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Settimana lavorativa di quattro giorni: perché vogliamo diventi realtà

Anche in Italia si inizia a sperimentare la settimana lavorativa di quattro giorni. Funzionerà? Per capirlo, vediamo cosa ne pensano gli esperti e come sono andati i progetti pilota nel mondo.

Anche in Italia si inizia a sperimentare la settimana lavorativa di quattro giorni. Funzionerà? Per capirlo, vediamo cosa ne pensano gli esperti e come sono andati i progetti pilota nel mondo.

Per una parte dei dipendenti della banca Intesa Sanpaolo, il rientro al lavoro dopo le vacanze di Natale sarà molto diverso dal solito. Perché avranno la possibilità di scegliere la settimana lavorativa di quattro giorni. Restando in ufficio per nove ore al giorno, passeranno dunque da 37,5 a 36 ore settimanali a parità di stipendio. Si tratta di un’iniziativa a cui si aderisce su base volontaria, che non riguarda tutti i dipendenti delle filiali e su cui non è stato raggiunto un accordo coi sindacati. Resta comunque una notizia che ha fatto molto rumore, tanto più perché Intesa Sanpaolo è il primo datore di lavoro privato in Italia, con 74mila collaboratori. 

Dove è già stata introdotta la settimana lavorativa di quattro giorni

Dopo tante discussioni, dunque, la settimana lavorativa di quattro giorni fa il suo debutto anche nel nostro Paese. Funzionerà? Oppure questo esperimento resterà isolato? Impossibile dirlo con certezza. Piuttosto, possiamo dare uno sguardo ad altri contesti in cui questo modello esiste da tempo. 

L’esperimento pilota più consistente finora è stato condotto tra il 2015 e il 2019 in Islanda, dove 2.500 lavoratori del settore pubblico sono passati da 40 a 35-36 ore a settimana. Lo stipendio è rimasto inalterato. I risultati? Un’analisi indipendente li descrive come ottimi. È bastato riorganizzare la routine e sostituire le riunioni superflue con le e-mail per far sì che la produttività restasse inalterata, senza alcun bisogno di fare straordinari. In compenso, le persone hanno avuto più tempo per sé stesse, per stare con i figli (un sollievo soprattutto per i genitori single), per fare sport e contribuire alle faccende domestiche.

A gennaio si conclude un altro progetto pilota, stavolta di sei mesi, lanciato nel Regno Unito. Una settantina le aziende partecipanti, per un totale di circa 3.300 dipendenti. Per ora i riscontri sembrano entusiasti. Nel frattempo è appena partita una sperimentazione in Spagna. Le piccole e medie imprese disposte a sforbiciare l’orario di lavoro almeno del 10% potranno richiedere incentivi pubblici fino a un massimo di 150mila euro ciascuna. Questo, però, solo a patto che restino nel programma per non meno di due anni e monitorino la produttività. 

Il Belgio intanto fa già sul serio. A partire da novembre del 2022 si può optare per la settimana lavorativa di quattro giorni, ma il monte ore complessivo rimane inalterato: di fatto, dunque, si lavora nove ore e mezza al giorno.

Quali sono i benefici della settimana corta

Di sicuro fa gola a molti l’idea di un weekend lungo tre giorni in cui coltivare le proprie passioni, godersi la casa e la famiglia, viaggiare, assistere parenti fragili. Tutte attività per cui oggi si attendono con trepidazione ferie e ponti. Percepire il lavoro come una parte della vita, in equilibrio con tante altre, potrebbe anche alleviare lo stress e tenere lontano il rischio di burnout, una condizione riconosciuta anche dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità. Fenomeni che stanno vivendo un forte aumento soprattutto dopo la pandemia, come testimoniano innumerevoli ricerche.

Oltre al cosiddetto work-life balance, c’è un altro aspetto da prendere in considerazione: quello ambientale. Andare in ufficio quattro giorni alla settimana e non più cinque significa percorrere meno km in auto o a bordo dei mezzi pubblici e consumare meno energia elettrica. Uno studio condotto da Platform London per conto della 4 Day Week campaign prova a calcolare le conseguenze di un’ipotetica settimana lavorativa di quattro giorni adottata in tutto il Regno Unito. Ebbene, la carbon footprint della nazione scenderebbe di 127 milioni di tonnellate all’anno entro il 2025: per avere un termine di paragone, sarebbe l’equivalente di togliere dalla circolazione 27 milioni di automobili.

Perché c’è anche chi critica la settimana lavorativa di quattro giorni

In mezzo a questo coro di voci favorevoli, ci sono anche parecchie critiche. Innanzitutto, il modello della settimana lavorativa di quattro giorni è praticabile soltanto per i canonici lavori da ufficio. Restano esclusi tutti quei servizi essenziali che devono funzionare sette giorni su sette, come la sanità, i trasporti pubblici, la logistica. Certo, in alcuni casi ci si potrebbe organizzare con i turni: una missione che però rischia di diventare improba per un piccolo negozio a conduzione familiare, un salone da parrucchiera o un’altra di quelle micro imprese che in Italia sono l’assoluta maggioranza.

Già oggi, inoltre, le otto ore al giorno di lavoro sono incompatibili con gli orari scolastici, obbligando i genitori a ricorrere a servizi di pre e post scuola a pagamento, abbinati all’aiuto di nonni e babysitter. Allungarli fino a nove ore al giorno (o addirittura 9,5, se si seguisse l’esempio belga) potrebbe complicare ulteriormente le cose. Il venerdì libero sarebbe una consolazione molto parziale: difficile organizzare il weekend lungo in famiglia, se le scuole sono aperte cinque o addirittura sei giorni a settimana. 

È così indispensabile stare in ufficio 40 ore alla settimana?

Insomma, la settimana lavorativa di quattro giorni è un’ipotesi che ha i suoi pro e i suoi contro. In attesa di valutare l’esito delle varie sperimentazioni in corso, di sicuro un grande merito ce l’ha: quello di mettere in discussione il fatto che si debba necessariamente stare in ufficio otto ore al giorno, cinque giorni su sette. Nei Paesi Bassi, per esempio, già oggi il contratto medio prevede 32,2 ore lavorative settimanali. In Germania 34,2. Entrambi Paesi che di solito vengono menzionati come modelli di produttività ed efficienza.

Svariate ricerche vanno tutte nella stessa direzione: le giornate lavorative interminabili non fanno bene. Innanzitutto alla salute. L’Oms sostiene infatti che un orario di 55 ore settimanali incrementi del 35% il rischio di ictus e del 17% quello di morte per cardiopatia ischemica, rispetto a 35-40 ore settimanali. Per di più, non giova nemmeno ai risultati. La soglia di attenzione dell’essere umano è limitata, così come la sua capacità di essere intellettualmente produttivo. Esistono diverse stime a proposito, ma quasi tutte collocano l’orario di lavoro ideale al di sotto delle 40 ore settimanali. Alcune parlano di 38, altre di 36. Le aziende saranno disposte a tenerne conto?

 

Foto apertura: racorn/123rf.com

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