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Giulia Nervi: «Lottando contro gli stereotipi con l'ukulele in mano»

Di come la comicità è, ancora, immersa negli stereotipi di genere: intervista a Giulia Nervi.

Di come la comicità è, ancora, immersa negli stereotipi di genere: intervista a Giulia Nervi.

Una serata tra amici, in un locale che propone uno spettacolo di stand-up comedy con tanti nomi, è un modo diverso e spassoso per spezzare la settimana.

Per regalarsi spunti di riflessione sull’attualità, che se è vero che prima o poi saremo seppelliti tutti, tanto vale farlo in mezzo a una risata.

Lo show prosegue in modo piacevole, tra battute che arrivano addosso come dardi di fuoco e ti fanno venire un po’ l’amaro in bocca.

Poi arriva lei, la ciliegina sulla torta, con quell’accento romano che ti piace da morì, e catalizza l'attenzione dalla prima parola all’ultima nota (sì, suona anche l’ukulele).

Il resto ce lo racconta lei: Giulia Nervi.

Ti chiami Giulia Nervi, Allegra. Da dove nasce il desiderio di fare stand-up comedy?

Dunque, il mio nome completo è Giulia Allegra Nervi. Un nome che - come dico in un mio monologo - mi fa tanto ridere per l'accostamento "Allegra-Nervi", che a mio avviso segnala un inevitabile bipolarismo/disturbo della personalità mica male, regalatomi sconsideratamente dai miei genitori alla nascita, sbattendosene della filosofia del "nomen omen".

Detto ciò: la stand-up comedy è un genere che ho sempre amato per la sua immediatezza, per il tipo di rapporto che ti impone di avere con il pubblico, sempre in ascolto, pronto a cogliere reazioni e risposte e a deviare anche il corso del tuo pezzo per essere davvero nel qui e ora.

È un genere che trovo estremamente stimolante come autrice, perché ti impone di ricercare sempre autenticità e genuinità nei contenuti e nella forma di quello che fai, di affinare il tuo punto di vista sulle cose, perché al di là di tutto, è quello che ti rende unico e diverso dagli altri.

Come hai iniziato?

Io ho una formazione come attrice e cantante. Mi sono diplomata infatti nel 2007 presso l'Accademia d'Arte Drammatica "Silvio D'Amico" ed ho avuto la fortuna di incontrare molti insegnanti che mi hanno sempre spinta a scrivere e a capire come mettere sempre al primo posto la comunicazione, perché, a prescindere dalla disciplina artistica che si decida di intraprendere, non bisogna mai dimenticarsi che al centro di tutto c'è un atto comunicativo e non una mera manifestazione di egomania.

Piano piano, mettendo insieme quello che avevo studiato, insieme al mio amore e alla mia inclinazione per la comicità, ho iniziato a scrivere e a cercare contesti sempre più vicini a ciò che sentivo di voler comunicare e sperimentare in quel momento.

Donne e comicità. C’è una frase che hai detto durante un tuo sketch che mi è rimasta particolarmente impressa. «Ma dai, fai la comica? Ma non sei brutta!». Perché si tende a pensare che una donna bella non possa far ridere?

Credimi, non ne ho idea. Ma tantissime volte mi è capitato di sentirmi porre domande simili. Anche la scorsa settimana una donna mi ha detto a fine spettacolo: «Ti giuro, ti ho visto così bella all'inizio che non pensavo potessi anche far ridere!», ed era seria e genuinamente sorpresa.

Credo che abbia a che fare con una visione un po' superficiale delle cose e con la vulnerabilità. Mi spiego meglio: se hai l'aria di essere un vincente, o anche banalmente di essere una persona di bell'aspetto, curata, etc etc… solitamente le persone si sentono intimorite/escluse, come quando vedono una foto di Miriam Leone sui social, struccata, che ostenta naturalezza.

Hanno bisogno di vedere Paperino che cade sulla buccia di banana per sentirsi sollevati e rassicurati dal fatto che, in quel momento, non sono stati loro a scivolare, ma l'hai fatto tu per loro, dimostrando che poi, dopo aver battuto il sedere, non solo ci si può rialzare, ma lo si può fare addirittura con il sorriso.

Diciamo che, all'interno di questa equazione, per alcune persone risulta difficile immaginare Paperino con la faccia di Miriam Leone. La cosa bella della comicità invece è proprio questa: raccontare le proprie vulnerabilità, le proprie fragilità e idiosincrasie senza filtri, ridendoci su, aprirsi al pubblico per lasciarli entrare nel proprio mondo, andare oltre le apparenze, perché sono quelle che ci accomunano e che ci aiutano a sentirci uguali e meno soli. Ma non è detto che per far ridere tu debba essere per forza uno sfigato o avere un aspetto estremamente rassicurante, tutti abbiamo le nostre sfighe, a prescindere dall'aspetto.

Pensi sia un problema solo italiano?

Mmm no, credo sia abbastanza diffuso purtroppo, soprattutto nell'ambito della comicità, ma non solo. Poi, certo, una donna pensante, consapevole e fiera del proprio aspetto fa ancora più paura in un Paese come il nostro che - ahimè - vive ancora tanto di etichette per cui se sei donna, puoi essere solo o mamma, o madonna, o puttana.

Ci sono dei modelli al femminile ai quali ti ispiri o che ti fanno molto ridere, in Italia o all’estero?

Sono cresciuta con il mito totale di Anna Marchesini, e poi anche Angela Finocchiaro e Carla Signoris.

Guardando poi all'estero ho scoperto perle come Gilda Radner (anche lei mescolava canto, monologhi di stand up e tip tap). Purtroppo è morta molto giovane, ma fu una dei membri del primo cast del Saturday Night live, si trova ancora qualcosa su YouTube.

E poi ancora Tina Fey, Iliza Shlesinger e Taylor Tomlinson… ma la lista è lunga e, per fortuna, continua ad allungarsi. E poi ci sono anche tante colleghe italiane che conosco e stimo, come Chiara Becchimanzi, Laura Formenti, Michela Giraud, Velia Lalli, Paola Minaccioni, Maria Di Biase, Michela Andreozzi.

Le battute sul patriarcato, il sessismo e il gender gap che si fanno durante uno spettacolo di stand-up, arrivano davvero? Smuovono qualcosa secondo te?

Secondo me dipende molto da come le si fanno. Nel senso che se sul palco porti esclusivamente la tua frustrazione e non cerchi un dialogo con chi ti ascolta, metterai solo in scena un tuo sfogo personale che… boh? Secondo me lascia anche un po' il tempo che trova, proprio perché parli di una cosa che riguarda solo te e il tuo malessere.

Non apri la discussione anche agli altri, così facendo. Quello che cerco di fare io quando tratto temi così grossi (ma non penso di avere la verità in tasca, né che sia LA cosa giusta da fare) è mettere in mezzo degli spunti di riflessione, delle domande, dei dubbi, più che delle risposte, in base a delle problematiche che non riguardano solo gli uomini o solo le donne.

Poi è ovvio che partendo dalla mia esperienza diretta, si potreranno dietro, per forza di cose, il mio punto di vista di donna etero cis gender di 38 anni. Però, tanto per fare un esempio, tra gli effetti del patriarcato c'è anche la mascolinità tossica, che è una piaga che non schiaccia solo le donne, ma impone anche agli uomini di rincorrere degli standard di comportamento e/o dei traguardi completamente avulsi dalla realtà, che se vuoi essere considerato un uomo, non puoi non desiderare successo, forza, determinazione, guai a te se piangi o parli dei tuoi sentimenti, se non ti trombi una la prima volta che ci esci, allora sei una femminuccia…

È anche impossibile e utopistico voler piacere a tutti e convincersi di poter parlare a tutti. Ma, come ho detto prima, il cuore della questione dovrebbe essere sempre cercare di concentrarsi sull'atto comunicativo di ciò che si sta facendo e non solo sulla mostra di sé.

Qual è l’episodio più sessista che hai vissuto facendo questo mestiere?

Ah beh.. ce ne sono un milione. Da quelli che pensano che non possa far ridere perché sono donna tout court, a quelli che pensano che non faccia ridere perché non sono un cesso a pedali, a quelli che ti ignorano nel backstage perché sei l'unica donna in scaletta, a quelli che ci provano a prescindere, in maniera esplicita e volgare perché, siccome fai la comica, secondo loro sei più smaliziata. E poi se fai notare loro che magari alcuni comportamenti sono inappropriati, ti dicono pure che sei una bacchettona frigida.

Qual è la cosa che ti ha fatto arrabbiare di più?

Tutte quelle sopra citate. Ma forse più di tutto, mi ferì sentirmi chiedere con malizia come mai avessi ottenuto una data del mio spettacolo in un dato locale. E mi diede fastidio perché la persona che me lo chiese, senza nemmeno aspettare una risposta, volle sapere subito se l'avessi ottenuta perché avevo l'inciucio con qualcuno dell'organizzazione. Spesso mi vengono attribuite tresche (non vere) con colleghi per lo stesso motivo. Questo mi fa imbestialire. Come se lavorassi solo dandola in giro.

Rappi, canti, suoni, presenti, sai far ridere. Un’adesione alla retorica che noi donne dobbiamo dimostrare sempre più degli uomini perché ci hanno abituate così, che è anche un modo per sfatarla?

Bah, come dico spesso, per molto tempo mi sono nascosta dietro tutte queste discipline artistiche, mettendole tutte insieme in ogni mia esibizione per ansia, per paura di non fare abbastanza, di dover dimostrare che quel palco me lo meritavo. Poi ho capito che fanno parte di me e del mio approccio giocoso al palco.

E che quindi, se ho voglia di fare un monologo e basta, o se invece voglio infilare dentro alla mia esibizione anche un brano cantato, se mi diverte farlo ed è coerente con il pezzo, lo faccio per mio gusto e divertimento, senza preoccuparmi più di niente e di nessuno.

Leghi il burlesque alla lotta contro gli stereotipi? In che modo?

Beh, il burlesque gioca con gli stereotipi per distruggerli. È un'arte leggera, ironica, in cui le donne giocano a fare le fatalone, le dive e chiedono al pubblico di ululare e urlare man mano che si spogliano. Ma non c'è malizia. È un gioco e rimane tale dall'inizio alla fine. Lo dimostra anche il fatto che agli spettacoli di burlesque, il pubblico è solitamente in prevalenza femminile.

Tra l'altro, il burlesque e la stand-up comedy sono nati insieme, nello stesso periodo storico in America, negli stessi locali. Perché venivano considerati spettacoli di dubbio gusto, volgari, trasgressivi… e gli artisti, invece che lasciarsi schiacciare dai cliché, hanno deciso di mettersi insieme e ribaltarli.

Per esempio, Lenny Bruce (uno dei padri della stand-up comedy) iniziò esibendosi negli spettacoli di burlesque (sua moglie era una burlesque performer) e così come ritengo che sia un atto politico per un comico salire su un palco, prendere un microfono e mettersi a nudo dicendo con ironia tutto quello che vuole dire, esattamente per come ha pensato di dirlo, così ritengo che sia un atto politico per una donna, salire su un palco e spogliarsi con ironia, non per compiacere, ma per reclamare e ribadire la propria libertà di farlo.

Come immagina Giulia la comicità al femminile tra qualche anno? Qual è la tua idea di rivoluzione?

Ah boh! Non so… certo che se lo venite a chiedere a me, mi sa che stiamo messi proprio male! No, scherzo… credo semplicemente che ognuno abbia le sue piccole battaglie e rivoluzioni personali e non mi sento di avere nessun potere, né diritto di stabilirne una per tutti.

Mi piacerebbe però, in un mondo in cui sembra (soprattutto a causa dei social) che ci si parli tanto l'uno sull'altro e ci si urli addosso in continuazione, che invece ci si sforzasse un po' tutti ad ascoltarsi di più.

Foto in apertura: Giulia Bartolini