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La figura della furia: Jackson Pollock a Firenze con Michelangelo

Una mostra che celebra due grandi personalità del mondo della pittura e della scultura stabilendo un rapporto segreto inaspettato 

Una mostra che celebra due grandi personalità del mondo della pittura e della scultura stabilendo un rapporto segreto inaspettato 

Sono stati due giganti del mondo dell'arte, ma un occhio inesperto difficilmente vedrebbe delle connessioni consistenti tra Jackson Pollock, morto nel 1956, e Michelangelo Buonarroti, protagonista del Rinascimento italiano di cui quest'anno si celebra il 450° anniversario della scomparsa.

Invece i curatori della mostra La figura della furia, allestita presso il Palazzo vecchio di Firenze e il Complesso di San Firenze dal 16 aprile fino al 27 luglio, sembrano pensarla diversamente.

I due titani sono uniti da un fil rouge sottile quanto significativo, che viene esplorato proprio nell'esposizione, che si svolge nel luogo in cui è conservata la celebre statua Il Genio della Vittoria

L'inquietudine del rivoluzionario artista americano, influenzato dalla pittura con sabbia dei nativi americani, diede vita alla straordinaria invenzione dell'action painting, che avrebbe aperto la strada ad ulteriori sviluppi dell'espressionismo astratto.

La "furia della figura" è invece l'espressione usata da un teorico contemporaneo di Michelangelo per descrivere la bellezza dinamica, la leggiadria e la forza della fiamma che tenta di ascendere al cielo, tipica della statuaria del Maestro.

Le opere di Pollock esposte, realizzate in modo apparentemente casuale attraverso la tecnica del dripping e della pittura a corpo libero, priva di cavalletto, provengono da diverse collezioni sparse in tutto il mondo

Ma il vero piatto forte della mostra sono alcuni quaderni di lavoro e taccuini di schizzi in cui si riconoscono molte figure evidentemente nate dallo studio e dall'osservazione della volta della Cappella Sistina e del Giudizio Universale di Michelangelo.

La seconda sezione si svolge nella Sala della musica del Complesso di San Firenze, e si configura come un esperimento multimediale e interattivo, in cui proiezioni, suoni e immagini ricreano la sensazione dell'ambiente in cui lavorava l'artista statunitense.