special

Donne & lavoro: lo scenario in Italia e nel mondo

Smart Life
Smart Life

Counseling in rosa: quali sono le criticità lavorative che le donne non sanno affrontare

Il mondo del lavoro ci sembra una giungla, ci sentiamo spesso frustrate dal non riuscire ad ottenere quello che vogliamo. Per non parlare di quel senso di inadeguatezza dopo la maternità... Ecco come rimettersi in pista!

Il mondo del lavoro ci sembra una giungla, ci sentiamo spesso frustrate dal non riuscire ad ottenere quello che vogliamo. Per non parlare di quel senso di inadeguatezza dopo la maternità... Ecco come rimettersi in pista!

In Facciamoci Avanti (Mondadori), Sheryl Sandberg affronta un triangolo molto pericoloso: le donne, il lavoro e la voglia di riuscire. Per spiegare le trappole che spesso ci si tende, chiama in causa un processo molto interessante. «Il fenomeno delle persone in gamba tormentate dai dubbi su se stesse ha un nome: la sindrome dell'impostore – scrive la COO di Facebook –. Sia gli uomini che le donne ne sono soggetti, ma le donne tendono a viverla più intensamente e a lasciarsi limitare di più».

Sembra che imporci dei limiti sia una condizione scritta nel Dna. Ma riprogrammarsi è possibile. Il counseling è uno dei metodi.

Laura Torretta, esperta di counseling e autrice del libro Ricomincio da ME con il Counseling, ha trascorso 25 anni in azienda e ha fatto dell'accompagnare le persone verso una nuova vita un vero e proprio lavoro.

Ha le idee molto chiare sulle donne, un «concentrato di virtù oggi in pole position nel mondo del lavoro», schiave purtroppo di tanti meccanismi contorti di cui è ora di liberarsi, anche perché «le donne hanno molte più opportunità di avere un ruolo di guida di quanto si pensi».

Ecco le criticità che le donne non sanno affrontare nel mondo del lavoro.

Innanzitutto, le donne devono assumersi le responsabilità dei limiti che si impongono. «Ci boicottiamo da sole, per paura delle conseguenze, viviamo nel conflitto interno di far quadrare tutto e, per proteggere gli altri, sacrifichiamo la nostra felicità».

>>>LEGGI ANCHE: Come promuovere il benessere psicofisico con il Cinecounseling

Ci si dice di non essere abbastanza, di non essere all'altezza (eccola, la sindrome dell'impostore di cui parla Sandberg) e per questo il più delle volte non ci buttiamo nella mischia, non alziamo la mano ai tavoli a cui siamo seduti. È il momento di farlo.
 

Per lo stesso motivo si crede di non meritare delle opportunità e si attende il riconoscimento del proprio talento sempre dall'esterno, dai piani alti, sottoponendoci al giudizio dei dirigenti. Per questo «non siamo capaci di fare i nostri interessi: ci sentiamo egoiste se lo facciamo. Per fare ciò che è bene per noi, dovremmo vendere il nostro lavoro e abbiamo difficoltà a farlo, sia in azienda sia durante i colloqui di lavoro».

Le donne non vogliono affrontare l'impatto che la ricerca di qualcosa esclusivamente per se stesse può avere sulla vita degli altri. «Prima di decidere di presentarci per un lavoro – spiega Torretta – si tengono in considerazione marito, figli, genitori anziani. C'è sempre qualcos'altro che viene prima». Che il più delle volte ci porta a rinunciare. Anche perché spesso le donne non sanno di cosa hanno bisogno.

«Abbiamo anche difficoltà a chiudere dei cicli – spiega la counselor –, tratteniamo e non lasciamo andare», che sia un lavoro o un partner sbagliato. «La nostalgia e il rimpianto sono cose con cui facciamo spesso i conti».

Altro tema: le donne non riescono a chiedere. Una promozione, ma anche un aiuto da parte dei colleghi. «Il networking e la vendita di se stessi all'interno dell'azienda ci sembrano perdite di tempo, mentre altri riescono a valorizzare meglio il loro operato», sottolinea Torretta.

E poi c'è il tema del consenso: lo ricerchiamo a tutti i costi e per questo evitiamo i conflitti generando un paradosso. «Noi donne siamo brave nella risoluzione creativa di conflitto, ma non ci vogliamo entrare», complice anche l'eccessiva emotività che si fa ancora entrare troppo sul posto di lavoro.

Uscirne si può: basta usare le soft skill (e avere accanto qualcuno che ci porti a scoprirle).

Le soft skill sono le cosiddette "competenze trasversali", ovvero quelle capacità che raggruppano le qualità personali, l'atteggiamento in ambito lavorativo e le conoscenze nel campo delle relazioni interpersonali. Sono soft skill la leadership, l'efficacia relazionale, il teamwork e il problem solving, cavallo di battaglie delle donne, specie se madri, «vere e proprie giocoliere del worklife balance», sottolinea Torretta.

Per avere successo nella vita e nel lavoro, ma anche solo per vivere meglio la propria professione, è bene ricordare che le donne sono meno egocentriche degli uomini, meno accecate dal denaro e dal profitto fine a se stessi. Sono più attente ad analizzare, business, processi e persone. Sono più capaci di stabilire contatti, dialogo e ascolto. Inoltre, sono più portate ad accogliere.

Nella social organization e collaboration sono maestre: la loro capacità organizzativa multifunzionale non è rappresentabile in nessun organigramma per quanto è complessa. «In parallelo siamo molto analitiche, rasentiamo la perfezione, ma il rischio è che l'eccesso ci faccia perdere di sintesi, – spiega Torretta – un valore che, con velocità e problem solving, sono richiesti per essere agili nel lavoro».

Come ricominciare dopo la maternità: i consigli per le donne

Laura Torretta ha seguito molte donne nel loro percorso di rinnamoramento e riscoperta della propria professione. C'è Lena, 40 anni, che dalla maternità ha ricevuto coraggio e nuove risorse per affrontare qualsiasi tipo di sfida. C'è Elena, 39, che ha imparato ad ascoltare meglio, a vedere e gestire meglio le relazioni, tutte, soprattutto quelle familiari.

L'unica difficoltà sta nel partire, per farlo ci vuole energia. Innanzitutto per riaccendersi, bisogna imparare a non sentirsi indispensabili e a lasciare spazio a qualcuno che ci aiuti, sia nella vita privata sia in quella professionale, ad esempio associando al proprio percorso anche alcuni incontri di counseling.

In più bisogna cogliere la maternità come un momento di ripensamento. «Sembra che diventare madri significhi non aver fatto niente, quando invece è quasi come fare un master – sottolinea Torretta – Per questo bisognerebbe riscrivere un curriculum che reintegri il percorso della maternità».

«La maternità ti permette di uscire dalla gabbia dorata dell'azienda, è un momento di crescita, generatività di risorse proprie. Si fanno corsi infiniti per sviluppare resilienza, ascolto: basta pensare che una madre è capace di ascoltare il proprio bambino per tutto il giorno, senza distrarsi». Non resta che trasformare queste capacità in linguaggio aziendale.