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Intervista a Federica Angeli: «Ho fatto tutto per i miei figli. E lo rifarei»

Federica Angeli vive sotto scorta dal 2013. La sua ‘colpa’? Aver smascherato gli affari illeciti del clan Spada nella sua Ostia. Dopo aver ricevuto minacce di morte la sua vita è cambiata. Ecco come.

Federica Angeli vive sotto scorta dal 2013. La sua ‘colpa’? Aver smascherato gli affari illeciti del clan Spada nella sua Ostia. Dopo aver ricevuto minacce di morte la sua vita è cambiata. Ecco come.

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Così recita l’articolo 21, uno dei più citati e conosciuti della nostra Costituzione. Il problema è che, in fondo, chi ha certi interessi può sempre provare a mettere a tacere i giornalisti in altri modi: ad esempio, con minacce di morte. Esattamente quello che è successo a Federica Angeli, reporter de La Repubblica costretta a vivere sotto scorta dal 17 luglio 2013, a seguito di minacce ricevute per aver denunciato le attività criminali del clan Spada di Ostia.

Il secondo problema, questa volta riguardante però la famiglia mafiosa in questione, è che Federica Angeli ha continuato a fare con coraggio il suo lavoro di cronista. Insomma, niente bavaglio sulla bocca di questa donna e mamma coraggio (ha tre figli), che ha raccontato la sua via sotto scorta in un libro, A mano disarmata, diventato poi un biopic, nelle sale italiane il 6 giugno

Qual è la routine di una vita sotto scorta?

È come se abdicassi, consegnandola totalmente alle persone che si occupano della tua sicurezza. A partire dall’orario di uscita, che devi concordare il giorno prima, per passare alla scorta che ti aspetta sul pianerottolo: puoi uscire solo dopo un segnale convenuto. Ho dei bar dove posso andare a fare colazione e altri dove invece non posso andare. In generale trascorro tutta la mia giornata lavorativa e privata con due persone in più.

Che cosa le manca di più di una vita normale?

La solitudine. Quei momenti fisiologici in cui vorrei stare da sola. Magari in riva al mare, facendo una passeggiata sulla spiaggia o una corsa…

Non può nemmeno guidare.

Esatto, non posso perché viaggio sempre su una auto blindata. Dovrei avere la possibilità di acquistarne una e, in ogni caso, dovrei sempre viaggiare con due agenti. Guidare mi piaceva e mi scaricava molto, al netto dello stress del traffico di Roma (ride, ndr).

Però ha continuato a lavorare. Quanto la penalizza il fatto di avere la scorta?

Molto. Prima lavoravo sul campo ed ero stata capace di infiltrarmi in varie situazioni. Adesso per me è impensabile anche solo parlare con un pregiudicato, perché ci dovrei andare con la scorta: come potrei tenere fede al segreto professionale riguardante la segretezza delle fonti?


Lei ha tre figli. All’inizio erano molto piccoli. Come ha spiegato loro la presenza fissa della scorta?

Ho preso spunto da La vita è bella. Ai bambini ho detto che gli autisti erano un premio per una bella inchiesta che avevo fatto al giornale. Lo step successivo sarebbe stata una villa, sulla falsariga del carrarmato nel film di Benigni. I maschi, che sono più grandi, hanno un quadro chiaro, anche perché vivono pure loro sotto scorta, avendo ricevuto minacce. 

Quando è successo?

A fine 2018, quando durante uno sgombero di un appartamenti occupato abusivamente da uno Spada sono stata aggredita da delle donne del clan in libertà: non solo i loro figli, ma anche i miei avrebbero fatto "una vita di merda". Così mi hanno detto.

La vita dei suoi figli da allora come è cambiata?

In maniera profonda. Il più grande, che ha 14 anni, ci ha chiesto di uscire con gli amici. Visto che la legge vieta che un 14enne esca da solo, mentre i suoi coetanei erano senza genitori, lui è andato accompagnato da mio marito. E poi ci sono le piccole cose: i miei figli non possono comprare nemmeno un braccialetto da un ambulante in spiaggia, perché altrimenti gli agenti della scorta dovrebbero multarli. Oltre al fatto che uscire sempre con tre persone di scorta non è il massimo.

Anche suo marito ha la scorta?

No, lui no perché non ha ricevuto minacce. Ovviamente anche lui però deve convivere con le conseguenze di una mia decisione, che ha sostenuto pur non condividendola al 100%. Viviamo a 300 metri dal quartier generale del clan, la situazione non è facile.

Che rapporto ha con gli agenti della scorta?

Visto che sono fissi, anche se continuiamo darci del ‘lei’ si è creato un rapporto simbiotico. Riesco a capire se hanno avuto una giornataccia e il loro umore: d’altra parte passo più tempo con loro che con chiunque altro. Non direi che c’è amicizia, ma la condivisione di un’esperienza forte: sono pagati per prendersi, eventualmente, una pallottola destinata a me.

Ad aprile del 2018 al Fatto Quotidiano arrivò una busta indirizzata a lei, con dentro un proiettile. Cosa si prova quando si riceve una minaccia di morte?

Una sensazione di vita rubata, è come se ti stessero portando via un pezzetto di serenità. Senti che la tua vita non è in mano tua, ma nelle loro, che possono decidere di farti del male. Poi reagisci.

Anche grazie al sostegno di politica, associazioni e cittadini, immagino.

L’onorificenza più bella, l’ho ricevuta dal presidente Mattarella, che mi ha nominato Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Sotto casa mia c’è stata una manifestazione in mio sostegno e qui a Ostia è nata anche l’associazione antimafia Noi: la gente ha rialzato la testa e questo era il mio scopo. Quando succede qualcosa, i cittadini invece di fare il 112 chiamano me e anche questo è un riconoscimento importante: mi vedono come un porto sicuro nella lotta alla mafia, che non entra davvero mai nell’agenda politica.

La sua lotta alla mafia è diventato un libro e adesso un film. Cosa insegna la sua storia?

Che se una persona come me ce l’ha fatta, possono farcela tutti. Se le persone chiudono il libro o escono dal cinema pensando che la mafia non sia invincibile, ecco, questo vale più di mille condanne date da un tribunale.

Questo lo dice già il titolo, esatto?

La mano disarmata del titolo rappresenta la determinazione di combatte a mani nude contro chi ha le armi: con una penna in mano si può andare contro un kalashnikov.

Si è confrontata con Claudia Gerini, che la interpreta al cinema?

Sì, ha frequentato casa mia, ha conosciuto i miei figli, mi ha chiesto consigli e ce l’ha messa tutta per entrare dentro di me: non poteva esserci scelta migliore.

Claudia Gerini recita anche nella serie Suburra. Crede che il cinema italiano stia raccontando nel modo giusto le mafie?

Lo racconta bene, dando però troppo spazio al male. Il bene c’è, ma solo nel fallimento: alla fine lo spettatore si ritrova a tifare per uno dei clan, invece che per le Forze dell’Ordine. Nelle serie tv non ci sono mai arresti, non si vede mai il bene che mette sotto scacco il male. Nella realtà, per fortuna, non è così: A mano disarmata ribalta tutto.

Come immagina il suo futuro?

Ho la speranza di tornare a vivere senza scorta, ma da quando vivo così non riesco più a sognare il mio futuro. Riesco a immaginare il futuro dei figli, non il mio. Me lo hanno tolto.

E allora, alla fine, rifarebbe tutto?

In molti momenti ho pensato che non ne valesse la pena: la mafia è un sistema che arriva in alto, molto in alto, e questo ti scoraggia. Ho avuto paura non solo delle pistole, ma anche dei colpi bassi da parte delle istituzioni, che infatti sono arrivati. Alla fine ho fatto tutto per i miei figli, per consegnare loro un mondo migliore. E lo rifarei.

Foto apertura: LaPresse