Psiche
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A seno nudo tra pudore e libertà: il valore di una conquista

Di come mostrare il seno nudo sia da sempre un simbolo di lotta sociale. 

Di come mostrare il seno nudo sia da sempre un simbolo di lotta sociale. 

Ci hanno cresciute con l’idea che il nostro seno dovesse essere coperto a tutti i costi: le “poppe al vento” sono indecenti e devi necessariamente andare in giro con un reggiseno, altrimenti ti prenderanno per una scostumata (e chissà cos’altro).

L’eccessiva sessualizzazione del corpo delle donne ha fatto diventare i nostri seni una vera oscenità: i reggiseni sono diventati così l’emblema di tale palese oggettificazione, assieme ai tacchi e al rossetto.

Le femministe di tutto il mondo hanno iniziato a protestare contro quelli che sono stati definitivi i “nuovi strumenti della tortura femminile”. Perché il seno di una donna non ha niente a che vedere con l’oscenità. Al massimo, data la sua funzione, è un simbolo di vita.

Libertà di stare a seno nudo come lotta femminista

La sessualizzazione del seno e, in particolar modo, dei capezzoli, ha portato i media internazionali a introdurre una serie di limitazioni riguardanti proprio le foto dei capezzoli, la maggior parte delle quali vengono rimosse come “contenuto inappropriato”.

Le stesse linee guida di Instagram vietano la pubblicazione di foto nelle quali si vedono i capezzoli: sono però ammesse quelle delle cicatrici al seno derivanti da una mastectomia, così come quelle di una donna che sta allattando.

Se i capezzoli di un uomo sono considerati la normalità, al punto che vedere un uomo per strada senza la maglietta non ci scandalizza, quelli di una donna vengono percepiti dalla massa come qualcosa di pornografico.

Il risvolto più ironico è rappresentato dal fatto che le campagne per combattere il cancro al seno sono diventate popolari negli ultimi anni perché considerate sexy. Dall’altro lato, l’organizzazione Breast Cancer Action considera tali campagne ben poco efficaci per creare consapevolezza. Il seno viene ancora una volta sessualizzato, e il messaggio non arriva.

Mostrare il seno nudo non significa lottare per avere il diritto di camminare per strada in topless: è una battaglia per la desessualizzazione del corpo delle donne, in particolar modo del seno. Non si tratta di una moda passeggera portata avanti da bianchi privilegiati, come alcune testate l’hanno definita. È qualcosa di molto più grosso. Non è di femminismo che stiamo parlando, infatti, ma di libertà e di uguaglianza.

Peggy Moffit e il primo monokini della storia

In USA ci sono alcuni Stati, come l’Arizona, in cui le donne rischiano di finire in carcere se mostrano in pubblico l’aureola, il capezzolo o il seno in presenza di altre persone, che potrebbero in qualche modo esserne turbate. Eppure il topless in molti luoghi è legale da diverso tempo: per esempio, a New York “è arrivato” nel 1992.

È come se la storia del mondo avesse subito una sorta di involuzione in merito al seno nudo e alla sua percezione: la necessità di coprire il seno è stata spesso legata alla diffusione di alcune religioni in Paesi nei quali il seno scoperto non era mai stato un problema di pubblica decenza.

In Europa fino al 1700 era del tutto normale per le donne mostrare il seno, come dimostrano anche molti quadri dell’epoca: il senso del pudore si diffuse improvvisamente come un virus durante l’epoca vittoriana. Negli Stati Uniti il topless, maschile e femminile, fu illegale fino al 1936: la scena di Clark Gable a torso nudo nel film Happened One Night del 1934 fu un vero e proprio scandalo.

È solo negli anni ’60 che il topless diventa il simbolo della lotta femminista: il primo monokini della storia fu realizzato da Rudi Gernreich e indossato da Peggy Moffit nel 1964. Nel 1986 sette ragazze furono arrestate per essersi presentate in topless in un parco: le giovani ricorsero in appello e nel 1992 la Suprema Corte di New York diede loro ragione. Tra i motivi alla base della sentenza ci fu il fatto che secondo la corte nascondere il seno non fa altro che accrescere l’ossessione culturale che lo avvolge.

La battaglia per il topless in Italia

Nonostante in Europa il topless non sia illegale, la presenza di una donna a seno scoperto in spiaggia viene ancora vista come un atto di indecenza pubblica, un comportamento lascivo, come mancanza totale di pudore. In Italia non esiste una legge che sia favorevole o contraria al topless.

Foto: Volodymyr Tverdokhlib - 123rf.com

Nel corso negli anni ci sono state diverse sentenze della Corte di Cassazione che si sono rivelate sempre più progressiste sul tema. Ne è un esempio la condanna per calunnia della donna che aveva denunciato, per atti osceni in luogo pubblico, una ragazza che si era spalmata la crema solare in spiaggia. Tale comportamento non è stato ritenuto offensivo per il pubblico pudore, a maggior ragione perché in Italia non è presente una norma che vieti il topless.

La giurisprudenza del nostro Paese è sempre stata particolarmente avanguardista nei confronti del seno nudo: l’evoluzione culturale inizia a manifestarsi negli anni ’70 e trova la sua massima realizzazione con la sentenza n. 3557 del 20 marzo 2000, con la quale viene introdotta la differenza fra topless e nudismo, e nei fatti legalizzato il primo.

Nudità dagli anni ‘60 ad oggi: perché abbiamo fatto un passo indietro

La storia del seno nudo, e del corpo nudo in generale, è puntellata da un’infinità di paradossi. Se è vero che una donna è libera di usare il monokini per prendere il sole in spiaggia, la sua libertà viene meno nel momento in cui diventa oggetto di molestie da parte di chi la circonda. Additata, ancora una volta, come inaccettabile, indecente, inopportuna.

A questa “libertà condizionale” si aggiunge un disagio ulteriore, che è frutto della modernità. Oggi più che mai la possibilità di mostrare il corpo nudo e libero viene meno per il senso di vergogna che scaturisce nel mostrarsi senza vestiti. Il paragone con i corpi perfetti dai quali siamo bombardati, il senso di inadeguatezza nei confronti dei canoni di bellezza dettati dai media, ci fanno coprire. Non ci mostriamo nudi perché siamo vittime di una nudità estetizzata. Photoshop è il nostro carnefice.

Da ciò deriva che l’emancipazione femminile non passa più dal corpo: le ragazzine si vergognano di mostrarsi nude davanti alle altre negli spogliatoi. È un’autocensura che porta a perdere proprio ciò che si stava cercando: la libertà di essere sé stessi anche attraverso il proprio corpo.

Ecco perché il nudo diventa il mezzo attraverso il quale combattere una lotta sociale: mostrare il seno nudo per strada serve a rompere il tabù, a scardinare quel senso di pudore e vergogna che ci hanno ingiustamente tramandato e che dovrebbe smettere di attecchire nelle nostre teste. In fondo, così come “la bellezza è negli occhi di chi guarda”, lo è anche l’indecenza.

Le FEMEN e il blitz al museo d'Orsay

Sono diversi i movimenti femministi di protesta che si sono fatti sentire a livello internazionale negli ultimi anni: tra di loto spicca quello delle FEMEN, nato in Ucraina e diventato famoso per la pratica di manifestare a seno nudo per combattere contro il sessismo, il turismo sessuale e altre discriminazioni subite ogni giorno dalle donne.

La loro ultima apparizione risale proprio a qualche giorno fa, al museo d’Orsay di Parigi, dove, qualche giorno prima, a una visitatrice era stato vietato l’ingresso a causa di una scollatura troppo profonda. Le attiviste hanno organizzato un flashmob di protesta e spiegato le loro motivazioni in un comunicato.

“Il museo d’Orsay ospita numerose opere, molte delle quali nudi femminili e maschili, così come il celebre dipinto ‘L’origine du monde’ di Gustave Courbet. Per quegli agenti un abito scollato è un problema, ma non crea loro alcun problema fissare i seni di una donna e giudicare com’è vestita”.

Il movimento "Tera" negli Stati Uniti 

Topfreedom è un movimento culturale e politico che combatte principalmente per rendere il topless legale nei luoghi pubblici, affinché il seno nudo di una donna non venga più visto come un oggetto sessuale indecente che non deve essere mostrato.

Un’altra delle battaglie che sta molto a cuore alle femministe di Topfreedom è quella dell'allattamento in pubblico: nonostante la legge lo permetta, molto spesso sono luoghi come ristoranti, piscine o centri commerciali a non tollerarlo perché considerato contrario alla pubblica decenza.

Il movimento Free The Nipple 

Free The Nipple è un movimento che nasce dal desiderio che il corpo femminile nudo possa avere lo stesso livello di libertà concesso agli uomini, dalla volontà di abbattere ciò che il seno nudo rappresenta nella cultura dominante: un oggetto del desiderio sessuale eteronormativo.

La campagna è stata lanciata nel 2012 a New York dalla filmmaker Lina Esco, che ha prodotto un documentario nel quale corre per le strade di New York in topless, accompagnato da un teaser e dall’hashtag #freethenipple. La clip è stata prontamente rimossa da Facebook perché non conforme alle sue linee guida.

Purtroppo anche l’hashtag #freethenipple è stato contrassegnato su Instagram come contenuto hardcore. Se si prova a cercarlo comparirà infatti la scritta “I post recenti di #freethenipple al momento sono nascosti perché la community ha segnalato alcuni contenuti che potrebbero non rispettare le linee guida della community di Instagram”.

Allattamento in pubblico: una pratica permessa ma non ancora accettata

Le contraddizioni a proposito del seno nudo non sono ancora finite: l’allattamento al seno in pubblico, infatti, viene ancora considerata una pratica poco elegante, soprattutto nei luoghi affollati o davanti ai bambini. Ancora una volta, tirare fuori il seno in presenza di altre persone diventa un comportamento da criticare, da considerare sbagliato per la pubblica decenza.

Eppure ci sono culture, come per esempio quella africana, dove la norma è proprio quella di allattare i bambini in pubblico. Mentre era il 2003 quando in uno Stato del cosiddetto “mondo civilizzato”, l’Australia, Kirstie Marshall, del Partito Laburista australiano, veniva espulsa dal Parlamento per aver allattato in pubblico il suo bambino.

La questione dell’allattamento è solo una delle estremizzazioni di un problema sociale più ampio che riguarda il seno nudo delle donne: togliere l’etichetta di “hot stuff” dai nostri petti non sarà per niente semplice. Ma la consapevolezza e il cambiamento nascono dalle battaglie che, come detto prima, non sono le lotte di femministe arrabbiate affette da esibizionismo poco latente. Sono match che devono essere vinti, per la libertà e l’uguaglianza di tutte le donne.