Nel diabetico questo meccanismo si inceppa.

Sbaglio o l’attenzione è minima sulla questione? Si tende a minimizzarne la gravità? Perché?

Mi capita spesso di dover spiegare agli altri cos’è. È assurdo che ci sia tanta ignoranza su una malattia così diffusa ma credo che dipenda dal fatto che si tratta di un disturbo invisibile. Una persona con diabete di tipo 1 sembra totalmente in salute: in realtà ha un organo che non funziona ed è costretta a passare tutta la vita a cercare di farlo funzionare, 24 ore su 24. Si tratta di una vera e propria disabilità: chi ne è affetto può chiedere la legge 104 sul lavoro e rientrare nelle categorie protette.

Di recente un ragazzo è morto di ipoglicemia, nel sonno, a 31 anni.

La terapia è concordata col diabetologo ma poi è gestita totalmente dal paziente. E l’insulina  è un farmaco salvavita per il diabetico, ma è potenzialmente anche mortale. Quindi se fai un errore, se non la gestisci al meglio, rischi molto. Il ragazzo che è morto ultimamente, in ogni caso, non deve per forza aver sbagliato qualcosa: una persona può fare anche tutto bene, ma se nel sonno non senti i sintomi dell’ipoglicemia non puoi ovviamente intervenire. E nessuno può farlo per te.

Tu quando e come hai scoperto di esserne affetta?

L’ho scoperto in un modo “anomalo”. Nel 2013 ho fatto le analisi di routine e la mia glicemia a digiuno era un po’ alta per un normoglicemico. La dottoressa mi disse che forse avevo mangiato troppo durante le feste e di ripetere il prelievo dopo qualche mese, ma senza allarmi. Io non diedi peso alla cosa e rifeci le analisi dopo diverso tempo: la glicemia era ancora alta e la dottoressa mi mandò da un nutrizionista che mi diede una dieta sostenendo che la mia fosse una "predisposizione al diabete". In quel periodo dovevo trasferirmi in un’altra città, quindi per sicurezza andai da uno specialista. Lì arrivò la diagnosi.

Hai detto che il tuo esordio è stato anomalo. Qual è l’esordio “tipico”?

Nella maggior parte dei casi avviene con una chetoacidosi che comporta il bisogno di urinare frequentemente, tanta stanchezza, tantissima sete. Si sta molto male e si corre in ospedale, con la glicemia altissima, dai 500 agli 800 (il valore normale per un normoglicemico è sotto i 100, ndr). Molti rischiano il coma diabetico e vengono letteralmente “presi per i capelli”.

Tu invece non hai mai avuto episodi così gravi?

No, e ringrazio di non essere mai stata così male. C’è da dire che però questo probabilmente non mi ha aiutato a capire all’inizio quanto grave potesse essere questa malattia, quanto importante fosse l'insulina, che mi aveva salvato. Al contrario, l'esordio "blando" me l’ha fatta odiare, perché da un giorno all’altro, stando benissimo, ho dovuto iniziare, con lei, una vita nuova.

Cosa hai fatto/pensato quando hai ricevuto la diagnosi?

Ricordo benissimo quando il medico mi disse che sarei stata insulinodipendente: il buio. Da una parte ero disperata pur non sapendo ancora cosa comportasse. Dall’altra cercavo di negarla. All’epoca avevo ancora valori bassi quindi convinsi il mio medico a farmi mangiare pochi carboidrati per ritardare il momento in cui avrei dovuto prendere l’insulina. Il fatto che lui me lo abbia permesso è stato un male per me: da una parte perché avevo – nonostante l’alimentazione controllata - continue iperglicemie, ma soprattutto perché comunque prima o poi avrei dovuto iniziare a prenderla, e sarebbe stato meglio farlo subito. Aspettare ha ritardato l'accettazione della malattia.

Il cibo scandisce la vita di ognuno di noi. È il “luogo” nel quale ci si incontra praticamente di continuo: dalla pausa pranzo al cinema e pop corn. In che modo il diabete ha modificato la tua quotidianità?

All'inizio è stato difficile, perché tu hai in mano una penna di insulina e hai paura di farne troppa, o magari troppo poca. Ma pian piano, prendendo le misure, ho iniziato a mangiare tutto e a vivere senza precludermi nulla.

Qual è l'aspetto più difficile?

Una delle cose più complesse per il diabetico di tipo 1 è la conta dei carboidrati.

Cioè?

Dal 2000 non esiste più la dieta fissa per i diabetici di tipo 1: il concetto è che si può mangiare tutto, contando i carboidrati. Devi conoscere bene i cibi, e per questo esistono dei corsi, e poi capire quanti carboidrati ti copre un’unità di insulina. A tavola è spesso un terno al lotto, perché devi decidere in anticipo cosa mangiare, e se poi hai ancora fame devi fare un’altra iniezione. Vivi facendo calcoli e proporzioni. Quando sei a cena fuori è ancora più complesso perché non puoi pesare i cibi, devi regolarti ad occhio.

Ma le oscillazioni della glicemia non dipendono solo dal cibo...

No, infatti. Oltre a cosa mangiare, devi pensare a quello che farai dopo: camminerai? Andrai in bici? Al mare? Hai il ciclo? Sei arrabbiata? La glicemia varia di situazione in situazione.

Cosa diresti a una persona che non riesce ad accettare la cosa? Che ha difficoltà ad affrontarla sia sul piano “pratico” che psicologico?

Che poi non è come all’inizio. Ci si abitua. Certo non totalmente, è sempre fastidioso doversi fare dei buchi per controllarsi, ma andrà meglio. La cosa più importate è comunque chiedere aiuto: io sono stata quasi due anni nel mio dramma, senza riuscire a parlarne neanche con le persone più vicine. Un giorno mi sono decisa e, dopo mesi di malessere, ho chiamato una psicologa, un diabetologo nuovo - perché il primo non mi faceva stare bene -, e poi ho seguito il corso per il conteggio dei carboidrati. Tre cose, fondamentali, che io ho fatto tardi, ma che mi hanno aiutata moltissimo.

Ti sei sentita o ti senti mai “sotto osservazione speciale” quando sei a cena in compagnia?

Ho passato tanto tempo a non fare l’insulina in pubblico. Ora non mi interessa più se qualcuno "si impressiona”. Alcune persone si girano dall’altra parte. In parte lo capisco ma credo non sia bellissimo, considerato che non l’ho scelto: senza insulina io non vivrei.

Cosa diresti a un’amica per aiutarla a starti vicino nelle situazioni di emergenza?

La vera situazione di emergenza si crea quando la persona è confusa o incosciente perché in ipoglicemia. C’è un ormone che si chiama glucagone che si inietta per far risalire lo zucchero nel sangue quando non è possibile assumerlo da soli: i diabetici dovrebbero sempre averlo in frigo. Se sei incosciente qualcuno deve iniettartelo. Se però non si hanno certezze sulle cause del malessere è meglio evitare mosse azzardate e chiamare subito l’ambulanza.

Quali erano le tue paure principali all’inizio? 

All'inizio soffrivo al pensiero di non poter avere una vita normale. Soffrivo all'idea di perdere la mia libertà, di sentirmi schiava di qualcosa. Pensavo di dover rinunciare al lavoro, ai viaggi, ai cibi. Invece no, posso fare tutto, certo con la fatica di cui ti ho già detto.

E oggi, cosa ti spaventa?

Oggi le mie paure sono le ipoglicemie notturne: ho paura di non sentirne i sintomi. E poi le complicanze sul lungo periodo. Per tentare di evitarle, cerchi sempre di avere una glicata buona (la media glicemica su tre mesi, ndr). Avere glicate alte per tanti anni può portare gravi disturbi a diversi organi: al cuore, ai reni, ai piedi, agli occhi ecc. È questa la base di tutte le mie ansie: il timore che tante glicemie alte mi porteranno ad altre malattie. Le complicanze, in ogni caso, purtroppo, possono venire anche con gestioni ottimali.

Un'altra paura è quella della gravidanza, che per donne diabetiche è evidentemente più complessa: va programmata col diabetologo, perché, anche questa, dipende dalla glicata. Ovviamente si possono avere figli, ma sono necessari molti accorgimenti, e questo mi spaventa: in gravidanza sei responsabile per due.

Come mai la scelta di aprire una pagina Instagram sul tema? 

Ci pensavo da un po’. Di questo tema si parla poco e vedendo che all’estero ci sono diverse pagine di ragazze che cercano di ispirare altre persone affette da diabete, ho deciso di farlo anche io. È stata una scoperta perché non pensavo di trovare così tante persone interessate, persone che la vivono sulla loro pelle. Quindi di base avevo due motivi: da una parte cercare, nel mio piccolo, di fare informazione, dall'altra trovare confronto con altre persone che vivono le mie stesse ansie e difficoltà. Fa bene a loro, che magari si sentono incoraggiate vedendomi in una fase "avanzata" di accettazione e gestione del problema, e fa bene a me, che posso sfogarmi e confrontarmi con chi, so, su certe cose può capirmi più di chiunque altro.

Il diabete è male, ma il male spesso insegna.

Da quando ce l'ho ho scoperto una forza che non sapevo di avere perché faccio caso a tutte le cose che riesco a fare “nonostante” la malattia. Così, se mi capita qualcosa di complicato in altri ambiti della mia vita, dico: “Se gestisci tutti i giorni il diabete… puoi fare anche questo”.

Se avessi la possibilità di incontrare la Giulia che ha appena avuto la diagnosi, cosa le diresti?

Innanzitutto di disperarsi (sorride, ndr). Tutte le persone che l’hanno presa bene all’inizio, poi hanno avuto un crollo inevitabile davanti alle difficoltà reali della malattia. Le direi di prendersi il tempo che ci vuole per accettarlo, perché lo accetterà. E sì, ammetterei che sicuramente a volte si sentirà stanca e affaticata ma le garantirei che, "nonostante il diabete", sarà felice.

Foto apertura: dolgachov © 123RF.com