Psiche
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Tra autenticità e solitudine: come vivremo l’emotività in queste Feste inedite

Niente cenoni, niente tombolate, niente balli e soprattuto niente abbracci. Il Coronavirus ci terrà lontani dagli affetti anche durante le feste natalizie. Quali effetti sulla nostra psiche? Ne abbiamo parlato con la psicologa Martina Ferrari.

Niente cenoni, niente tombolate, niente balli e soprattuto niente abbracci. Il Coronavirus ci terrà lontani dagli affetti anche durante le feste natalizie. Quali effetti sulla nostra psiche? Ne abbiamo parlato con la psicologa Martina Ferrari.

Se un anno fa qualcuno ci avesse detto che a metà dicembre del 2020 saremmo stati tutti in ansiosa attesa di scoprire quali restrizioni relazionali ci avrebbe imposto il “Decreto Natale” avremmo pensato a una barzelletta. Giorni festivi in “zona rossa” e prefestivi in “zona arancione”, spostamenti vietati, numero limitato di persone al pranzo del 25, ristoranti e locali chiusi. Nessuna tavolata di parenti che non si vedono da mesi, nessuna cena prenatalizia, nessun giro dei regali per abbracciare chi non si vedeva da un po’. Saranno Feste diverse da quelle a cui siamo sempre stati abituati, per qualcuno tristi perché mancheranno delle persone e dei riti, ma anche più sincere perché prive di doveri e sovrastrutture che non ci appagavano. Per chi di noi riuscirà a sedersi a tavola con genitori e fratelli saranno comunque Feste molto più fortunate di chi questo Natale lo passerà nei reparti Covid, da paziente o da operatore sanitario. Nonostante questa consapevolezza che auspichiamo porti ognuno a rispettare attentamente le regole anti-contagio, “il Natale che ci apprestiamo a trascorrere è certamente un’esperienza inedita e traumatica poiché rompe il consueto modo di vivere”, spiega Martina Ferrari, psicologa clinica in training psicoanalitico, a cui abbiamo chiesto di parlarci degli aspetti emotivi duramente provati a causa della pandemia. Perché di “dolore psichico” quest’anno non si è parlato abbastanza.

Perché nel periodo delle festività natalizie abbiamo più bisogno di condivisione? Che origini ha questa esigenza?
Il Natale è condivisione in tutto il mondo e non solo nella comunità cristiana perché fin dal paganesimo è la festa dell’umano e della luce. Infatti, le origini del Natale possono essere ritrovate nella celebrazione dei ritmi del sole e della luna. Il 25 Dicembre nel paganesimo si celebrava il solstizio d’inverno, il “Natalis solis invicti”, la nascita del nuovo sole dopo la notte più lunga e buia dell’anno, che simboleggiava il trionfo del sole sul buio, un evento propiziatorio per i terreni e le produzioni agricole. Nell’antica Roma questa festa coincideva con le ferie di Saturno: gli schiavi ricevevano doni dai padroni ed erano invitati a condividere il pasto. Questa usanza con il mutare delle tradizioni e dei costumi è giunta fino a noi, trovando spazio nel nostro inconscio collettivo come una giornata festiva di condivisione. 

Quest'anno saranno tantissimi gli italiani che non potranno raggiungere le loro famiglie: cosa può comportare a livello emotivo sentirsi "obbligati" alla solitudine? 
L’uomo è un essere relazionale per natura e c’è da considerare che da sempre ci sentiamo quasi “obbligati” a trascorrere il Natale in famiglia. “Natale con i tuoi” non è soltanto un proverbio, perché dietro ogni proverbio c’è una storia millenaria di riti e miti. Quest’anno molti di noi potrebbero sentirsi obbligati alla solitudine: ognuno con la propria personalità e a seconda della storia di vita personale proverà cose differenti. 

Facciamo un esempio concreto?
Per esempio una persona con un disturbo evitante della personalità proverà emozioni, sensazioni e sentimenti differenti rispetto a un individuo con una personalità dipendente. Possiamo però dire che si tratta di una condizione insolita, disorientante, che in un certo modo ci pone davanti interrogativi importanti sullo spazio, sul tempo che scorre e sul valore dei nostri legami affettivi. Siamo quasi forzati ad entrare maggiormente in contatto con noi stessi e, certamente, sentirci responsabili della salute dei nostri cari per paura di infettarli può portarci a vivere stati di ipervigilanza, rimuginazione, angoscia, tentativi di ipercontrollare i nostri gesti.  

natale coronavirus

Foto apertura: : Anton Deev - 123.rf

Per qualcuno con vissuti familiari complicati invece le restrizioni potranno essere sintomo di libertà?
Premetto che anche durante il primo lockdown abbiamo assistito alla cosiddetta “sindrome della capanna”, ovvero la difficoltà a riprendere le attività precedenti alla chiusura forzata in casa. Per moltissime persone i lockdown rappresentano un momento di tregua, quasi un salvataggio dalle esposizioni sociali e lavorative. Pensiamo per esempio alle persone che soffrono di attacchi di panico, agorafobia, ansia sociale: in questi casi l’eremitaggio forzato a causa del Covid ha rinforzato meccanismi di evitamento già radicati. Le restrizioni natalizie allo stesso modo potranno essere percepite come liberatorie per molte persone: rappresentano una scusa legittima per non sostenere la convivialità sentita come forzata.

Quest'anno abbiamo parlato praticamente solo di Covid, ma forse troppo poco di come questo periodo ha cambiato le nostre vite. Perché non si dà abbastanza spazio alla salute mentale?
Credo che questo sia dovuto a due fattori principali. Il primo è che il Covid è una malattia molto pericolosa per la sopravvivenza umana, e i sintomi che la caratterizzano sono intensi, importanti, fisici, nel senso che si osservano e si soffrono principalmente sul corpo. Sofferenza dei polmoni, sofferenza del cuore, sofferenza dei sensi (pensiamo alla perdita di gusto e olfatto che alcuni hanno sperimentato e sperimentano). La dimensione corporea può risultare per noi umani, nell’incontrollabilità, molto più controllabile di quella psichica: il corpo lo possiamo toccare, possiamo sottoporlo ad esami diagnostici, possiamo tentare delle cure più o meno efficaci. 

Con il dolore psichico no…
No, non possiamo intubare il dolore dell’anima, non possiamo misurarlo con un saturimetro. Un altro fattore è rappresentato dalle caratteristiche proprie del trauma pandemico di massa, un esperimento in vivo della psicopatologia: nella fase acuta del trauma non è facile comprendere cosa ci sta accadendo, quali emozioni stiamo provando. Impotenza, confusione, smarrimento e angoscia raggiungono una potenza tale da spazzare via la capacità di pensare i pensieri, per citare Bion. 

La solitudine provata quest'anno da tanti insieme alla mancanza di socialità quali "effetti collaterali" può avere su di noi?
I dati ci testimoniano che i sintomi d’ansia e i sintomi depressivi sono aumentati nella popolazione generale. Anzitutto alcuni di noi si trovano costretti a trascorrere buona parte del proprio tempo a casa e in famiglia, quindi immersi pienamente nelle dinamiche anche disfunzionali che caratterizzano buona parte dei nuclei familiari. Se prima del lockdown era possibile dedicarsi ad attività sociali e ricreative, questa tipologia di esperienza di scoperta, condivisione e anche sfogo si è purtroppo persa, almeno per quanto riguarda la dimensione live. E questo comporta un rischio.

Quale?
Quello di incrementare fortemente l’attività online: comunicazione sui social network, giochi online. La relazione si è spostata sempre di più sul piano virtuale e ci stiamo disabituando progressivamente alla dimensione viva, reale delle relazioni, che comprende la corporeità e il contatto fisico. Questo può incrementare vissuti di alienazione molto complessi, in cui l’altro diventa sempre meno altro da sé. 

natale solitudine

Foto: Sam Wordley - 123.rf

Per la sua esperienza, quali sono le "categorie" più colpite dalla pandemia a livello mentale?
Tutti ne siamo violentemente colpiti, ad ogni modo le persone con una psicopatologia già diagnosticata si sono trovati a far fronte ad una dimensione traumatica aggiuntiva. Gli adolescenti sono stati privati in un momento cruciale del loro sviluppo della dimensione scolastica, educativa e di contatto con i pari, molto importante in questa fase del ciclo di vita. Gli anziani si sono trovati a far fronte al grande timore di essere contagiati ed è stato impedito a gran parte di loro di avere contatti con i propri figli e nipoti, soprattutto se ospiti in case di riposo o RSA, perciò le sintomatologie depressive in questa fascia di popolazione si sono intensificate. Le mamme sono un’altra categoria che ha sofferto e soffre molto, soprattutto se lavoratrici: seguire i figli nella didattica a distanza e dedicarsi allo smart working è un’esperienza stressante. In questi casi l’aiuto dei papà è fondamentale. Pensiamo anche alle neomamme, e ai timori di dare alla luce un bambino durante la pandemia.

Questo periodo ha esasperato molte situazioni di vita e familiari. Me ne può raccontare qualcuna?
Non posso parlare di storie personali dei miei pazienti, ma posso dire che gli amanti hanno avuto vita dura e alcuni di loro hanno tentato fughe improbabili, così come le donne vittime di violenza domestica. Giovani expat, studenti e dottorandi, si sono ammalati di Covid lontani dalla famiglia e dalla terra natìa e le peripezie per cercare di curarsi sono state notevoli. Ho scoperto che è possibile guardare insieme alla propria famiglia X-Factor su Skype mentre si suda per la febbre altissima da una cameretta minuscola in Inghilterra. Persone in cura a causa di patologie gravi come il cancro si sono ammalate di Covid e sono guarite e per me è stato un onore accompagnarle in questo difficile percorso.

Questo periodo ha aiutato davvero a capire quali relazioni sono davvero autentiche nelle nostre vite, come se fosse un filtro di verità?
Certamente l’isolamento nelle proprie stanze, anche interne, ci ha permesso di avvicinarci a noi stessi, a volte anche dolorosamente. Ognuno di noi si è trovato a vivere ed elaborare un trauma che ha spazzato via tutto quello che davamo per certo, sentendo davvero nella pancia che nulla è imperituro o tutto lo è. Per esempio molti rapporti di amicizia sono finiti: mi è capitato svariate volte di ascoltare “da quando non è stato più possibile uscire per divertirsi, il mio amico è sparito”. Lo stesso è capitato in alcune relazioni amorose o lavorative. Il capo che sparisce perché non può rinnovare un contratto a causa della scarsità di lavoro, il partner che inizia a chattare con qualcun altro mediante app di dating e si innamora platonicamente. Ogni relazione è stata ed è messa a dura prova. 

Questo Natale ci costringe almeno in parte a pensare a tutti quelli che si sentivano - e lo vivevano soli - anche prima della pandemia? Che anche il 25 dicembre scorso lo hanno passato soli ma nessuno se ne preoccupava...
Sì. La pandemia e i vissuti che comporta ci sta permettendo di riflettere sulla complessità del tema generale della solitudine durante le feste e questo rappresenta un’opportunità generativa importante. Tutto ciò che ci consente di fare pensieri nuovi è prezioso, anche un trauma se ci diamo la possibilità di riflettere sulla complessità dell’esperienza di sostare nel mondo e nel dolore proprio e altrui.

Cosa possiamo dire a una persona che in questo anno ha scoperto di sentirsi nel profondo molto sola, magari con stati depressivi che prima d'ora non aveva esperito?
Sicuramente si tratta di vissuti spaventosamente angoscianti e dolorosi. Questo può essere un momento estremamente opportuno per iniziare un percorso di psicoterapia e farmacoterapia e per prendersi cura di quanto, anche prima della pandemia, era troppo difficile da riconoscere e curare. Ogni esperienza penosa rappresenta un canale di accesso al nostro interno dolorante e celato, ricco di potenzialità inaspettate se ce ne prendiamo cura. 

Foto apertura: loganban  - 123.rf