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Tina Anselmi, la donna a cui dobbiamo il Servizio Sanitario Nazionale

Nata a Castelfranco Veneto nel 1927, insegnante, sindacalista, esponente della Democrazia Cristiana, è stata più volte ministro sia del Lavoro che della Sanità. Senza di lei oggi il nostro Paese sarebbe molto diverso. 

Nata a Castelfranco Veneto nel 1927, insegnante, sindacalista, esponente della Democrazia Cristiana, è stata più volte ministro sia del Lavoro che della Sanità. Senza di lei oggi il nostro Paese sarebbe molto diverso. 

Durante l'emergenza coronavirus stiamo osservando i diversi atteggiamenti dei Paesi colpiti circa le misure di contenimento da adottare per fermare la pandemia. Se il disciplinatissimo Oriente ha dimostrato di poter arrestare l'avanzata del virus, l'Occidente ci sta provando tra grandissimi sacrifici sociali ed economici.

I governi che hanno sposato l'idea di una sanità pubblica, offrono ai cittadini colpiti cure e sostegno senza chiedere nulla in cambio (se non il pagamento delle tasse, a monte). Ben diversa è la situazione negli Stati Uniti, dove la sanità è privata e si stanno studiando le misure migliori per contenere la diffusione del covid-19 anche tra chi non è assicurato.

L'Italia è uno di quei Paesi in cui la sanità è pubblica. Finanziata dalle tasse che tutti noi siamo chiamati a pagare - le stesse che sostengono altre fondamentali istituzioni, come la scuola - il servizio sanitario nazionale è stato creato grazie a una donna: Tina Anselmi.

Insegnante, partigiana, sindacalista e tre volte ministro, ecco la storia di Tina Anselmi, una donna fondamentale ancora oggi, ai tempi del coronavirus.

Chi è Tina Anselmi

Nata a Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, il 25 marzo 1927, Tina Anselmi era figlia di un aiuto farmacista (perseguitato dai fascisti) e della proprietaria di un'osteria. Durante gli anni presso l'istituto magistrale, Tina fu costretta ad assistere all'impiccagione di trentuno prigionieri per rappresaglia. Fu lì che si fece forte l'idea di prendere parte attivamente alla Resistenza. Il suo nome di battaglia era "Gabriella" e fu la staffetta della brigata Cesare Battisti.

Dopo la Seconda guerra mondiale riuscì a laurearsi in lettere, diventando poi insegnante elementare. Si iscrisse alla Democrazia Cristiana e si dedicò attivamente alla vita sindacale nella CGIL e poi alla CISL. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta la sua ascesa politica fu molto rapida. Nel 1962 venne eletta componente del comitato direttivo dell'Unione europea femminile, della quale divenne vicepresidente nello stesso anno.

Il cammino politico che ha portato Tina Anselmi da giovane partigiana a ministro prima del Lavoro e poi della Sanità inizia nel 1968, quando viene eletta per la prima volta nella circoscrizione Venezia-Treviso. Nel corso del tempo ha preso parte alle commissioni Lavoro e previdenza sociale, ma anche di Affari sociali. Si è occupata di problemi di famiglia e, tra le altre cose, si deve a lei la prima legge italiana sulle pari opportunità.

Nel documento si legge: "È vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale". Suona bene, nonostante ancora oggi si applichi molto poco di questa formula.

Il contributo di Tina Anselmi alla sanità italiana

Prima dell'istituzione del Ssn, la sanità italiana era divisa tra casse mutualistiche come l'Inail o l'Inam (Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie). Il meccanismo era molto simile a quello delle assicurazioni sanitarie in vigore ad esempio negli Stati Uniti. Chi era iscritto, pagandosi in parte in contributi, mentre l'altra parte era a carico del datore di lavoro, poteva usufruire di alcuni servizi fino a un limite massimo economico. Ciò che eccedeva, doveva essere pagato di tasca propria. Poi c'erano i medici condotti, presenti solo per scelta comunale, oltre ad alcune istituzioni di carità. I sanatori erano destinati alla malattie di lunga degenza.

All'articolo 32 la Costituzione riconosce che lo Stato "tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti". Nel 1958, in seguito a una grave epidemia di poliomelite viene istituito il Ministero della Salute. Nel 1968 con la Legge Mariotti viene istituita l'assistenza ospedaliera pubblica, con lo scopo di offrire cure a chiunque ne avesse bisogno, proprio come diceva la Costituzione.

Durante il suo incarico come Ministro della Sanità Tina Anselmi ha concluso il cammino verso l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, con la legge 883 del 23 dicembre del 1978. Non è stato facile. I compromessi fatti sono stati moltissimi. Inoltre, nello stesso testo furono aggiunge due importanti tappe per la tutela del diritto alla salute. Il primo: la chiusura dei manicomi con la legge Basaglia. Il secondo: la depenalizzazione dell'aborto e l'istituzione dei consultori pubblici.

L'impegno di Tina Anselmi per le donne

Nonostante le sue origini e la sua fede cattolica, Tina Anselmi ha sempre cercato di tutelare il diritto all'aborto, mettendo al centro del discorso politico e legislativo la salute delle donne.

Discriminazione di genere, diritto all'aborto, tutela della salute delle donne: la bussola morale della politica di Tina Anselmi è chiara. Ha voluto accompagnare l'evoluzione dello Stato sociale moderno con una vita migliore, più giusta e più sicura, per tutti i suoi cittadini, di qualunque sesso.

Nel 1979 è stata firmataria di una avanguardistica proposta di legge sull'insegnamento dell'educazione sessuale nelle scuole. Era il 1979. Inoltre, propose l'eliminazione della distizione tra "atti di libidine violenti" e "violenza carnale", previsti dall'articolo 609 del Codice Penale. Questa differenza fondamentale verrà superata solo nel 1996. A quel tempo si sanava "il torto" con il famigerato matrimonio riparatore, a cui Franca Viola si ribellò.

Il Servizio Sanitario Nazionale italiano oggi

L'emergenza coronavirus si è abbattuta su un Servizio Sanitario Nazionale impoverito da dieci anni di tagli. La coperta troppo corta dello Stato italiano è costata alla sanità italiana 37 miliardi di euro. Ma i servizi ospedalieri del nostro Paese restano tra i migliori al mondo e, in un momento come questo, la loro efficienza e gratuità si sta rivelando indispensabile. Spetterà ai politici e ai cittadini italiani riconoscerlo e preservarlo. 

Il Sistema Sanitario negli altri Paesi

Il coronavirus non è solo un'emergenza italiana. Oltre alla Cina, primo Paese a contrastare l'epidemia, anche l'Europa sta correndo ai ripari. Ma come funziona la sanità all'estero? La Cina sta sposando un modello sanitario molto simile a quello italiano, in cui sono le province a gestire l'operatività. In Francia invece si accosta alla protezione di base - statale, finanziata dalle ritenute in busta paga o dalle tasse, se si è autonomi - una tutela complementare, nota come mutuelles.

In Germania bisogna sottoscrivere un'assicurazione sanitaria a prescindere dal reddito personale. Le persone che non lavorano rientrano gratuitamente nella copertura assicurativa del familiare di cui sono a carico o ne ricevono una insieme al sussidio di disoccupazione o alla pensione. Quindi nessuno resta scoperto.

Negli Stati Uniti solo chi ha un'assicurazione sanitaria o un lavoro con la copertura assicurativa può permettersi l'accesso alle cure sanitarie. L'istituzione dell'Obamacare aveva tentato di estendere il diritto alla salute, per poi soccombere al ben più restrittivo American Health Care Act voluto da Donald Trump. Questo provvedimento elimina o riduce progressivamente i sussidi per gli americani poveri, sostituendo le cifre con un parziale credito di imposta.

Foto: LaPresse