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Rainbow washing: cos'è, come riconoscerlo e combatterlo

Dalla definizione ai modi per evitarlo: ecco come stanare quei brand che fanno finta di stare accanto alla comunità Lgbtqia+

Dalla definizione ai modi per evitarlo: ecco come stanare quei brand che fanno finta di stare accanto alla comunità Lgbtqia+

Si dice rainbow washing, si legge target. Infatti, dietro questa espressione si nascondono pratiche di marketing indirizzate a intercettare i membri della comunità Lgbtqia+ per convertirli in leve commerciali. Proprio come il green washing e il pink washing, questa pratica mira a sfruttare i simboli cardine di questo gruppo di persone - la bandiera arcobaleno, icone gay, film o canzoni simbolo - per insinuarsi tra le pieghe del pensiero di chi ne subisce l'influenza. Il brand che fa rainbow washing mira a guadagnare consenso pubblico, facendo sua - ma solo in apparenza - un'immagine di inclusione, senza però tradurre tutto questo in azioni concrete. Ecco perché è importante parlare di rainbow washing e combatterlo.

Rainbow washing: significato e definizione

Ma cos'è il rainbow washing? Ripercorriamo la definizione e il significato del termine. Si tratta di un'operazione di marketing pensata per migliorare il posizionamento di un determinato brand sul mercato. Rivolgendosi ad attivisti e simpatizzanti, mette in scena buone azioni orientate agli interessi della comunità Lgbtqia+, come la scelta di devolvere una parte del ricavato in beneficenza verso cause di inclusione o legate ai diritti civili. Tuttavia, è tutto fumo: infatti, nonostante i grandi proclami, il marchio non instaura alcun rapporto con la comunità.

Esempi di rainbow washing

Più specificamente, il rainbow washing può manifestarsi in diversi modi. Ad esempio, il brand può decidere di usare il logo arcobaleno, simbolo della comunità Lgbtqia+, durante eventi come il Pride Month o altri periodi significativi, ma senza adottare politiche inclusive all'interno della propria organizzazione o sostenere iniziative a favore della comunità.

Un'altra azione di rainbow washing è il lancio di prodotti in edizione limitata. Si possono creare linee di prodotti con il logo arcobaleno o legati a tematiche Lgbtqia+ in occasione del Pride o di momenti chiave per la comunità per aumentare le vendite, senza però garantire un reale supporto alle cause.

Infine, le aziende che praticano rainbow washing possono scegliere e manifestare un linguaggio più inclusivo, chiamando al proprio servizio attivisti o influencer legati ai temi dei diritti civili o vicini alla comunità Lgbtqia+, utilizzando il tutto in spot o in un'operazione di rebranding. Ciò non significa però che quell'organizzazione adatterà anche il proprio linguaggio interno e i propri processi ai principi dell'inclusione, o che supporterà nel concreto le azioni della comunità.

Rainbow washing e Israele

Il rainbow washing è stato anche associato a Israele, dove alcune campagne e iniziative hanno utilizzato l'immagine di inclusione e supporto alle persone Lgbtqia+ per migliorare la percezione internazionale del Paese. Tuttavia, molti attivisti hanno criticato queste iniziative, sostenendo che ignorano questioni più ampie legate ai diritti umani e alle politiche governative.

Come combattere il rainbow washing

Sono gli attivisti stessi a consigliare gli utenti su come difendersi dal rainbow washing. Meglio affidarsi a piccole realtà queer e trans, che lavorano con persone della comunità arcobaleno e pubblicizzano i loro prodotti con partnership consolidate. Tra le organizzazioni più famose ci sono ILGA, GLSEN, Out and Equal, GLAAD, The Trevor Project, National LGBT Chamber of Commerce e Trans Lifeline.

Non bisogna dimenticare che anche le esperienze dirette contano. Infatti, conoscere qualcuno che fa parte della comunità Lgbtqia+ e lavora - felicemente, aggiungiamo - in un'azienda che rispetta i principi di inclusione è un primo, importante passo per stanare chi davvero si impegna per i diritti civili e chi, invece, fa solo finta.

Foto di apertura: immagine Freepik