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Vita da Mamma: la rubrica di Federica Federico

Adolescenza
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Violenza giovanile e baby gang: cosa ha fatto la pandemia ai nostri figli

Una volta la violenza e le baby gang si radicavano in sacche di sottocultura e disagio sociale. Il mal di vivere della pandemia, l’impoverimento e l’isolamento che il Covid ha portato con sé hanno reso il fenomeno più diffuso e meno prevedibile. 

Una volta la violenza e le baby gang si radicavano in sacche di sottocultura e disagio sociale. Il mal di vivere della pandemia, l’impoverimento e l’isolamento che il Covid ha portato con sé hanno reso il fenomeno più diffuso e meno prevedibile. 

L’idea della violenza nella mente di un adulto è molto più circoscritta e caratterizzata rispetto al costrutto mentale di un bambino o di un ragazzino: l’esperienza della vita adulta porta ad identificare la violenza con sangue, lesioni, ferite o percosse; per un soggetto vulnerabile e ancora poco resiliente, invece,  anche un atteggiamento, una parola o un comportamento possono assumere le connotazioni della violenza. Il bullismo psicologico e il cyberbullismo dimostrano i volti diversi della paura e della sopraffazione e la violenza giovanile assume, pertanto, un senso ampio e sfaccettato che si amplifica in quei contesti in cui l’atto aggressivo nasce in seno a un gruppo: la gang.

Isolamento e perdita di capisaldi socio-emotivi sono state le condizioni, conseguenti alla pandemia, che hanno avuto il maggior peso psicologico sui giovani, soprattutto sui pre-adolescenti e sugli adolescenti. 
Le conseguenze psico-sociali che ciò produrrà nel lungo termine non sono ancora quantificabili, le vedremo palesarsi nel tempo, ad esse oggi possiamo solo porre l’argine dell’attenzione ai bisogni emotivi dei giovani. 

Si registra, però, un già evidente incremento di violenza giovanile, aggressività, opposizione e rabbia, non a caso l’assistenza psicologica ai giovani e gli sportelli pubblici d’ascolto stanno trovando sempre più spazio in differenti realtà (come scuole e comuni).

Violenza giovanile ai tempi del Covid-19

Un tempo le baby gang, ovvero le bande di piccoli delinquenti, minori e dediti prevalentemente al furto, erano il risultato di sottocultura, emarginazione, abbandono e, di conseguenza, la loro collocazione nel tessuto sociale era sociologicamente prevedibile, almeno nella maggior parte dei casi.

Con la pandemia i ragazzi e le famiglie hanno perso sicurezza, stabilità e, di conseguenza, forza. Il Covid-19 lascia scie di povertà, laddove ha determinato perdita di occupazione; di impoverimento emotivo, ove ha cagionato necessità di isolamento; di sconcerto diffuso quando, deprivando i contesti sociali di stabilità economica e interazioni, ha letteralmente inaridito la vita. 
Queste condizioni rappresentano terreno fertile per una risposta violenta e oppositiva da parte dei meno resilienti dinanzi alla vita.

Non si può negare che i nostri figli stiano vivendo una vita amara e imprevedibile in fatto di stabilità emotiva e relazioni sociali

I fenomeni aggressivi e di contrasto giovanile all’autorità e alle regole, a cui assistiamo oggi, non sono più governabili nello stesso modo di un tempo e nemmeno risultano ugualmente prevedibili.

Baby gang ai tempi del Covid

La gang consente al giovane di collocare se stesso in un gruppo, per quanto possa essere malsana l’ispirazione che lo anima, l’appartenenza è un bisogno caratteristico della pre-adolescenza e dell’adolescenza. L’identità confermata dal gruppo può rappresentare, infatti, una sicurezza che, ad oggi, compensa i vuoti lasciati dalla pandemia (esattamente quei vuoti e quei disagi a cui poc’anzi abbiamo fatto riferimento).

L’adesione a un gruppo (anche ove la gang si esprima attraverso la forza) e la sua coesione (anche ove sia la prevaricazione dell’atro, estraneo al contesto gang, a fare da collante) possono rappresentare per il giovane un modo per sentirsi potente o, quantomeno, ancora capace di reagire alle cose della vita. È innegabile che, sin dall’inizio della Pandemia, ciascuno di noi viva o recepisca molti fatti e accadimenti come incontrollabili e questo è destabilizzante, ancor di più per i ragazzi. 

La violenza giovanile, vale la pena ribadirlo, non è necessariamente fisica, la gang può, per esempio, concentrare il proprio disprezzo su un compagno ed esprime la propria portata violenta con frasi mortificanti, umilianti o svilenti oppure agire attraverso la rete (bullismo psicologico e cyberbullismo). 

Per quanto possa sembrare amorale, assurdo, contrario all’insegnamento ricevuto in famiglia, è possibile che la violenza giovanile divenga un canale per esprimere il disagio. Ed è possibile che il malessere personale si rivolga agli altri nella forma di forza distruttiva.

La vulnerabilità esplode in rabbia, perché

I nostri figli hanno sofferto della peggiore delle paure: l’ignoto (prima di loro forse questo sentimento aveva pervaso solo il quotidiano dei nostri nonni ai tempi della guerra). Il Covid e la pandemia si sono imposti subito all’attenzione del mondo come sconosciuti, i contorni del futuro si sono sfumati sotto il peso di un nemico di cui non si sapeva nulla, finendo poi col saperne sempre troppo poco. Pensate al fatto che i ragazzi, più o meno piccoli, erano cresciuti nella società delle certezze, della medicina salvifica e del futuro rose, tutto questo è stato messo in discussione!

Al contempo la pandemia è entrata nel luoghi in cui la loro socialità si stava formando; scuole, palestre, parrocchie sono state considerate incubatoi del virus e le regole di contatto, incontro, confronto e interazione hanno subito uno stravolgimento repentino. A quei ragazzi a cui era stato insegnato l’abbraccio come comunicazione empatica è stata imposta, improvvisamente e senza soluzione di continuità, la distanza come mezzo di prevenzione e sicurezza.

Cosa segnerà il passaggio alla “vita da grandi” dei figli della pandemia?

Nei luoghi della scuola e in quelli della formazione sociale avvenivano storicamente mutazioni iniziatiche, per esempio, erano ugualmente fanciulli in crescita il ragazzo che superava il campeggio scout o quello che vinceva la paura di affrontare il pubblico dal palcoscenico della recita scolastica.
Nell’antichità i riti iniziatici valevano a segnare il passaggio alla età adulta, la nostra modernità è stata costellata di piccole prove dal grande impatto emotivo, certamente non fisicamente paragonabili all’ingresso nella foresta per fronteggiare le fiere selvagge, ma con una eguale valenza di trasformazione e crescita. 

Ebbene, l’iniziazione graduale dei ragazzi alla vita adulta è sfumata, si è arrestata nell’isolamento, nel contenimento del virus e nella impossibilità di vivere le esperienze condivise in quei contesti ricchi, larghi e affollati in cui esse avvenivano. Ciò ha determinato una cristallizzazione del tempo e dello spazio dei ragazzi. I nostri figli si sono sentiti in gabbia e, si sa, che i leoni in gabbia ruggiscono!

Sintomi spia di un disagio che può sfociare in violenza giovanile

La violenza non è un’attitudine! Le baby gang attraggono il malessere dei giovani e ne consolidano la rabbia in quanto catalizzatori di disagio comune e condiviso. Il fenomeno si vince a monte, resta fondamentale conoscere, e quindi saper osservare, i sintomi spia del disagio giovanile. Lo sono:

  • Ansia; 
  • Chiusura, quindi ritiro dal dialogo, mancanza di motivazione, reticenza a trascorrere tempo buono con la famiglia o con gli amici di sempre;
  • Calo del rendimento scolastico;
  • Opposizione alle regole, anche quelle consuete e comunemente metabolizzate;
  • Fobie;
  • Disturbi del sonno o dell’alimentazione.

La crescente violenza giovanile è figlia delle neonate paure dei tempi del Covid

Posto che i figli del Covid-19 hanno un bagaglio emotivo diverso dalle generazioni precedenti e hanno dovuto fare i conti con paure che nemmeno noi adulti abbiamo avuto il tempo di gestire e metabolizzare, come possiamo aiutarli?

Aiutare i figli a controllare le proprie emozioni 

Ciascuno di noi vive momenti di rabbia, spesso l’eccesso di nervosismo esplode in gesti, parole, imprecazioni che non ci rappresentano. Dinnanzi alla rabbia dei figli è facile, se non istintivo, rispondere con altrettanta rabbia. La violenza è sempre una spirale! Tuttavia l’approccio migliore è il dialogo, l’esempio buono e l’analisi critica degli accaduti.

  • C’è qualcosa che ti turba?
  • Adesso calmati, abbracciami, ne parliamo dopo!
  • Capita a tutti di essere arrabbiati, tu perché lo sei?

Queste domande e affermazioni possono essere intese come linee guida all’approccio alla rabbia domestica degli adolescenti e preadolescenti. Il fatto non rappresenta le persone, men che meno tuo figlio: lui non è l’urlo, la parolaccia o la porta sbattuta con violenza, non è nemmeno la sua stessa rabbia. Tuo figlio è, piuttosto, il sentimento a monte di tutto questo. Indaga i suoi sentimenti e ne risolverai ogni conseguenza negativa.

Esercitare la resilienza

La resilienza, a discapito delle più romantiche accezioni con cui viene presentata anche sul web, è la capacità di resistere alle frustrazioni senza risposte di ritiro, reazioni ansiogene o oppositive. Non è un’attitudine caratteriale ma è il frutto di un addestramento consapevole, l’esempio e la condivisione dell’esperienza risultano essere il modo migliore per affrontare il problema. Pertanto non avere paura di raccontare a tuo figlio ciò che ti ha fatto arrabbiare e il modo in cui lo hai metabolizzato.

Favorire il dialogo aperto resta quindi un’arma efficace, tuttavia la vita esperienziale dei giovani va comunque preservata. Malgrado l’epidemia di Covid-19, abbiate cura di permettere ai vostri figli di vivere spazi di socialità protetta ma concreta

Create piccole bolle sociali

Sforzatevi di strutturare occasioni di incontro tra pari, contenute bolle sociali all’interno delle quali il ragazzo o il bambino possa frequentare pochi amici o cugini. Fate in modo che la frequentazione sia consapevole, che le famiglie che aderiscono alla bolla sociale siano rispettose e attente e che i giovani si possano praticare con periodicità costante
La relazione umana resta insostituibile e con essa l’autenticità esperienziale! I ragazzi insieme possono coltivare e conservare passioni: i fumetti, i puzzle, un gioco, se vi è uno spazio aperto possono correre, giocare a palla o a nascondino. E non dimenticate mai il valore dello sport.

Cosa fare se si sospetta l’esistenza di una baby gang o l’adesione del proprio figlio alla stessa

Un appiattimento sull’abbigliamento, ovvero una tendenza marcata e riconoscibile a vestirsi in modo uniforme; un atteggiamento ostentante e contemporaneamente diffidente nei confronti di chi è esterno al gruppo; l’uso di un linguaggio gergale e l’adozione di un nome identificativo per il gruppo possono essere ulteriori campanelli di allarme

Ogni qual volta si nutra il sospetto che un gruppo di ragazzi si sta cementando intorno a progetti violenti, aggressivi o inappropriati, è giusto avvisare gli adulti di riferimento, dai genitori agli insegnanti, il preside della scuola o il parroco. Gli adulti devono fare da scudo, devono essere rete di supporto e, soprattutto, hanno il difficile compito di offrire valide alternative.

Aprite sempre un dialogo pacifico sui comportamenti sospetti avendo cura di non demonizzare solo gli altri, nulla accade mai solo a causa delle cattive compagnie.  Il ragazzo che aderisce alla gang ha, infatti, a sua volta un disagio, si badi a intercettare questo!
Date al ragazzo delle alternative, aiutatelo a rivolgere le sue energie verso scopi positivi e a spendere le forze di cui è carico in attività producenti.
Se ha ferito qualcuno, per esempio un amico, educatelo a chiedere scusa, come a perdonare se stesso.

In caso di necessità non abbiate paura di chiedere aiuto, uno specialista può essere di supporto:

  • se il ragazzo non si apre in famiglia, 
  • se le sue manifestazioni di violenza sono gravi, preoccupanti, già lesive per altri, 
  • se non riesce a gestire la rabbia, 
  • se cade in stati d’ansia o ha frequenti sbalzi d’umore,
  • se manifesta importanti disturbi del sonno.

Particolare attenzione va prestata agli atteggiamenti non positivi verso il cibo, sono tali scartare il cibo nel piatto, sminuzzarlo troppo,  dimostrarsi ossessionati dalle calorie e dalla forma fisica. Badate al fatto che le ossessioni per il cibo sono sempre più disturbi trasversali a cui i maschietti non sono immuni.

Alla luce di quanto detto, tutte le mamme e tutti papà, dovrebbero avere cura di riconsiderare la comune idea di violenza osservando i figli anche nell’ottica di una tutela dalle conseguenze insidiose, e in parte non prevedibili, del difficile momento storico che stiamo vivendo.