Psiche
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Mi odio: perché accade e come tornare a volersi bene

Lo psicologo Umberto Longoni, autore de L’autostima si impara, rivela due esercizi per combattere l’avversione verso sé stessi e tornare a sorridere.

Lo psicologo Umberto Longoni, autore de L’autostima si impara, rivela due esercizi per combattere l’avversione verso sé stessi e tornare a sorridere.

Guardarsi allo specchio e provare rabbia. Pensare: “Mi odio” e voler distruggere la superficie riflettente per cancellare l’oggetto del proprio odio: sé stessi. Succede di non volersi bene, di provare sentimenti autodistruttivi che possono sfociare in comportamenti dannosi come l’anoressia o l’autolesionismo. Può accadere anche che si confonda l’odio con una bassa autostima, frutto di mancati incoraggiamenti familiari o confronti negativi con gli altri. Tuttavia, tornare a volersi bene è possibile. Umberto Longoni, psicologo, sociologo e scrittore tra cui autore de L’autostima si impara (FrancoAngeli), spiega che il primo passo resta sempre la terapia, ma che qualche esercizio per migliorare la situazione possiamo farlo anche a casa.

Dottor Longoni, perché accade di odiarsi?

Ci sono varie motivazioni. L’origine più drammatica di questo sentimento sono gli abusi infantili. Da questi episodi, spesso vissuti in famiglia per mano di parenti, ci si porta dietro l’idea di essere responsabili di ciò che è accaduto. Di aver in qualche modo portato l’altro a compiere violenze e soprusi ai propri danni. Ci si odia e non si parla di questi episodi. L’evento rimane cristallizzato nel profondo, manifestandosi con un senso di inadeguatezza e un’ombra costante sul cuore, che può trasformarsi in odio verso sé stessi.

L’odio per sé stessi può avere origini “meno drammatiche”?

Sì. Ad esempio, può manifestarsi in colui che non è mai stato amato o non ha ricevuto l’amore che desiderava. In questo caso, più che odiarsi, non ci si ama perché si crede di non piacere. Si vive un senso di inadeguatezza, che la persona si porta dietro. In questo contesto, ci può essere anche una condizione di bassa autostima. Bisogna però precisare che l’odio verso sé stessi e la bassa autostima sono due emozioni diverse. 

Cosa accade se all’origine dell’odio verso sé stessi ci sono azioni compiute dai diretti interessati? 

Può accadere di odiarsi per aver compiuto atti non positivi. Succede quando nella persona c’è una parte “buona”, con dei valori, trasgrediti. In quel caso la persona si porta dietro il rimorso, che può sfociare in odio verso sé stessi. Ma c’è una cosa importante da precisare.

Prego.

L’odio verso sé stessi ha sempre una ragione dietro. Non è mai immotivato. Ci può essere una rabbia forte, covata, ma sempre legato a qualcosa che si è subito. Questa rabbia rimane dentro e la si rivolge verso sé stessi. Le persone rabbiose spesso non si piacciono: vorrebbero rompere lo specchio in cui si riflettono. 

Cosa c’è invece all’origine di una bassa autostima?

Bisogna specificare che non si tratta di un carattere genetico. Cresce nel tempo, favorita dai genitori, che considerano il bambino bello e intelligente, condividendo con l’interessato questi commenti. In quel modo, il soggetto alimenta la sua autostima. Il secondo passaggio di questo processo è legato alle esperienze scolastiche, sportive, sentimentali. I riscontri alimentano l’autostima, favorendola o abbassandola. In quest’ultimo caso non accade che si arrivi a odiarsi, ma può capitare che non ci si piaccia. 

Quando si inizia a percepire questo sentimento, a quali età? C'è stato un cambiamento nella temporalità di questa sensazione?

L’odio per sé stessi inizia a manifestarsi durante l’adolescenza, quando si sviluppa il senso critico e si inizia a paragonarsi agli altri. Difficile che accada durante l’infanzia. I social favoriscono questi confronti in modo esponenziale. Succede, dunque, che una ragazzina in sovrappeso si confronti con ragazzine snelle, iniziando a odiare il proprio corpo come un nemico. Vorrebbe cambiarsi, essere diversa. E ciò può portare anche all’anoressia. 

Quali sono gli effetti di questo stato?

Possono esserci effetti estremi, come i disturbi alimentari, oppure più blandi. Tra questi, si possono sperimentare disagi nella socializzazione, sviluppare un carattere scontroso, chiuso o aggressivo. Insomma, gli effetti sono nell’interazione con gli altri. Partendo da un cattivo rapporto con sé stessi nasce un cattivo rapporto con chi ci sta attorno, anche in famiglia. 

Lei è autore del volume "L'autostima si impara". Come si torna a volersi bene?

Prima di tutto, consiglio un percorso psicoterapeutico. Il libro che ho scritto può essere un aiuto, un momento di riflessione, che dovrebbe spingere a rivolgersi a un professionista. Tuttavia, in quelle pagine ci sono anche esercizi e test adatti a gestire situazioni blande. 

Gli esercizi per l’autostima

Il primo esercizio è: Paradosso dell’autostima

“Se mi stimo poco, automaticamente valgo di più. Se mi do un cinque, sicuramente valgo almeno sette – spiega l’esperto – Infatti, chi si stima poco ha una distonia percettiva nel giudicarsi. Quindi non può essere obiettivo. Quando dà un giudizio sugli altri è obiettivo, ma su sé stesso no: si sottostima. Comprendere questo meccanismo permette già di fare un salto di qualità”. 

Il secondo esercizio è: Rivalutare le proprie qualità.

“Sensibilità, calore umano, estroversione, capacità di essere amici: queste qualità sono spesso trascurate quando ci si giudica. Le si valuta poco, pensando che ciò che conta sono i risultati portati nel mondo. Ma non è vero. Certe qualità costruiscono un individuo positivo”.