Matrimonio
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Galateo per Ragazze da Marito, tutta la verità dietro le «regole per donne per bene»

Le ragazze da marito esistono ancora? Sposarsi è ancora così indispensabile per una donna per essere felice? Se sì, quali sono gli ostacoli da superare? Di tutto questo parliamo con Irene Soave.

Le ragazze da marito esistono ancora? Sposarsi è ancora così indispensabile per una donna per essere felice? Se sì, quali sono gli ostacoli da superare? Di tutto questo parliamo con Irene Soave.

Se il matrimonio di Kate Middleton ha tenuto incollati agli schermi un'audience di tre miliardi di persone, la favola – quella dove il principe sposa Cenerentola – piace ancora. Irene Soave, giornalista, era tra quelle persone. Scrutando il noto riserbo della commoner che ha espugnato il clan dei Windsor, si è chiesta (e con lei, tutte noi): come ci si arriva?

La risposta sembrava essere: comportandosi come la classica ragazza da marito.

Così ha scritto un libro per capire chi era e com'è cambiata, questa donna, che forse non ha nemmeno bisogno del principe azzurro per essere felice, anche se ogni giorno deve schivare centinaia di regole che le imporrebbero di essere qualcosa di più addomesticabile.

Galateo per Ragazze da Marito. Come non concedersi quasi mai, quasi a nessuno e riuscire a non sposarsi lo stesso (Bompiani) è una riflessione semiseria sui modelli di comportamento femminili perpetrati nel tempo e sull'inspiegabile appeal che hanno ancora sulle Millennial. Molti anni dopo è ancora il matrimonio lo scopo della vita delle donne?

Galateo per Ragazze da Marito: intervista all'autrice Irene Soave

Come ti è venuta l'idea di scrivere questo libro?

Come tutti i sentimenti che uno ha e che sono di qualche spessore, la mia curiosità terrorizzata sugli archetipi del femminile mi accompagna da sempre. Sono una femmina vestita da femmina, anche se sono una donna che patisce tanto i canoni di genere. E sono molto affascinata dalla disparità di questi protocolli. 

In che senso?

Anche gli uomini sottostanno a dei canoni, ma è difficile che ci sia nel mondo una così ampia produzione di testi, tutorial, articoli, serie tv, pubblicità rivolti a loro, per dirgli come fare gli uomini. Noi siamo bombardate, anche adesso, in un'epoca che si definisce inclusiva.

La teoria espressa all'inizio del libro è che le ragazze da marito di una volta sono “belle in modo tradizionale, mai scollate, mai volgari”. Chi sono invece oggi le ragazze da marito?

A poche donne piacerebbe vivere come vivevano le donne di una volta. La variabile è che noi signorine contemporanee siamo desideranti: noi oggi lo possiamo dire, che desideriamo anche noi. La variabile del desiderio femminile nella società ha scompaginato un po’ le carte.

In che modo?

Le regole di una volta non lo prendevano in considerazione, e tutto il protocollo che prevedono è basato su ruoli molto divisi: lui vuole, lei no. Lombroso, in La delinquente, la prostituta e la donna normale identifica il desiderio sessuale come una caratteristica organica della prostituta: cioè prostitute si nasce, e il sintomo che lo sei è che fare l’amore ti piace. Passare in pochi decenni da quest’ottica a un’ottica in cui il piacere viene rivendicato non è stato un cambio da poco. 

Qual è la più grande difficoltà oggi per una ragazza "da marito"?

La difficoltà che abbiamo tutti in quest’epoca: accettare di non capire immediatamente che piega prenderanno le cose. A noi piace molto dire: se fa così, ci tiene. Se fa cosà, non ci tiene. C’è pure un manuale, intitolato La verità è che non gli piaci abbastanza, che dice: se non ti telefona, non gli piaci abbastanza. Se non ti sposa, non gli piaci abbastanza. E certo questo a volte è vero. Ma a volte bisogna accettare che è presto per trarre conclusioni, e che il proprio apporto alle cose non è irrilevante. Infatti hanno molto successo le app di dating, dove tutto è bianco o nero: clicchi a sinistra è no, clicchi a destra è sì. Dopo due parole con questi estranei gli si chiede: ma tu cosa stai cercando? E se la risposta non ci piace, clic, via. Ma le relazioni sono sempre fonte di incertezza, tu l’altro non te lo sei mica comprato. 

Se un uomo vuole l'indeterminatezza, perché noi dobbiamo tacere un altro dei nostri desideri, ossia la determinatezza? È chiedere troppo che il bellimbusto di turno non si faccia venire l'orchite se mi mostro commossa davanti a un abito da sposa o a una famiglia in passeggino? Siamo finite in un'epoca in cui non ci vergogniamo di avere un amante, ma ci dobbiamo vergognare di desiderare un rapporto che vada "un po' oltre" l'avere qualcuno con cui fare sesso e andare al cinema?

Ma perché, tu vorresti della determinatezza con “il bellimbusto di turno”? Tu vorresti sposare uno che non ti vuole sposare? Io no. A una lettrice che le pone domande simili, già nel 1955, una caustica Contessa Clara risponde: “La donna, anche inesperta, ingenua, ignara, svi­luppa strane doti di praticità non appena pensa al matrimo­nio. Il compagno di scuola l’ha guardata? Significa che la ama, la vuol conoscere, conquistare, sposare. Se lui si limita a parla­re di sport, di studio o di qualsiasi altro argomento, la Delusa e Scoraggiata mi interroga convulsa. Quali sono le sue inten­zioni?”. Io non ho una risposta personale a questa domanda, ma penso che essere molto fissati sulle intenzioni altrui nella vita non aiuti; trovo molto rilevante essere invece fissate sulle proprie (matrimoniali, materne, famigliari comprese).

Nel tuo libro parli di orologio biologico: non pensi che – ancora oggi – ci sia una specie di bullismo esercitato anche dalle stesse donne? Perché, nemmeno tra di noi, riusciamo ad essere indulgenti? 

Io non lo sento tanto, forse scelgo bene le persone con cui confidarmi o forse sono solo molto fortunata. E ho una famiglia che sulle questioni personali è molto delicata, e genitori intelligenti. Mentre da un lato è vero che la fertilità non solo femminile ma anche maschile è un dono a tempo, il termine stesso di orologio biologico è uno dei milioni di concetti normativi, come la femminilità, a cui le donne sono sottoposte per un motivo politico. Il termine è nato dall'articolo "L'orologio ticchetta per la donna in carriera" pubblicato dal Washington Post nel 1978. L'autore, Richard Cohen partiva dall'assunto che tutte le donne arrivassero a trenta-quarant'anni pentite di aver studiato, investito su un lavoro, fatto carriera, senza aver investito su un compagno stabile.

Cosa intendi esattamente?

È molto più conveniente per la società disporre uno stigma sociale sulla donna che posticipa la maternità invece di darle gli strumenti per affrontarla mentre lavora. In Danimarca hanno un sussidio per quando fanno un figlio da sole: questa è politica. Personalmente resisto a questa narrativa. A queste donne dico: il concetto di orologio biologico ci viene imposto per tenerci al nostro posto.

Quando le cose vanno “male”: ovvero la condizione di zitella. Chi era ieri e come si è evoluta oggi questa figura?

Oggi se la passano molto meglio. Una persona che non è in coppia può vivere questa condizione con fatica, certo, ma è stato peggio in passato. Nel Seicento, Settecento, quando non si aveva accesso al mondo del lavoro, la zitella era preda della povertà. Lo spettro della prostituzione aleggiava su di loro, ma c'erano anche strutture che le accoglievano.

Cosa succedeva in queste case?

La loro aspettativa di vita si innalzava di 10-15 anni rispetto alle coetanee sposate. Facevano ricamo, cantavano e soprattutto non erano esposte ai rischi del parto. La vita non coniugata di una femmina non era così male!

E allora perché si stigmatizzava la figura della zitella?

Perché poteva scoraggiare la scelta del matrimonio, che portava le donne a fornire welfare gratuito alla società. La retorica anti-nubilare e anti-celibato a cui assistiamo oggi viene anche dal bisogno sociale di tutelare una cellula produttiva che è la famiglia. Per questo anche il sex appeal veniva e viene ancora oggi, in alcuni casi, stigmatizzato.

La bibliografia è ricchissima: qual è il volume che ti ha appassionato di più durante la fase di documentazione?

Prima di diventare una studiosa, sono stata un'utente di questi galatei. Sono libri che ho collezionato in tanti anni. Sono manuali che hanno una funzione ansiolitica: è bello sapere come comportarsi, riduce il disordine dell’interazione sociale. Io poi ci sono molti canoni a cui mi sono adeguata, non so dirti se a costo zero o no. Questi libri in gran parte fanno ridere. Ma ce ne sono anche due, entrambi degli anni Cinquanta, che amo molto.

Il primo.

Il più bello perché è cinico e attuale è I segreti del successo di Contessa Clara (il cui vero nome era Maria Vittoria Orsi), che scrive un manuale per gli uomini che passavano dall'essere umili all'essere ricchi. Bellissimi e ricchi di saggezza, parla di rigore, disciplina, determinazione, dignità. Alle signore con i denti storti, dice di raddrizzarli, pagandosi le cure anche pulendo le scale. 

E il secondo?

Altrettanto conservatore, è La vera signora di Elena Canino, altra creatura nata dal genio editoriale di Leo Longanesi. Qui c'è il consiglio per la signora che vuole scegliersi un amante (lo so quasi a memoria).

Cosa dice?

La signora non abbia fretta a fare questo passo, perché “perde assai più di quanto acquisti”. Dice no a scrittori, musicisti, e sì agli ufficiali. La scelta di un amante deve essere guidata da “gli stessi criteri che la guidano nella scelta di una sarta. Non una debuttante senza esperienza, né una dilettante che a spese altrui impara il mestiere, nemmeno una celebrità tuttavia che al prezzo della confezione aggiunge quello della notorietà e della firma”.

Nel tuo libro ricostruisci con molta sagacia la strategia militare che Kate avrebbe impiegato per accalappiarsi William. Verità a cui tendere o finzione da scampare?

Dobbiamo distinguere tra due cose: Kate reale e il testo-Kate, la narrazione che viene fatta con gli stessi crismi di una favola, con l'accento sugli stessi dettagli e sull'ascesa al trono del consorte. I passaggi su cui la stampa insiste sono gli archetipi che l'avvicinano alla ragazza di una volta, per rinforzare lo spirito conservatore del nostro tempo.

Ma oggi vale la pena improntare la propria vita sul solo obiettivo di conquistare un uomo (benché principe)?

Non lo so se valga la pena: forse dipende dall’uomo, e dalla vita. Intendo dire che non ci sono risposte giuste per tutte, e che anche la narrativa del puntare tutto solo sulla realizzazione personale, sacrificando le relazioni, può portare a una forma di frustrazione, di infelicità. Chi risponde in modo dogmatico, sta mentendo per propagandare una visione. Perché la verità è che dietro a ogni cliché a ogni regola, ogni canone che ci viene imposto e non sentiamo nostro, corrisponde una dinamica di potere.