Quando l’obbligo di essere sempre felici soffoca le emozioni autentiche e mette a rischio il benessere mentale: la positività a tutti i costi ha diverse ombre
Quando l’obbligo di essere sempre felici soffoca le emozioni autentiche e mette a rischio il benessere mentale: la positività a tutti i costi ha diverse ombre«Andrà tutto bene». Forse è questa la frase che, in un momento di fragilità e nervosismo, può ferirci di più. Perché in quel momento nel nostro cervello c'è solo una risposta: «No, non andrà tutto bene». Sembra un semplice gesto di affetto, una mano tesa a voler aiutare, eppure dietro quello che è in apparenza un incoraggiamento innocente, spesso c'è un lato oscuro che ora ha un nome. Si parla sempre più spesso di toxic positivity, un fenomeno che la psicologia moderna sta indagando con attenzione. Lungi dall'essere un sano ottimismo, si tratterebbe di una pressione sociale che ci vuole costantemente felici, senza riuscirci. Infatti, la toxic positivity è spesso all'origine di un profondo impatto negativo sul nostro benessere mentale. Andiamo a scoprire meglio di che si tratta.
Cos'è la toxic positivity: l'obbligo di essere felici
Toxic positivity: cos'è, in sintesi? Si tratta di un atteggiamento eccessivamente ottimista e generalizzato che porta a negare, minimizzare o invalidare le emozioni umane che non concorrono alla felicità. Quindi vietato essere tristi, arrabbiati o ansiosi.
Alla base c'è l'idea irrealistica che mantenere una facciata di felicità a tutti i costi sia l'unica via per affrontare la vita, un "good vibes only" che pervade i social media e le conversazioni quotidiane. Provate a cercare reel in cui ci si mostri nervosi o ansiosi o semplicemente tristi. Spoiler: non li troverete.
Questo fenomeno non è solo una fonte di fastidio che attraversa i rapporti interpersonali, ma può diventare una vera e propria arma a doppio taglio. Le persone che ne sono vittime, o che la praticano su sé stesse, finiscono per sentirsi in colpa o provare vergogna per le loro autentiche emozioni, arrivando a ritirarsi socialmente e a isolarsi.
Il significato profondo della Toxic positivity: il peso della negazione emotiva
Il significato di toxic positivity è letteralmente "positività tossica". Espressione che appare come un paradosso, ma non lo è. Il dolore, parte integrante dell'esperienza umana, viene stralciato dal vocabolario emotivo della persona.
Ma come sottolineato dagli esperti, le emozioni negative non sono "guasti" da riparare, bensì sono segnali di qualcosa a cui prestare attenzione. Ignorarle, sopprimerle o minimizzarle in nome di una presunta positività non le fa svanire. Al contrario, ne intensifica l'impatto a lungo termine, aumentando lo stress, l'ansia e persino i problemi di salute fisica, come l'ipertensione.
Toxic positivity e lavoro
Durante la pandemia Covid-19 abbiamo sperimentato la toxic positivity senza accorgercene. Ricordate la musica dai balconi? La gif di quel signore che batteva convinto le sue mani, urlando "Ce la faremo"? Ecco, quei gesti hanno avuto un'eco anche negli ambienti di lavoro.
Pur dematerializzati, gli uffici si sono trasformati in stanze virtuali che ci volevano sempre connessi, in ordine, sorridenti. Non c'era spazio per ansie, feedback negativi e dubbi. Bisognava navigare a vista, ma certi di approdare dall'altra parte, tutti sani e salvi. Non è andata così e lo sappiamo: i casi di burnout e depressione sono raddoppiati durante il lockdown. Ma la toxic positivity è sopravvissuta ed è tornata con noi in ufficio.
Questo atteggiamento si esprime in un management che nega l'espressione di perplessità e frustrazione ai propri dipendenti. Ci si aspetta che le persone siano sempre felici, altrimenti le si etichetta come "problematiche" o "non allineate" alla cultura aziendale? Risultato: stress e burnout, dimissioni e quite quitting, nonché perdita di fiducia e calo produttivo. Sicuri che la toxic positivity sia ancora una leva di crescita per le aziende?
Toxic positivity e ottimismo, le differenze: una linea sottile
Per non iniziare a evitare ogni persona che lanci verso di noi una frase o un gesto ottimista, è bene delineare la differenza tra toxic positivity e ottimismo. L'ottimismo sano è una risorsa preziosa, che si basa su tre pilastri. Il primo è il saper riconoscere la realtà. L'ottimista autentico ammette la difficoltà o il dolore di una certa situazione, non lo nega, e si pone accanto a chi prova queste emozioni. Se si tratta di un soggetto empatico, si approccia con compassione e rispetto.
L'ottimista sano sa mantenere la speranza. Affronta la sfida con la convinzione di poter trovare soluzioni o superare l'ostacolo, senza abbattersi o recitare mantra preconfezionati e spesso inutili.
Infine, chi prova sano ottimismo sa anche quando metterlo da parte per dare spazio alle altre emozioni. Permettere di provare tristezza o frustrazione, accogliendo queste emozioni senza giudizio, è il primo passo per aiutare concretamente qualcuno.
La positività tossica, al contrario, crea aspettative non realistiche: devi sempre essere felice e così lo sarai veramente. Una condizione impossibile, anche perché - come ci insegna il film Inside Out - la felicità imposta come unica emozioni può anche far danni. Anche la vulnerabilità, la tristezza, la paura, l'ansia sono utili. Ci permettono di metterci in ascolto di noi stessi e degli altri, dando vita a conversazioni profonde, fondamenta di relazioni durature e affidabili. E' questa, in sintesi, la differenza fra ottimismo e toxic positivity.
Senza contare che cercare sempre il lato positivo in un contesto storico come quello attuale - con le conseguenze del cambiamento climatico sempre più gravi e inarrestabili, guerre, insicurezza alimentare, mondo del lavoro in profondo cambiamento - può essere davvero difficile. Meglio coltivare un ottimismo sano, bilanciato e consapevole di non essere un atteggiamento granitico, bensì mobile, capace di fare spazio anche alle altre emozioni. Del resto, l'arcobaleno non è fatto di un solo colore, ma per essere così bello ha bisogno di tutte le sfumature.
Foto di apertura: Rawpixels.com

