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Variante omicron. I dubbi più comuni, chiariti da Roberto Cauda

Circa un milione di italiani ha iniziato il 2022 in quarantena ed è colpa soprattutto della variante Omicron, quella che la vulgata descrive (talvolta a sproposito) come “più lieve” delle precedenti, ma che di danni ne può fare eccome. Per chiarire i dubbi più comuni ci siamo rivolti a Roberto Cauda (Policlinico Gemelli di Roma e Università Cattolica del Sacro Cuore).

Circa un milione di italiani ha iniziato il 2022 in quarantena ed è colpa soprattutto della variante Omicron, quella che la vulgata descrive (talvolta a sproposito) come “più lieve” delle precedenti, ma che di danni ne può fare eccome. Per chiarire i dubbi più comuni ci siamo rivolti a Roberto Cauda (Policlinico Gemelli di Roma e Università Cattolica del Sacro Cuore).

La pandemia da coronavirus è entrata nella nostra quotidianità ormai da quasi due anni, ma sembra non avere nessuna intenzione di mollare la presa. Questo 2022 ha debuttato con oltre un milione di italiani rinchiusi in casa, perché in attesa dell’agognato tampone negativo o perché contatti stretti di un positivo. È colpa soprattutto della variante omicron, quella che la vulgata descrive (talvolta a sproposito) come “più lieve” delle precedenti, ma che di danni ne può fare eccome. Con tutti questi numeri che si susseguono incessantemente, conditi dalle inevitabili polemiche, è comprensibile che ormai circoli parecchia confusione. Per chiarire i dubbi più comuni ci siamo rivolti a un esperto: Roberto Cauda, direttore Malattie infettive presso il Policlinico Gemelli di Roma e professore ordinario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, fresco di nomina come consulente per l’Agenzia europea dei medicinali (Ema).

L’abbiamo contattato all’indomani dell’ennesimo bollettino record, quello di martedì 18 gennaio, con oltre 228mila casi positivi, più di 21mila ricoveri (di cui 1.715 in terapia intensiva) e 434 decessi. Ed è proprio da qui che comincia la nostra conversazione.

Ieri ci sono stati 434 morti per una variante che per molti è asintomatica e spesso viene descritta come poco più di un raffreddore. Come ci possiamo spiegare questo dato?

Evidentemente stiamo parlando di un virus che dà una malattia non lieve. Sappiamo che ci sono state delle varianti: dal virus archetipo di Wuhan si è passati alla variante D614G, comparsa in Italia a febbraio 2020, che si è resa responsabile della prima ondata in tutto il mondo. Dopodiché c’è stata la variante alpha (inglese) tra l’autunno 2020 e l’inizio del 2021, la delta (indiana) in primavera e adesso la omicron. Rispetto al virus originale, queste varianti mantengono più o meno la stessa caratteristica clinica ma sono tutte più trasmissibili, il che conferisce loro un vantaggio biologico che le fa prevalere sulla precedente.

Con una cinquantina di mutazioni, la variante omicron è forse la più distante rispetto a quella originaria. Pare che abbia un difetto relativo alla capacità di infettare il polmone; questo spiega il motivo per cui dà prevalentemente disturbi legati alle alte vie aeree. Questo ha fatto nascere – a mio giudizio in modo erroneo – l’idea che omicron sia un banale raffreddore. Non è vero: omicron non è un raffreddore.

La sua trasmissibilità è simile a quella del morbillo, con un R0 di 15-17 rispetto al 2-2,5 di quella iniziale. Mentre un soggetto con la variante delta infettava 6-8 persone, uno con la variante omicron ne infetta 15-17. Crescendo la platea dei soggetti colpiti, cresce anche la quantità di forme gravi. Ieri c’erano quasi 230mila contagi, di cui l’81% di omicron e il 19% di delta, stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità relativi al 3 gennaio. Anche ipotizzando un 1% di forme gravi di omicron, su una platea così grande questo fa comunque la differenza. Insomma, omicron è meno grave, ma la sua trasmissibilità ne fa una malattia non banale. E attenzione, perché c’è ancora delta in circolazione: il 19% di 230mila sono oltre 40mila persone e sappiamo che delta, nei non vaccinati, si manifesta in forma grave. 

Ma quanto sono attendibili i dati sulla prevalenza di una variante rispetto a un’altra? In Italia solo 70 laboratori sono autorizzati a svolgere il sequenziamento, riuscendo a esaminare solo l’1,9% dei campioni.

In questo momento bisogna affidarsi ai tamponi rapidi, pur sapendo che hanno un’affidabilità minore rispetto a quelli molecolari. Certamente in Italia si sequenzia meno che nel Regno Unito e in Danimarca, e questo è un tallone d’Achille: è stata fatta una prima fotografia verso a dicembre, una a gennaio, e così è emerso che omicron è passata da poco meno del 30 all’81%, con un consensuale aumento dei contagi. Uno studio longitudinale, con il sequenziamento quotidiano, di sicuro avrebbe un maggiore valore; nell’impossibilità di farlo, anche questo studio trasversale resta comunque valido.

Da questi dati si capisce anche se i vaccini sono efficaci?

Anche se omicron può sfuggire alla risposta immunitaria per quanto riguarda l’infezione, i vaccini restano efficaci evitare la malattia grave. Se guardiamo le curve, vediamo che nella seconda e nella terza ondata c’era un aumento consensuale di contagi, ricoveri, terapie intensivi e decessi. Oggi aumentano i contagi, sicuramente aumenta anche la pressione sugli ospedali e sulle terapie intensive, ma gli ospedali reggono. Se questi numeri fossero cresciuti consensualmente, sarebbero andati in crisi e ci sarebbe stata la necessità di ricorrere a misure straordinarie.

Cosa si sa delle possibili conseguenze a lungo termine del Covid-19? I Centers for Disease Control and Prevention di recente hanno ipotizzato, per esempio, una maggiore incidenza del diabete in bambini e ragazzi.

Il Covid-19 è una malattia sistemica perché si attacca a un recettore presente in tutto l’organismo. Sono in corso tanti studi settoriali sulle conseguenze a lungo termine del Sars-CoV-2, slegati quindi dalle singole varianti: ne sono stati condotti sul diabete, appunto, ma anche sui possibili danni renali, cerebrali, cardiovascolari, polmonari. Questi studi ci devono insegnare una cosa: la protezione vaccinale. In questa fase si parla tanto delle fragilità del vaccino, perché ci sono persone che si infettano con omicron pur avendo la terza dose. Dobbiamo sempre ricordare, però, che il vaccino ci protegge dalle forme gravi anche nel lungo periodo.

Una volta guariti, le reinfezioni sono frequenti? 

Quando è comparsa la variante omicron, il Sudafrica aveva una percentuale di vaccinati attorno al 24% ma un numero notevole di soggetti che erano stati infettati da una precedente variante. Molti avevano quindi una sorta di “immunità naturale” che non è stata sufficiente per contrastare omicron ma ha comunque contribuito a tenere bassi i tassi di mortalità.

Quindi, ora che cresce la platea di guariti e vaccinati, il virus può fare meno paura? 

Con questo tipo di virus, la vera e propria immunità di gregge è impossibile. Omicron tuttavia potrebbe determinare una sorta di immunità naturale che, associata ai vaccini, potrebbe portare allo scenario da alcuni preconizzato: soprattutto in Europa, dove una larga parte della popolazione è vaccinata, il virus potrebbe non trovare più un numero importante di persone da infettare e circolare fino a diventare una forma endemica, non più epidemica. Cioè con tante forme simil-influenzali e rare forme gravi. Questo potrebbe aprire la strada a una diminuzione di casi, magari in corrispondenza della bella stagione che già ha aiutato nel 2020 e nel 2021. Per l’inverno del 2022 forse potremmo pensare a un’altra vaccinazione, ma con un vaccino aggiornato che le industrie stanno preparando. Ricordiamoci sempre che ci stiamo vaccinando contro omicron, ma con un vaccino costruito sul virus di Wuhan.

Lei dunque non ipotizza una quarta dose a breve?

I dati di Israele non sono ancora molto evidenti, ma sembrano suggerire che la quarta dose non stia dando i risultati sperati. Se la terza dose chiude la partita, bene. Se questo non succede e il virus diventa endemico, si potrebbe prendere in considerazione un’altra somministrazione di un nuovo vaccino aggiornato a distanza di diversi mesi. Io sono contrario a una quarta dose immediata perché, se sollecitiamo troppo il sistema immunitario, rischiamo un effetto paradosso per cui il vaccino non stimola più niente. Oltretutto, sarebbe un rischio poco utile perché il vaccino attuale contrasta un virus vecchio. In sintesi, non escludo un eventuale richiamo con un nuovo vaccino, ma bisogna vedere quanto dura l’immunità della terza dose e come muta il virus.

In chiusura, come ci possiamo spiegare questo picco delle prescrizioni dell’antibiotico azitromicina, ormai introvabile nelle farmacie?

Non so spiegare il motivo né entro nel merito della libertà prescrittiva dei colleghi, per cui ho il massimo rispetto. Guardando i dati scientifici pubblicati nel 2020, posso dire che nel corso della prima ondata alcuni studi osservazionali avevano indicato una certa efficacia in un numero piccolo di pazienti dell’associazione azitromicina (Zitromax) e idrossiclorochina e di altre molecole come clorochina fosfato, idrossiclorochina, ivermectina, plasma iperimmune. Più recentemente studi randomizzati e controllati condotti su un numero significativo di pazienti, gli unici che ci possono dare delle certezze, hanno chiaramente dimostrato che non c’è alcuna efficacia. Segnalo infine che l’uso degli antibiotici, laddove non siano strettamente necessari, può aggravare il fenomeno dell’antibioticoresistenza.

Credits foto: halfpoint / 123rf.com