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Governo Draghi, dove sono le donne? La rabbia di quattro politiche di sinistra

Tutti maschi, tutti ultra 50enni. Il problema è culturale, ma anche del Partito democratico che si dice progressista senza dimostrarlo.  Bilanciare con un sottosegretariato al femminile? No, grazie. La rabbia di Serracchiani, Pini, Puglisi, Brignone.

Tutti maschi, tutti ultra 50enni. Il problema è culturale, ma anche del Partito democratico che si dice progressista senza dimostrarlo.  Bilanciare con un sottosegretariato al femminile? No, grazie. La rabbia di Serracchiani, Pini, Puglisi, Brignone.

Ventitré ministri, di cui 15 uomini e otto donne. L’ennesima occasione sprecata per compiere un passo concreto verso la parità di genere in politica nel nostro Paese, quella della composizione del neo governo Draghi che ha fatto infuriare soprattutto le donne di sinistra. Sono soltanto un terzo le ministre del nuovo esecutivo, la maggior parte delle quali alla guida di un ministero senza Portafoglio, e nessuna donna del Pd. Eppure le politiche democratiche non si contano certo sulle dita di una mano. Perché allora ci troviamo sempre allo stesso punto? 

La responsabilità è dell’arretratezza del nostro Paese culturalmente maschilista, delle politiche stesse che non si impongono a sufficienza, o degli uomini che si dicono femministi rimanendo però incollati al proprio potere? In questi giorni di rabbia e polemiche, lo abbiamo chiesto ad alcune protagoniste della sinistra italiana. 

DEBORA SERRACCHIANI

“Questo è un Governo nato in un momento di emergenza e la parità di genere non è stata tenuta come naturale discrimine. Significa che la strada culturale da fare è ancora parecchia”, sostiene Serracchiani, deputata e vice presidente del Partito democratico, ammettendo che in questa occasione “purtroppo il Pd non ha dato l’esempio, come doveva”. 

Non è interessata però a trovare “colpevoli” a questo evidente sbilanciamento di genere, mentre dice di voler offrire il proprio personale contributo “perché le donne nel mio partito si impegnino tutte di più per affermarsi. Gli spazi non si aprono da soli ma bisogna avere la forza politica per conquistare leadership”. Nei giorni scorsi più di una collega, da Laura Boldrini a Valeria Fedeli, ha parlato di un problema di “ipocrisia” e di mancanza di “credibilità” all’interno del Pd, che non si sarebbe dimostrato il partito innovativo che vuole far credere di essere. Serracchiani ribadisce che è stato commesso un evidente “strafalcione di grammatica di genere, ma “accusarci dentro il partito non serve a niente, facciamo in modo che non si ripeta”. 

Da giorni, per placare le polemiche, è emersa l’ipotesi di nominare un “sottogoverno” al femminile. Bilanciamento o contentino inaccettabile? “Il problema di un’equa rappresentanza non si risolve così. Sarebbe un principio sbagliato, oltre che riduttivo, perché se il genere non può escludere le donne capaci, non può farlo neppure con gli uomini capaci”, sostiene Serracchiani. Che sul confronto con Paesi più evoluti sui temi di genere dice: “I Paesi dove c’è maggiore rappresentanza femminile in politica sono quelli dove l’emancipazione è storicamente più avanzata, quindi i Paesi del Nord Europa in primo luogo. In alcuni casi hanno aiutato i sistemi elettorali. Ma è chiaro che quando esiste una classe dirigente femminile diffusa e competitiva, il tetto di cristallo si rompe più facilmente”. La fiducia in un futuro femminista, nonostante il duro lavoro da fare, non le manca. Quanta strada dobbiamo ancora fare prima di avere una premier donna? “Le crisi sono formidabili acceleratori del cambiamento. Non mi stupirei se questo traguardo fosse più vicino di quanto immaginiamo”.

GIUDITTA PINI 

Modenese, giovane deputata del Pd classe 1984, Giuditta Pini è arrabbiata e pensa che il suo partito dovrebbe fare un grosso mea culpa. “La politica è necessariamente specchio del Paese, ma sicuramente noi abbiamo un problema enorme come partito, che è profondamente conservatore, estremamente maschile ed escludente nei confronti delle donne che ne fanno parte”. 
Nonostante le donne democratiche non siano di certo poche. Se si vanno però a osservare i ruoli che ricoprono, il gap di rappresentanza emerge nettamente: “Se guardiamo i ruoli monocratici come i Segretari di Federazione, i Segretari regionali, le candidature alle regionali, le donne non ci sono mai”, sottolinea la deputata, perché si creano sempre coalizioni interne dentro le quali è molto difficile per una politica andare avanti. Pini racconta di essere sorpresa in questi giorni perché dopo le polemiche sull’assenza di ministre del Pd, molte giovani donne le hanno scritto per parlare della loro esperienza all’interno del partito. “Mi hanno raccontato che spesso se venivano elette (anche a livello locale) iniziavano a sentire voci secondo le quali erano lì perché andate a letto con qualcuno, o erano figlie o sorelle di qualcuno. Altre che a livello regionale si sono viste scavalcare dopo aver lavorato per anni e in molte hanno lasciato il partito”. Insomma, c’è una sofferenza molto diffusa, “e questo è un problema da risolvere”, sostiene Pini, “soprattutto perché noi ci definiamo progressisti e siamo spesso quelli che fanno la morale agli altri”. Dobbiamo risolvere questo problema per essere credibili”. Basta guardare la composizione attuale del gruppo dirigente: “Zingaretti, Orlando, i capigruppo sono tutti maschi, il presidente della regione Emilia Romagna è Bonaccini, il presidente Anci è Antonio De Caro: Tutti uomini, tutti sopra i 50 anni, non è un caso. Ma non penso sia voluto: credo che non se ne rendano conto, il che è più grave”. 

Le faccio notare che il segretario del Pd Zingaretti ha parlato di “giusta rabbia” delle donne a cui bisogna “dare una risposta”. “Zingaretti è lo stesso che ha detto in direzione che avrebbe lavorato per la parità di genere nel governo e sono stati nominati tre uomini capicorrente, il giorno successivo ha detto che avrebbe scelto tutte le sottosegretarie donne, poi ha cambiato idea di nuovo promettendo almeno il 50% di donne, non so cosa dirà domani a questo punto…”, risponde. Pini sottolinea però che non è una “questione di quote”. Se fossero davvero nominate tutte sottosegretarie donne “credo che si dovrebbero rifiutare e anche gli uomini dovrebbero fare lo stesso, finché al di là del genere non chiariamo il criterio con il quale scegliamo di mandare le persone al governo”. 

BEATRICE BRIGNONE 

Per Beatrice Brignone, femminista e segretaria di Possibile (partito nato nel 2015), la mancanza di ministre nel Pd è “gravissimo”, ma non la stupisce. “Il Partito Democratico, soprattutto con questa segreteria, al netto di parole di circostanza e operazioni di facciata, non ha mai realmente valorizzato le tante donne di spessore che ha al suo interno”, sostiene. E crede ci sia un problema di credibilità al suo interno, come evidenziato da alcune politiche in questi giorni: “ Un partito progressista oggi non è solo a presenza femminile, ma o coglie e fa propria un’identità femminista o non può dirsi progressista”. Secondo Brignone il nostro Paese è ancora arretrato in termini di rappresentanza di genere in politica perché “mancano le basi culturali”: “Siamo immersi nella retorica patriarcale e paternalista. Finché non smantelliamo una società millenaria modellata e stereotipata su una gestione del potere a misura d’uomo, non ne usciamo”. 

Anche lei vedrebbe ridicola l’eventuale scelta di un sottosegretariato al femminile: “Sarebbe un’operazione totalmente sbagliata, da ancelle”. La strada è ancora piena di ostacoli, ma se dovesse fantasticare sul nome di una ipotetica premier donna su cui scommettere farebbe il nome di Catia Bastioli (il cui nome era aleggiato come ipotetica ministra). Come Presidente della Repubblica invece, vedrei certamente Liliana Segre”.

I temi più urgenti riguardanti le donne che il governo Draghi dovrebbe affrontare subito? “L’accesso al lavoro e alla carriera, la parità salariale, la riduzione drastica del gender gap”. E senza autonomia economica e realizzazione professionale “non è possibile pensare di contrastare né le disuguaglianze né la violenza, che spesso si nutre proprio della dipendenza economica delle donne nei confronti degli uomini”. Poi l’elenco delle cose da fare, ammette, è lunghissimo. “Possibile ha elaborato molte proposte sul tema, che mettiamo a disposizione”. 

FRANCESCA PUGLISI 

francesca puglisi

Foto: francescapuglisi.it

Meno arrabbiata e rassegnata la democratica Francesca Puglisi, ex sottosegretaria del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. “Penso che questa legislatura sia iniziata nel segno delle pluricandidature, purtroppo sotto una cattiva stella per quello che riguarda le donne del Partito Democratico, ma con il segretario Zingaretti e il lavoro che abbiamo fatto con la coordinatrice delle donne Cecilia d’Elia siamo riusciti a imporre i contenuti al centro dell’agenda politica: il tema delle Pari opportunità e soprattutto dell’occupazione femminile, che il ministro ha assicurato sarà al centro dell’azione politica del governo Draghi”. Questo, sostiene, lo si deve a una precisa battaglia fatta dal Pd. “Anche il Recovery Plan così come era stato disegnato dal governo Conte, se contiene un piano strutturale per gli asili nido, per i servizi educativi per la prima infanzia – essenziali per promuovere l’occupazione femminile - lo si deve sempre al Pd”. Per Puglisi quella delle ministre mancate è “una ferita evidente”, una “battuta d’arresto”, ma alle polemiche dice di preferire concentrarsi sui fatti: “Abbiamo un enorme lavoro da fare, dobbiamo essere noi stesse a promuovere le leadership femminili, non possiamo aspettarci siano gli uomini a farlo”, afferma, sostenendo che le democratiche non abbiano mai saputo fare gioco di squadra. “È dai tempi di Laura Puppato che per esempio non abbiamo candidature femminili in un congresso nazionale”. 
E prima ancora delle ministre “mancano le segretarie regionali, quelle provinciali, le sindache. È un problema strutturale sul quale dobbiamo lavorare noi, non possiamo aspettarci che siano gli uomini a promuoverci”.

Insomma, per Puglisi serve anche un mea culpa delle donne del partito: “Bene che ci sia stata una protesta vibrante, ma non possiamo accusare nessuno”.  E sulla questione del sottosegretariato al femminile non la pensa come le colleghe: “Penso sarebbe un bilanciamento e non condivido chi auspica un “no grazie” da parte delle democratiche. In questo tempo c’è bisogno della differenza di cui sono capaci e portatrici le donne”. 

Foto apertura: Natalia Merzlyakova  -123.rf