Speciale mestruazioni: fra tabù, conquiste e false credenze
Speciale mestruazioni: fra tabù, conquiste e false credenze

«Questo è il mio sangue»: la guerra di Elise contro il tabù delle mestruazioni

Intervista alla scrittrice e giornalista francese Elise Thiébaut sul tabù delle mestruazioni. 

Intervista alla scrittrice e giornalista francese Elise Thiébaut sul tabù delle mestruazioni. 

Le mestruazioni sono ancora oggi un tabù, non solo nei Paesi del terzo mondo, ma anche in Italia, dove andare in bagno con un assorbente in mano viene ancora visto come qualcosa che non si deve fare.

Del tabù delle mestruazioni ha parlato ampiamente la scrittrice Elise Thiébaut, giornalista e autrice di molti testi dedicati ai diritti delle donne, nel suo libro “Questo è il mio sangue”, pubblicato da Giulio Einaudi Editore nel 2018.

Quella contro i tabù è una guerra nella quale devono essere vinte numerose battaglie. La prima consiste nel riuscire a parlarne senza doversi nascondere o vergognare: è proprio di questo che abbiamo parlato con Elise Thiébaut.

Quando è nato il bisogno di scrivere questo libro?

«Ho sempre avuto il desiderio di scrivere sulle mestruazioni e, più in generale, del mio percorso ginecologico. Avevo un ciclo molto doloroso, poiché soffrivo di endometriosi (che mi è stata diagnosticata soltanto 30 anni più tardi), e tutta la mia vita ne è stata influenzata. La mia forza nell’agire, la mia salute, la mia sessualità, per non parlare degli abusi ginecologici ai quali sono stata esposta. Dietro il tabù delle mestruazioni c’era una storia di dominazione, di oppressione, che volevo capire e demistificare. Stranamente il mio progetto è stato accettato da un editore – La Découverte – soltanto quando sono arrivata alla menopausa. Ironia della sorte!».

Le mestruazioni vengono indicate da sempre con i nomi più bizzarri, alcuni dei quali fanno anche molto ridere. Dare il loro nome alle “regole” può bastare per cambiare le cose?

«Di certo c’è una questione politica nel nominare correttamente le cose al fine di uscire dalla vergogna che le circonda. Ci ho messo anni a pronunciare la parola “vagina” senza avere l’impressione di fare qualcosa di male e lo devo al meraviglioso testo di Eve Ensler, I monologhi della vagina, che mi ha fatto ridere e piangere fin dal primo momento. Tuttavia, io sono un’amante della lingua e non faccio parte di coloro i quali si battono per eliminare le metafore, i giochi di parole e gli altri eufemismi o alternative adoperati per indicare le mestruazioni. Utilizziamo tutte le parole, inventiamone di nuove, autorizziamo la nostra parola a esprimersi in tutta la diversità del nostro vissuto, della nostra cultura e della nostra identità».

Perché le donne si vergognano di parlare delle mestruazioni in pubblico?

«Il tabù delle mestruazioni si basa su un divieto, un silenzio, ma anche su dei pregiudizi negativi e delle superstizioni che sono stati tramandati di generazione in generazione, al punto che le mestruazioni sono quasi sempre associate, in modo simbolico, alla vergogna e all’impurità. Inoltre, parlare in pubblico delle mestruazioni (in modo particolare delle proprie) ci porta a subire in modo sistematico il rifiuto, il disgusto, le battutine, per non parlare della famosa frase che ci propinano di continuo quando manifestiamo le nostre opinioni con vigore, o quando siamo di cattivo umore: “Hai le mestruazioni, vero?”. Il silenzio che molti hanno sulle loro mestruazioni in un contesto simile dimostra una prudenza elementare, un pudore legittimo: non vogliamo necessariamente parlare della nostra intimità in pubblico. Ritengo sia necessario e femminista difendere anche le scelte, individuali, di tenere questa esperienza per sé».

Che consiglio darebbe per rispondere a questo genere di frasi dall’ovvio sapore sessista?

«Non sono brava con i consigli, ma magari si potrebbe ricordare agli individui che praticano questo genere di esercizio che tutti hanno degli ormoni: noi ne produciamo fino a 50 ogni giorno. Tali ormoni hanno un ruolo essenziale nel processo fisiologico della digestione, della veglia e del sonno, dell’affaticamento, della paura e della rilassatezza, e anche della riproduzione. Al contrario delle donne che ovulano una sola volta al mese, gli uomini producono spermatozoi di continuo, sviluppando dei picchi di testosterone che giocano un ruolo altrettanto importante nel loro comportamento. In termini di violenza, rabbia, cattivo umore, le persone che hanno un pene sono statisticamente molto meno stabili di quelle dotate di utero. Ma nessuno si permette loro di dire: “Sei un po’ agitato. Stai mica per produrre una nuova scorta di spermatozoi?».

Quanto pesa la cultura fallocentrica in tutto questo?

«È immenso e nel mio libro lo spiego nel dettaglio. Seguendo il concetto definito da Françoise Héritier di “valore differenziale dei sessi”, simbolicamente, socialmente, la maggior parte delle culture assegnano un valore superiore a ciò che è considerato mascolino rispetto a ciò che è invece ritenuto femminile. Per questo quando arrivano le mestruazioni si è soliti dire che si entra nella “femminilità”. Far vergognare una donna perché ha le mestruazioni significa avere a propria disposizione un eccellente strumento per rovinare la stima che ha di sé e per convincerla di essere inferiore. Del resto, il tabù delle mestruazioni è codificato nella Bibbia in un’epoca storica dove si colloca la diffusione delle grandi società patriarcali: a metà del neolitico, tra i 5.000 e i 7.000 anni fa».

Parliamo degli assorbenti lavabili. Alcune ragazze non sanno neanche della loro esistenza. Perché se ne parla così poco?

«Credo che in un universo commerciale come il nostro, le aziende che producono assorbenti pratichino un martellamento pubblicitario a favore dei prodotti usa e getta dai quali si ricava un profitto maggiore. Siamo dunque condizionate a preferire tali prodotti, ma è ancora possibile cambiare, soprattutto dopo la comparsa delle geniali culotte mestruali».

Sono tante le attiviste che ogni giorno cercano di lottare contro l’abbattimento dei tabù, soprattutto in quelle culture nelle quali si assiste ancora a trattamenti assurdi nei confronti delle donne nel momento in cui hanno il ciclo. Qual è il cambiamento più significativo che ha visto rispetto a quando era adolescente?

«La mia adolescenza risale al 1975, quindi 45 anni fa. Direi che i cambiamenti su questo tema sono avvenuti nel corso degli ultimi anni, con la liberazione della parola mestruazione nel mondo intero, in tutti i modi possibili».

Cosa ne pensa della tampon tax? La Francia ha fatto grandi passi avanti in tal senso, così come la Scozia, ma in molti Paesi europei gli assorbenti vengono trattati ancora al pari di sigarette e alcolici. Perché?

«È una questione di profitto e di redditività. Se volete sapere cosa ne penso, secondo me gli assorbenti dovrebbero essere resi accessibili gratuitamente nei luoghi pubblici e non dovrebbero contenere componenti tossiche, in particolare i perturbatori endocrini».

A che età si dovrebbe iniziare a rompere i tabù?

«Io non posso che parlare del tabù delle mestruazioni e, ad essere onesta, non sono troppo brava in tema di educazione, come ho potuto notare crescendo una figlia che oggi ha 24 anni. Ho aspettato che fosse lei a farmi delle domande e ho cercato di rispondere nel migliore dei modi. Ma ho fallito in tutto quello che può somigliare a dei rituali di passaggio o, più semplicemente, nel trasmettere quello che sapevo su argomenti molto basilari. Mia figlia va alla grande, è geniale e ci vogliamo bene, ma credo sia più merito suo che mio. O di altri scrittori».

Se fosse il Ministro dell’Istruzione, che genere di cambiamenti introdurrebbe nelle scuole per fare in modo che le mestruazioni diventino per tutti la normalità?

«L’idea di essere ministro dell’Istruzione è piuttosto lunare per me, ma per una volta so quello che si dovrebbe fare: piazzare dei distributori di assorbenti bio gratuiti nei bagni di tutte le scuole secondarie di primo e secondo grado».