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Lesbofobia, cos'è e perché va fermata

Un episodio di cronaca londinese ha acceso i riflettori su un fenomeno molto comune: la discriminazione di lesbiche in quanto donne e in quanto omosessuali. Facciamo il punto.

Un episodio di cronaca londinese ha acceso i riflettori su un fenomeno molto comune: la discriminazione di lesbiche in quanto donne e in quanto omosessuali. Facciamo il punto.

Quando Melania Geymonat ha postato la foto che la ritraeva in compagnia della sua ragazza, Chris, entrambe insanguinate su un bus, l'opinione pubblica ha guardato in faccia una forma di discriminazione apparentemente nuova: la lesbofobia. La coppia era stata pestata su un bus perché le due donne si erano rifiutate di baciarsi davanti a un gruppo di ragazzi che volevano derubarle.

facebook/Melania Geymonat

La novità sta nel fatto che finora nessuno aveva alzato la voce sul fenomeno della lesbofobia. Grazie alla potenza dei social questa violenza sociale è venuta a galla.

Il nocciolo della lesbofobia sembra essere nell'immaginario sociale, diffuso e radicato, secondo il quale le lesbiche non sono altro che un oggetto utile all'immaginario eterosessuale. La narrativa pornografica ha mostrato che ogni coppia di donne intenta ad amoreggiare, in realtà è in attesa di un maschio. Nella vita reale se due donne si baciano significa solo che stanno insieme perché si amano.

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Cos'è la lesbofobia

La giornalista Jane Czyzselska ha definito la lesbofobia come "omofobia con un contorno di sessismo". Per le lesbiche è un'esperienza quotidiana, a cui in alcuni casi ci si abitua, e che per questo non viene raccontata o denunciata. Insulti verbali e molestie per strada o sui mezzi sono all'ordine del giorno. Gli eterosessuali credono che le lesbiche esistano solo nei film porno, che in fondo ogni donna non desideri altro che un uomo tra le lenzuola. Quindi, quando le si incontra nella realtà, si è portati a considerarle come un mero stimolo per le proprie fantasie.

Stupri correttivi

Per questo, come nel caso dei trattamenti per “curare” l'omosessualità maschile, quando il lesbismo non è ben accolto, il mondo eterosessuale cerca di fare qualcosa. Di correggere, di educare. Il sentimento di scandalo e rabbia per questa incomprensibile e inaccettabile diversità sfocia negli stupri correttivi. Gli atti di violenza contro le donne sono perpetrati nella convinzione di far cambiare idea alla donna. Si tratta di una pratica diffusa in Sudafrica e in India, ma anche qui da noi, in Italia.

A Palermo Francesca, 23 anni, è stata violentata per anni dal padre e perseguitata dalla famiglia a causa del suo orientamento sessuale. Sua madre le ha detto: «Meglio una figlia morta che lesbica». Dopo anni di violenze, la ragazza si è costituita parte civile contro i suoi genitori, portandoli a processo per maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori. Loro negano. Lei ha tentato il suicidio tre volte. Poi è fuggita.

I problemi della comunità LGBTQ+

Il primo passo per uscire dalla lesbofobia è denunciare, come ha fatto Melania. Il secondo passo è quello di uscire allo scoperto, anche all'interno del movimento LGBTQ+. La società patriarcale stende la sua influenza anche su questa fetta di mondo che apparentemente la rifiuta.

Ne sono un segno le molte giornate dedicate alla visibilità e presa di coscienza per le lesbiche, per i bisessuali, trans e persone intersex. Mentre gli omosessuali ne hanno solo una, quella della Giornata mondiale contro l'omolesbotransfobia (17 maggio), le altre minoranze del movimento ne hanno organizzate diverse per poter conquistare “un posto al sole” e iniziare ad essere più visibili.

Perché questa differenza? Forse perché i gay che possono uscire allo scoperto ancora oggi sono per lo più uomini bianchi e cisgender, più visibili, più ascoltati e in un certo qual modo più accettati. Le donne al contrario vengono discriminate due volte: perché lesbiche e perché donne.

Se si è fatta l'abitudine all'insulto e all'insinuazione fatta dagli uomini, si stenta a capire perché anche le donne imitino questo comportamento. Succede negli uffici, dove si arriva a chiedere un abbigliamento che aiuti a distinguere il sesso dell'impiegata lesbica. Succede per strada, dove le occhiatacce delle donne eterosessuali non lasciano scampo.

A volte la discriminazione inizia all'interno delle stesse comunità. Iconica è l'esperienza di ArciLesbica, organizzazione oggi ai margini della comunità LGBTQ+ a causa delle posizioni assunte nei confronti delle donne transessuali. Per ArciLesbica queste non sono vere donne. Inoltre, la struttura ha rifiutato qualsiasi punto d'incontro sulla gestazione per altri, avvicinandosi così ad ambienti conservatori pro life.

Poi c'è la discriminazione mediatica. Si tende ad usare molto più spesso la locuzione “donna gay” al posto di lesbica, invocando un presunto valore universale di questa parola anglosassone nella lingua italiana. L'effetto ottenuto è solo quello, ancora una volta, di una supremazia linguistica maschile.

Denunciare

Gli effetti di questo continuo bombardamento di insulti, discriminazioni e ammiccamenti ha naturalmente il suo costo. I casi di depressione e suicidio nella comunità LGBTQ+ sono moltissimi. Le associazioni di volontariato fanno tanto, ma si può fare ancora di più.

Dalle pagine del Guardian Jane Czyzselska ha lanciato Everyday Lesbophobia blog, racchiuso all'interno del più ampio progetto Everyday Sexism. L'invito è solo e sempre uno: denunciare. Si va sulla piattaforma e si cercano o raccontano episodi di discriminazione subita sulla base del proprio orientamento sessuale. «Ciò che è emerso sinora – scrive la giornalista – è che vediamo solo la punta dell'iceberg».