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Vita da Mamma: la rubrica di Federica Federico

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Chrissy Teigen: il dolore, la resilienza e la vita un anno dopo l’aborto

La morte di un bimbo dentro l'utero materno o poco dopo la nascita possono rappresentare per una mamma una tragedia interiore che merita una considerazione. 

La morte di un bimbo dentro l'utero materno o poco dopo la nascita possono rappresentare per una mamma una tragedia interiore che merita una considerazione. 

Christine Diane Teigen, nota al grande pubblico semplicemente come Chrissy Teigen, è una modella e influencer statunitense, dal 2013 è la signora Legend, sposata con John Legend (cantautore, produttore discografico, teatrale e televisivo), è mamma di tre bambini, due dei quali, Luna e Miles, può vederli crescere, mentre l’ultimo, Jack, è un figlio angelo.

Le mamme degli angeli sono donne fragili e forti insieme, hanno sperimentato e portano in sé un dolore che il mondo ancora “rifiuta”: lo chiamano lutto perinatale. La morte di un bimbo mai nato o il suo decesso a ridosso della nascita (ovvero il suddetto lutto) per la mamma rappresentano una profonda tragedia interiore che merita considerazione.

Cos’è il lutto perinatale

Un medico lo definirebbe “morte perinatale”, classificabile nella perdita dell’attività vitale del bambino che avviene tra la 27esima settimana di gravidanza e i 7 giorni dopo il parto.  Il lutto perinatale, quindi, coincide con la morte del figlio dentro l’utero materno o poco dopo la nascita. 

I limiti di scuola, però, cedono il passo dinnanzi all’intima sofferenza della mamma che subisce, anche prima della 27esima settimana, un aborto spontaneo o che è costretta ad affrontare un’interruzione terapeutica della gravidanza o una riduzione fetale (in caso di gravidanze plurigemellari) oppure la morte endouterina di un gemello. Il bambino morto è quel figlio che per la mamma resterà eternamente piccolo, immutato tra le nuvole e nella sua fragilità.

Dopo la perdita del bambino il corpo, quel medesimo “involucro” che la mamma abita con l’anima, muove per il mondo e vive ogni giorno, sembra aver fallito, la donna lo percepisce avverso e oppositore: l’utero che doveva crescere e cullare ha, invece, tradito la vita e non ha protetto il figlio. Visto così, dall’angolo visuale della mamma, il lutto perinatale è più di una definizione scolastica con un tempo di inizio e un limite di fine, con una categoria sua propria e una casistica. 
Visto in questo modo, doloroso e intimo, il lutto è la peggiore delle morti vissuta nella dicotomia dilaniante tra mente e corpo. 

Chrissy Teigen nell’ottobre dello scorso anno ha sperimentato il dolore del lutto perinatale e nel corso degli ultimi 12 mesi ha dovuto, come molte altre donne altrettanto sofferenti, sperimentare la sopravvivenza alla perdita. Tutte queste esperienze letteralmente si sperimentano perché in esse si fa costante prova di resilienza al dolore.

La modella statunitense oggi parla del suo piccolo Jack in questo modo: “il figlio che abbiamo quasi avuto” riconoscendo che questo bambino mai nato conserva una parte nella vita della famiglia. Tornando a parlare della sua perdita a un anno dall’aborto, Chrissy dimostra alle altre mamme che andare avanti è possibile

Sopravvivere al dolore compiendo il miracolo di avere cura di se stesse è fattibile, se non doveroso! Ed è ciò può essere fatto, senza nulla togliere all’esistenza in amore di quel figlio… sebbene resti un angelo tra le nuvole e nei pensieri delle mamme.

Ciò che la società nega in punto di dolore Chrissy Teigen lo ha cristallizzato nelle foto dell’aborto che ha condiviso su Instagram.

Cosa ha impedito al figlio du Chrissy Teigen di venire alla luce

Jack se ne è andato per problemi legati alla funzionalità della placenta. Chrissy ha visto il suo corpo cedere e non riuscire ad essere culla e protezione, insieme a John, con cui fa coppia fissa dal 2007, ha dovuto trovare il coraggio di tornare a casa, dove altri due figli attendevano la mamma e il papà. Ha sperimentato il dolore, i modi (anche peggiori) per assopirlo, ha visto il cuore non essere mai domo e infine ha saputo perdonare la vita.

  • Sei giovane, avrai un altro bambino;
  • Il tempo guarisce tutto;
  • Non hai avuto nemmeno il tempo di conoscerlo

Queste sono tra le frasi peggiori che si possano rivolgere ad una mamma in lutto perinatale. I medici, per parte loro, parlano facilmente di feto. Inoltre, complice lo tsunami emotivo che investe i genitori in quei momenti dolorosi, non sempre alla madre e al padre viene garantito uno spazio fisico e temporale di contatto col bambino, ovvero un addio tale da permettere loro di metabolizzarne la morte. Il figlio mai nato non è un figlio mancato, è un figlio eternamente piccolo, per sempre cullato nel cuore della mamma, immaginato in una crescita che segue emozionalmente la donna, questo perché quel figlio morto nel corpo non muore mai nell’animo materno. Le parole di Chrissy Teigen ne danno conferma, si è madri e si resta tali, anche quando la vita tradisce le nostre speranze e le nostre aspettative.

La società è negazionista rispetto alla morte di un infante prima che veda la luce, il diritto non gli riconosce una legittimità giuridica scissa dal suo primo respiro, ma sentimentalmente e psichicamente quel bimbo resta parte della famiglia che lo attendeva e della progettualità della donna che stava costruendo dentro di sé l’animo materno.

Il dolore del lutto perinatale, cosa può comportare nella mente della mamma

Una cattiva metabolizzazione del lutto perinatale può condurre alla depressione o può trasformarsi in un atteggiamento di opposizione alla vita con una costante repulsione della felicità. La donna, cioè, può vittimizzare se stessa. La chiave di volta sta nel liberarsi dal senso di colpa accettando che il corpo non è infallibile. È qui che avviene il “miracolo” di cui la stessa Chrissy Teigen parla e quel bambino mai nato diventa capace di insegnare alla sua mamma come amarsi, esattamente come la donna avrebbe amato il figlio nella vita insieme.

Il romanzo Basta un caffè per essere felici, del giapponese Toshikazu Kawaguchi, in uno dei suo tanti snodi, affronta anche l’umano sentire di una donna mamma di un angelo. Qui è la visione del bambino, non quella della mamma e nemmeno il risultato del suo dolore, a fare la differenza: l’autore indirettamente chiama il bambino a parlare e la testimonianza che ne risulta cambia inaspettatamente la luce riflessa sul lutto perinatale. La società tutta dovrebbe riconoscere a quel bambino il titolo a parlare e cosa vorrebbe il bambino angelo per la sua mamma? La stessa felicità che la scoperta della gravidanza le ha dato. Mutuando le parole di Toshikazu Kawaguchi: ”Solo tu (mamma, ndr.) puoi dare senso alla vita che ha ricevuto in dono (il tuo bambino, indipendentemente da quanto sia stata breve, ndr.). Perciò devi fare il possibile per essere felice. E la persona che lo vorrebbe di più è proprio il tuo bambino”. Che la società tutta comprenda che nessun bambino, nemmeno quelli che non hanno mai aperto i loro occhi sul mondo, abita il ventre di una donna senza lasciare una traccia di amore su questa terra.

Foto apertura: LaPresse