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Igiaba Scego: «George Floyd e i corpi dei neri»

La scrittrice italiana di origine somala riflette sulla morte dell'afroamericano ucciso per soffocamento da un poliziotto e sulla Black Italy: «È incredibile che i giovani neri in Italia abbiano gli stessi problemi che ho avuto io». 

La scrittrice italiana di origine somala riflette sulla morte dell'afroamericano ucciso per soffocamento da un poliziotto e sulla Black Italy: «È incredibile che i giovani neri in Italia abbiano gli stessi problemi che ho avuto io». 

Secondo il Southern Poverty Law Center negli Stati Uniti ci sono 917 gruppi organizzati che inneggiano all'odio razziale. I dati, che arrivano fino al 2019, hanno aiutato l'organizzazione a creare una mappa del razzismo. Il SPLC segue le azioni di 1.600 gruppi estremisti, il volto peggiore del Paese più potente del mondo, oggi sconquassato dalle proteste per la morte di George Floyd.

Un video diffuso in rete ha mostrato come l'afroamericano sia stato ucciso per soffocamento, a causa del ginocchio premuto sulla schiena durante l'arresto da parte di un poliziotto bianco. Le sue ultime parole hanno fatto il giro del mondo e sono diventate uno slogan politico: «I can't breathe».

«So che non avrei dovuto farlo, ma ho guardato quel video. Dopo, per giorni, ho continuato a vedere nella mia mente quelle immagini. Ma al posto di quella di Floyd, vedevo le facce dei miei nipoti». Igiaba Scego, 46 anni, è una scrittrice italiana di origini somale. Nella sua cultura di origine essere zia è una cosa molto seria. Si chiamano habaryer, che in somalo significa piccola madre.

Per questo Igiaba, per giorni, non è riuscita a rimettere insieme i pezzi di se stessa, frantumati dalle immagini della morte di Floyd. Inevitabile il parallelo con la Black Italy, l'Italia nera, dove c'è ancora tanto odio e dove gli italo-africani hanno a che fare ancora con i problemi che tanti anni fa ha dovuto affrontare lei.

«La paura di perdere il corpo è una cosa reale per gli afroamericani da tanto tempo, dalla schiavitù alle esecuzioni sommarie di oggi. È una lunga storia di dolore. Il problema è che i corpi dei neri sono letti male», spiega Igiaba, ora in libreria con La Linea del Colore (Bompiani). In questo libro il corpo è al centro di tutto.

Quali sensazioni ti ha provocato la notizia della morte di George Floyd?
Come ho scritto su Facebook, mi sono sentita frantumata dentro e per giorni non sono riuscita a ricompormi. So che non avrei dovuto farlo, ma ho guardato quel video. Dopo ho continuato a vedere nella mia mente quelle immagini. Ma al posto di quella di Floyd, vedevo le facce dei miei nipoti. Non sono madre, ma le zie in Somalia sono come delle piccole madri. Ho sentito una grande paura per loro, non per me. A un certo punto della vita di un nero c'è una cosa che viene fatta dai genitori o da parenti più grandi. Viene chiamato "the talk", il discorso. Non è sulla polizia, ma sulla violenza che può accaderti. Ti dicono “stai attento” o "dovrai fare il triplo della fatica per ogni cosa". I genitori ti possono crescere, ma non ti possono salvare. A me l'hanno fatto mia madre e mio padre e per me è incredibile che lo abbiano fatto anche a mio nipote.

Cosa ne pensi delle proteste che stanno scuotendo l'America?
L'omicidio di George Floyd è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. All'inizio hanno anche negato che fosse morto asfissiato. Questa mancanza di giustizia ha scatenato la rabbia. In più, c'è il Coronavirus che ha ucciso molti latinos e afroamericani. Molti stanno perdendo il lavoro e quindi l'assicurazione sanitaria. Quando alla discriminazione si unisce la lotta di classe è così. Quello che chiedono è giustizia sociale. Non è un caso che tutto questo stia avvenendo durante la presidenza Trump.

Qualcosa sta cambiando?
Vedo un'America con un sacco di problemi ma con un sacco di risorse. Personaggi che prima non si occupavano di questo tema, hanno iniziato a farlo. Basti pensare a Beyoncé. Jacob Frey, il sindaco di Minneapolis, la città con più somali negli Stati Uniti, ha fatto un discorso nella loro lingua: si stava sforzando per la sua comunità. Nel suo discorso ha ricordato che ci sono 400 anni di soprusi alle spalle.

Il razzismo in America ha delle origini antiche... Qual è la differenza nella genesi rispetto al razzismo europeo?
Non si tratta di un razzismo più giovane, ma diverso. Dobbiamo ricordare che gli europei hanno colonizzato l'America. Una branca di quello europeo è andata nel Nuovo Mondo, mentre l'altra è rimasta qua. Ciò che l'America ha fatto ai corpi neri è terribile. Non minimizzo il razzismo italiano, ma ogni razzismo ha una sua genesi differente.

Cosa intendi?
Quando in Italia hanno fatto le leggi sull'immigrazione contemporanee, avevano in mente i sudditi coloniali, non cittadini con pieni poteri. È una cosa che non ti ammazza con un colpo di pistola alla testa, ma lo fa molto più lentamente.

Polizia negli Usa: perché tra di chi è pagato per proteggere le persone, c'è chi invece abusa del proprio potere? Da dove nasce questo odio?
È una domanda che dobbiamo fare a loro... Me lo chiedo anche io.

Polizia in Italia: pensi che certi germi siano anche qui?
Uscendo dal razzismo, basti pensare ai casi di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi.

Com'è la Black Italy, qual è la sua fisionomia?
C'è una differenza molto grande tra afroitaliani e afroamericani. Gli afroamericani non sanno chi erano i loro antenati. Gli hanno annullato la storia. Li hanno messi nelle navi negreriere e li hanno portati negli Stati Uniti. Dietro gli afroamericani c'è la schiavitù. Dietro gli afroitaliani c'è un altro mondo.

Ci spieghi meglio.
Io sono nata a Roma e ho origini somale. So qual è il mio clan, Tunni, conosco il mio albero genealogico fino al Settencento. Non è una differenza da poco. Spesso lo sa anche chi è stato adottato. Ciò che c'è dietro di noi è il colonialismo. Se sei ghanese il colonialismo c'è, ma non è italiano. Mio nonno è stato l'interprete di un gerarca fascista in Somalia. Anche lì c'era anche una storia di schiavitù, ma diversa, meno industriale. C'è una storia da scavare. Ma c'è anche altro che non conosciamo e che non studiamo a scuola.

Che ruolo può avere la scuola?
C'è bisogno di un vero cambio nei curricula scolastici, non si può studiare tutto in modo eurocentrico. Manca la globalità. Da ricercatrice e studiosa freelance, io lo chiamo il rimorso italiano. Tantissime volte mi hanno cantato per strada Faccetta Nera. Tanti uomini terribili si fermavano, mi facevano vedere i soldi e mi chiedevano del sesso orale. È quello che deriva da quella canzone, razzismo e sessismo. Sono avvenuti stupri, ma anche matrimoni di comodo con bambine... Si deve scavare la storia perché gli stereotipi ci scavano dentro, come quando vai a fare un colloquio di lavoro e ti scartano perché sei nero. I nostri corpi vengono letti in maniera errata.

Cosa significa?
Basti pensare al corpo dell'uomo nero, letto solo come aggressivo. È un retaggio coloniale. A volte sembra che il razzismo non esista, poi c'è una crisi ed emerge: è qualcosa a intensità continua.

Le radici del razzismo italiano affondano in un passato nemmeno tanto remoto, che hai raccontato nel tuo ultimo libro. Prima di te, ha cercato di mettere insieme i pezzi anche Alessandro Leogrande. Perché ricordiamo le canzoncine, ma non i danni che la nostra presenza in Africa ha fatto?
Farei ascoltare le canzoncine del colonialismo fascista a scuola e le decostruirei davanti a loro. Come Topolino in Abissinia, che fa il volontario in Etiopia per, cito, conquistare i cioccolatini e massacrare i mori per fare una borsetta per la mamma e i sedili dell'auto al papà. Sento tanti ragazzi con queste canzoncine come suonerie al cellulare, che negano la Shoah. Se vogliamo affrontare il razzismo dobbiamo farlo a scuola, in tv, ma soprattutto dobbiamo diventare la società transculturale che siamo. Tra l'altro Faccetta Nera è una canzone che Mussolini odiava...

A che punto è la visione italiana di una società transculturale?
Siamo molto indietro. Molti ambienti della comunicazione e delle scuole, le redazioni dei giornali sono ancora chiusi alle culture diverse. Ci sono generazioni nere che stanno invecchiando come me e manca ancora una legge sulla cittadinanza. Si deve combattere per cose per cui si combatteva quando avevo 20 anni! Sembra che siamo stati immobili. Dobbiamo vedere che il Paese è cambiato.

L'influencer Kris Schatzel è stata fotografata mentre si metteva in posa durante una manifestazione per George Floyd. Molti giornalisti sono stati arrestati durante le manifestazioni. Qual è secondo te il ruolo dei media nella lotta contro il razzismo? Come si stanno comportando?
In America c'era molta attenzione al tema. Non è la prima volta che parlano dei Black Lives Matter. C'è una grande attenzione alla cultura black. Basti pensare che gli ultimi Pulitzer per narrativa e poesia sono andati a due neri, Colson Whitehead e Jericho Brown. La nazione deve molto agli afroamericani, ha scritto il New York Times. In più, una maggioranza che ignorava un tema ha iniziato a interessarsi. Mi piacerebbe che ci fosse il passo successivo.

Cioè?
Non parlare solo di questi movimenti negli Stati Uniti e in Italia, ma che l'attenzione resti sempre alta e che i corpi altri possano essere raccontati dal di dentro. Vedo tanta solitudine, tante persone che avrebbero tante cose da dire e che qui non possono farlo.

Un esempio?
Angelo Boccato. Ora scrive qualcosa su Internazionale, ma è andato in Gran Bretagna per farsi sentire. È un punto di vista che manca.

Al tempo del Covid-19 ci si aspettava maggiore solidarietà. Invece sembra che il virus ci abbia separati ancora di più. Ricchi contro poveri, chi ha il lavoro verso chi non ce l'ha più. Politici contro politici. Come si può superare tutto questo (se si può)?
Dobbiamo attrezzarci psicologicamente ad affrontare il ritorno di questa malattia. Dobbiamo essere preparati a livello sanitario. Avremo bisogno di meno odio. Negli ultimi anni in Italia c'è stato odio ovunque: in tv, sui giornali, verso donne, neri e non solo, verso alcune categorie come i professori di scuola. Come Paese dobbiamo lavorare su questo, sanzionando anche ciò che succede sui social. Come dice Cathy La Torre nella sua campagna, "Odiare ti costa". Poi c'è un altro grande problema italiano.

Quale?
Il patriarcato. L'odio verso le donne è feroce, così come la marginalizzazione delle donne dalla società, il carico di lavoro dato a loro, sottostimato e sottopagato. Una mia amica mi ha chiesto una volta: È peggio essere donna o essere nera in Italia?

Qual è stata la sua risposta?
Essere Donna, perché c'è una sottostima e una sessualizzazione continue. In qualsiasi altro paese europeo non è così. In Italia rimane questa misoginia in situazioni insospettabili. Se a questo si aggiunge l'essere donna migrante o donna figlia di migranti, jackpot!

Foto:Igiaba-Scego-1-®Simona-Filippini