Dalla corsa al successo al rischio burnout: perché è urgente riscoprire il valore del riposo e delle relazioni umane in un mondo che glorifica la produttività senza limiti
Dalla corsa al successo al rischio burnout: perché è urgente riscoprire il valore del riposo e delle relazioni umane in un mondo che glorifica la produttività senza limiti“Dormirò quando sarò morto”: una frase che qualcuno, credendosi brillante, ci ha detto almeno una volta nella vita. Sì, perché esistono tantissime persone a cui dormire sembra una perdita di tempo, che sentono il dovere di vivere ogni giorno come una maratona infinita. In realtà, non si tratta di un atteggiamento originale. È il mantra che sintetizza quella che oggi viene chiamata hustle culture, una filosofia che mette al centro di ogni attività la glorificazione del sacrificio, della produttività estrema, del successo a ogni costo. Ma siamo così sicuri che questa corsa senza fine ci renda davvero migliori, o almeno più felici?
Che cos'è l'hustle culture
Con l'espressione hustle culture ci si riferisce a una filosofia di vita, diventata quasi un dogma sociale, diffuso anche nelle culture aziendali di vecchio stampo, che esalta il lavoro incessante e il sacrificio personale per raggiungere obiettivi di carriera e successo. È quella mentalità che ti fa sentire in colpa se stai riposando, come se ogni ora che non dedichi al miglioramento di te stesso sia un'opportunità sprecata. Lo trovi ovunque: nei post motivazionali di imprenditori su LinkedIn, nei video di TikTok dove ci si vanta di svegliarsi alle 5:00 per “avere un vantaggio sugli altri,” nei libri di self-help che ti promettono di trasformarti in una macchina imbattibile.
La cultura dell’hustling prospera sulle ambizioni, ma le trasforma in un ciclo di feticizzazione del sacrificio. È un messaggio subliminale ma potente: se non stai correndo, stai perdendo. Se ti riposi troppo, non sei abbastanza.
Da dove nasce questa cultura?
La hustle culture è il frutto di trasformazioni economiche, sociali e tecnologiche. L’avvento della gig economy e la precarietà del lavoro hanno spinto molti a lavorare senza sosta per restare competitivi. A questo si aggiunga l'esposizione costante ai social media, dove vediamo influencer e imprenditori sfoggiare stili di vita apparentemente perfetti, alimentando una pressione silenziosa: perché loro sì, e io no? E, anche, perché non guadagno quanto loro? L'implicita risposta sembra sempre la stessa: perché non ti sacrifichi abbastanza.
Ma c'è anche la narrativa del "self-made man": una storia che Hollywood e la cultura pop hanno glorificato per decenni. Basti pensare al film Wall Street e al suo sequel, il cui sottotitolo recita proprio "Il denaro non dorme mai". L’idea che il duro lavoro possa portarti lì dove desideri e darti ciò che vuoi sembra irresistibile, soprattutto per chi non ha privilegi di partenza. Il problema? Non tutti partono dallo stesso punto e non tutti possono correre con lo stesso passo. Ma soprattutto, prima o poi il corpo ti chiede il conto.
Hustle culture: il prezzo da pagare
A prima vista, il significato di hustle culture sembra positivo. Ti spinge a sognare in grande e lavorare duro per i tuoi obiettivi. Ma c’è un lato oscuro che emerge presto: il burnout. La costante corsa contro il tempo finisce per risucchiare ogni energia fisica, mentale ed emotiva. Diversi studi dimostrano che il lavoro eccessivo può portare a stress cronico, depressione e persino danni fisici. Quanto può essere sostenibile una vita che non rispetta i limiti biologici del nostro corpo?
In più c’è anche una dimensione sociale di alienazione. Lavorare incessantemente per essere i migliori rischia di divorare il tempo per coltivare relazioni umane significative. Si crea una società di soli individui, ognuno impegnato in una battaglia solitaria, in cui il valore personale è misurato esclusivamente sulla base della performance.
Dobbiamo svegliarci
E allora, che fare? Forse è tempo di riconsiderare il nostro rapporto con il lavoro e il concetto di successo. Forse dovremmo tornare all’idea che il riposo non è un segno di debolezza, ma di cura di sé. Che prendere fiato non significa rallentare, ma prepararsi per andare avanti con maggiore lucidità. La verità è che non siamo fatti per funzionare come macchine. Abbiamo bisogno di connessioni reali, umane. Di momenti di pausa e di gratitudine per il presente. Perché siamo molto di più della somma delle nostre produttività.
La hustle culture ci ha insegnato a conquistare il mondo, ma forse è arrivato il momento di ribellarsi al suo dogma. Il successo non è fatto solo di sacrifici: è fatto di momenti, di equilibrio, di libertà. È ora di riprenderci il tempo che è nostro, ricordando che non dobbiamo dimostrare nulla a nessuno, se non a noi stessi.
Foto di apertura: Freepik
 

