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Vita da Mamma: la rubrica di Federica Federico

Educazione
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Una mamma ama più il compagno o più i figli?

L’amore non dovrebbe conoscere gerarchie, in una famiglia la “graduatoria degli affetti” rischia di incidere negativamente sulle relazioni lasciando spazio al senso di esclusione, mentre la famiglia è una squadra.

L’amore non dovrebbe conoscere gerarchie, in una famiglia la “graduatoria degli affetti” rischia di incidere negativamente sulle relazioni lasciando spazio al senso di esclusione, mentre la famiglia è una squadra.

Una mamma ama più il compagno o più i figli? Quando nasce un bambino la donna muta profondamente nel corpo e nell’animo, la sua vita emotiva subisce uno stravolgimento determinato essenzialmente da tre fattori: i mutamenti fisici e ormonali del corpo; la relazione col bambino e la relazione col compagno. Questo stravolgimento interessa la mamma, il piccolo, il compagno e tutti gli equilibri familiari ne restano coinvolti.

Il corpo della neomamma è nuovo, anzi è improvvisamente diverso dal corpo di quella donna che 9 mesi prima accoglieva con gioia le due lineette sul test di gravidanza. Ora la giovane madre porta i segni della gestazione, vede le smagliature rosse che graffiano la pelle, produce latte, è al servizio del figlio che si è liberato dal ventre ed è  preda degli ormoni che le restituiscono una visione del mondo fragile e sensibile. Senza considerare che spesso tutto ciò è aggravato dalla deprivazione del sonno.

La relazione col bambino è qualcosa di totalizzante, la neo-mamma entra in una dimensione della cura a cui non si può essere mai completamente pronte: la pratica della maternità è il solo luogo reale in cui l’essere mamma si sostanzia (allo stesso modo la pratica della paternità è il solo contesto valido per sperimentare il proprio ruolo genitoriale).

La creatura “costruita” nel ventre è ora reale, in carne, ossa, pianti, cacche, coliche, notti insonni, fatica e persino momenti di sconforto. E, su questo palcoscenico, la relazione col compagno è tutt’un’altra musica: la complicità di coppia deve fare posto al figlio, la diade prevalente diventa quella mamma-bambino nella cui relazione fisica (e fisiologica) deve inserirsi il papà. Poi c’è quel corpo che non è più quello con cui il bambino è stato generato e merita un tempo di accoglimento, comprensione e rinnovata complicità.

Qui entra in gioco l’amore: si ama più il bambino o il papà? E in che modo questa nuova mamma può amare come prima, anche riservando uno spazio all’affetto per se stessa?

Post parto: cambia il corpo, cambia la donna e cambia anche l’amore

Una volta venuto al mondo il figlio, la mamma ama più il bambino o il compagno? Questa domanda che può sembrare banale (una domandina  da  chiacchiericcio, un discorsetto frivolo da salone di bellezza o una provocazione da test pseudo-psicologico) non è, però, così scontata! Il quesito ha un suo peso specifico importante: le neo-mamme si trovano realmente costrette a segnare un ordine di priorità e a ridisegnare una gestione della affettività che si sposi con i diversi gli equilibri familiari.

La donna nella nostra società è vittima della mitizzazione del ruolo materno: il ritratto culturale della mamma-madonna ci vota tutte alla santità subito dopo l’ultima spinta in sala parto. Superare questo falso mito renderebbe più sostenibile, se non più equilibrata e vera, la vita delle mamme.

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Restiamo donne, nella nostra straordinaria unicità restiamo umane e quel sentimento che ha dato la vita al figlio (ovvero l’amore per il compagno) sopravvive intatto, per cui abbiamo ancora bisogno di piacere e di sentirci, allo stesso modo, amate e desiderate come donne. Già solo questa considerazione, che attesta il permanere della femminilità, per quanto nascosta sotto il velo di sacralità che la cultura in cui viviamo assegna all’essere madre, dovrebbe suggerire che un amore non surclassa l’altro. Anzi, quando gli amori della vita di una famiglia non si compenetrano, la competizione affettiva rischia di tradursi in un contrasto di interessi e bisogni che può essere lesivo e logorante.

L’amore non si divide e non si pone sul piatto di un’immaginaria bilancia, esso non deve mai essere oggetto di disputa o mela della discordia: l’amore familiare serve a fare squadra! Ma allora è lecito o meno domandarsi se una mamma possa o debba amare più il compagno o i figli? Qual è la risposta “giusta” a questa domanda?

Una mamma ama, ama e basta!

Con l’arrivo di un bambino, la neo-mamma e il neo-papà capiscono subito che la famiglia deve cambiare codice comunicativo: sono cambiati i ruoli, devono cambiare le interazioni e gli strumenti di relazione. Il modo in cui la coppia guarda a se stessa è decisivo:

  1. La mamma ha bisogno di tempo per ritrovare equilibrio col suo corpo; la sessualità merita uno spazio senza forzature; il sonno della donna necessita di rispetto e collaborazione. Ma allo stesso tempo la neomamma è parte di una relazione immersa nel bambino e troverà conforto in un compagno capace di darle fiducia e appoggio.
  2. Il papà ha bisogno di spazio, non è l’ancella della mamma ma il suo braccio destro; gli va concessa la possibilità di mettersi in gioco perché possa relazionarsi al neonato e intrecciare col figlio un dialogo affettivo radicato e duraturo. D’altro canto non va respinto fuori dai confini della relazione amorosa, riconoscergli la possibilità di manifestare interesse e passione anche verso una mamma che sta ritrovando se stessa è un beneficio per la coppia.

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In definitiva, la famiglia non è fatta di relazioni di potere, essa fonda su relazioni di complicità o, per meglio dire, è funzionale se si basa su rapporti di reciproco supporto. Allo stesso modo la genitorialità non può strutturarsi sulla prevalenza o sull’esclusività delle relazioni, essa deve favorire l’inclusione.

Se una mamma ama più il compagno o più i figli il legame familiare rischia di diventare disfunzionale

Non è una cattiva mamma quella che ammette di non poter misurare l’amore e si concede la possibilità di dare a tutti, figli e marito, un amore smisurato e smisuratamente diverso. Creare, anche solo nella propria testa, ovvero come costrutto emotivo, un’idea dell’amore fondata su una gerarchia è pericoloso: nell’ambito della neonata famiglia può rievocare vissuti passati, può alterare l’equilibrio emotivo all’interno della coppia e può soffocare spazi personali sempre necessari per vivere bene.

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Il genitore troppo ripiegato sul bambino o che ha fatto del figlio l’oggetto prevalente del suo progetto di vita e di amore corre il rischio di proiettare sul piccolo i propri desideri e le proprie aspettative. Ciò va a discapito del riconoscimento dello spazio di vita e identitario del bambino.

In conclusione l’amore è amore, non è misurabile per eccesso o differenza e nemmeno è giusto dire che l’amore incondizionato sia un sentimento destinato solo alla relazione madre-figlio.

Si dice che la separazione è uno degli eventi più destabilizzanti che si possano vivere nella vita, perché secondo voi? Lo è proprio perché l’amore incondizionato si è perduto, col correre del tempo ha smarrito la sua alea celeste, si è corrotto, frantumato e alterato. Il dolore che la separazione provoca è il risultato immediato di quello che abbiamo fin qui detto: si ama e basta e l’intensità del sentimento non è misurabile, esso è tale e in quanto tale incide sulla stabilità emotiva e sulla buona vita.

Pertanto va preservata ogni forma di amore familiare senza cadere nella trappola di volerlo misurare, fors’anche per aderire a erronee mistificazioni culturali.