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L'Abbazia di Santa Maria di Cerrate, bene FAI in Puglia

Leggende, monaci e pirati in Salento: l'Abbazia di Santa Maria di Cerrate, un edificio stupendo a testimonianza della storia della regione, tra avventura e arte.

Leggende, monaci e pirati in Salento: l'Abbazia di Santa Maria di Cerrate, un edificio stupendo a testimonianza della storia della regione, tra avventura e arte.

Negli oltre ottocento anni trascorsi dalla sua fondazione, l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate ne ha viste proprio di tutti i colori: cervi miracolosi, monaci in fuga dall’Oriente e perfino pirati sanguinari! Eppure le principali sensazioni trasmesse da questo complesso monastico sono un senso di quiete e una grande solidità.

La costruzione si erge austera e maestosa tra gli olivi della campagna salentina nel territorio di Squinzano, pochi chilometri a nord di Lecce e a breve distanza dall’Adriatico. Secondo la tradizione più diffusa, che ricalca da vicino il miracolo della conversione di Sant’Eustachio narrato nella Legenda Aurea, l’edificio fu fondato nel XII secolo dal normanno Tancredi d’Altavilla, Conte di Lecce, il quale, nel corso di una battuta di caccia nella campagna leccese, si imbatté in una cerva e la inseguì fino alla sua tana. Quando riuscì ad avvicinarsi, però, vide tra le corna dell’animale l’immagine della Vergine e decise perciò di far costruire in quel luogo un’abbazia dedicata alla Madonna. In un secondo momento la affidò ai monaci basiliani, seguaci dell’ordine religioso creato da San Basilio, i quali, in seguito alle persecuzioni iconoclaste dell’Oriente cristiano, erano stati costretti a fuggire e avevano trovato rifugio in questo luogo.

L’abbazia divenne poi il nucleo centrale di un ricco monastero dotato di tutte le strutture necessarie alla vita e alle attività dei monaci.

Tuttavia, in seguito alla scomparsa dell’ordine dei Basiliani nel XVI secolo, il complesso passò sotto il diretto controllo della Santa Sede e nel 1531, durante il pontificato di Clemente VII, fu donato all’Ospedale degli Incurabili di Napoli, che lo conservò fino al 1877 trasformandolo in una masseria e abbandonandolo progressivamente all’azione devastatrice del tempo. Ad aggravare lo stato di degrado in cui versava l’abbazia, nel 1711 aveva subito anche un pesante saccheggio da parte dei corsari barbareschi, che in quel periodo infestavano le acque del Mediterraneo e compivano terribili razzie nel corso delle loro frequenti incursioni nell’entroterra.

Nel 1965 la provincia di Lecce avviò i primi restauri, in modo da riportare il bene al suo splendore originale; nel 2012, però, l’ente provinciale affidò l’abbazia in concessione trentennale al FAI (che acquisì, così, il suo primo bene in Puglia), affinché si occupasse di un nuovo restauro e iniziasse i lavori per la ri-funzionalizzazione e la valorizzazione di alcune aree del complesso.

Oggi il luogo è aperto al pubblico e visitabile, e rappresenta uno degli esempi più significativi dello stile romanico del Salento.

La basilica è l’edificio centrale e il fulcro dell’intero complesso abbaziale; la superficie esterna della facciata è movimentata da un rosone, monofore, lesene e archetti dalle linee essenziali, elementi caratteristici dello stile romanico pugliese, tanto che si possono ritrovare anche nella basilica di San Nicola a Bari. Guardandola, l’attenzione si focalizza immediatamente sul grande portale, sormontato da un’arcata ornata da altorilievi in stile bizantino che raffigurano scene del Nuovo Testamento e un monaco in preghiera. Addossato al fianco sinistro della basilica, si trova un portico duecentesco di ispirazione francese, composto da colonne dal tronco cilindrico e poligonale, sovrastate da capitelli decorati in vario modo.

L’interno della chiesa, a pianta longitudinale, è diviso in tre navate, terminanti in altrettante absidi e divise tra loro da dieci colonne; ad arricchire l’ambiente, sull’altare maggiore, è stato posto un ciborio risalente al 1269, sul quale si possono leggere iscrizioni greche. Pare che, in origine, la superficie interna della basilica fosse riccamente decorata da splendidi affreschi, ma soltanto pochi sono rimasti al loro posto (in particolare le figure di cinque santi con un libro in mano e che si possono ammirare lungo la parete absidale); la maggior parte, infatti, si è staccata ed è oggi custodita nel Museo delle Arti e delle Tradizioni popolari, costituito nel 1975 e situato in un edificio posto sulla destra della chiesa, nel quale si possono osservare, alcuni ambienti domestici ricostruiti della civiltà contadina.

Nell’abbazia sono visibili, inoltre, la Casa Monastica, una stalla, oggi usata come sala espositiva, un frantoio ipogeo e un piccolo pozzo rinascimentale del 1585.

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