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Come aiutare un familiare con un disturbo antisociale di personalità

Come si può aiutare un familiare che è affatto da disturbo antisociale di personalità, senza appesantirlo con uno stigma sociale? Abbiamo approfondito per bene la questione. 

Come si può aiutare un familiare che è affatto da disturbo antisociale di personalità, senza appesantirlo con uno stigma sociale? Abbiamo approfondito per bene la questione. 

La vita ci mette davanti a situazioni e casi che, per le conoscenze che abbiamo e i ruoli che occupiamo, potrebbe essere di difficile interpretazione e gestione. Uno di questi è quello di vivere con un familiare che ha un disturbo antisociale di personalità.

Nelle prossime righe, grazie alle parole di Andrea Sales, psicologo e psicoterapeuta, e all’avvocato Patrizia Chippari, specializzata in diritto di famiglia, abbiamo tracciato dei confini per provare a conoscere questa tipologia di disturbo, al fine di offrire un supporto psicologico e giuridico a chi, in modi differenti, lo vive in prima persona.

Parte 1. Disturbo antisociale di personalità: cos’è, sintomi, trattamento - Intervista ad Andrea Sales

Che cos'è il Disturbo Antisociale di Personalità?
Il disturbo antisociale di personalità [da DSM-5] è un disturbo psichiatrico caratterizzato da comportamenti manipolatori, irresponsabili e tendenzialmente disprezzanti verso l’altro. Seconda la tassonomia, le persone che si avvicinano a questo prototipo diagnostico mostrano disprezzo per le regole sociali, incapacità di conformarsi alle norme della società e assenza di preoccupazione per i diritti e i sentimenti altrui.

Sono inclini a comportamenti impulsivi, tendono a mentire e a manipolare gli altri per raggiungere i propri obiettivi, senza preoccuparsi delle conseguenze. Sono individui meno capaci di sviluppare qualsiasi forma di attaccamento, ad eccezione di relazioni sadomasochistiche fondate sul potere.

Criteri:

  • durezza e mancanza di empatia
  • affettività superficiale e assenza di rimorso o colpa
  • bisogno di stimolazioni e tendenza alla noia
  • senso grandioso di autostima
  • spigliatezza associata ad un fascino superficiale
  • irresponsabilità e mancanza di obiettivi a lungo termine
  • stile di vita parassitico
  • impulsività (diminuisce con età) e comportamenti sessuali promiscui

Tuttavia, è bene ricordare l’etimologia di diagnosi, termine formato da διά (diá,attraverso) + γιγνώσκειν (ghignóskein, conoscere) → è un modo per conoscere un fenomeno, che non ne decreta l’oggettività o la “vera natura”.

Detto ciò, potrebbe essere più utile osservare atteggiamenti, comportamenti e pensieri del cosiddetto antisociale attraverso la contestualizzazione sociale dell’individuo, invece di ricondurli a una malattia individuale. Ciò vuol dire considerare i cosiddetti “sintomi” come una risposta funzionale a un’ambiente disfunzionale.

Disturbo antisociale di personalità e sociopatia sono sinonimi?
Il disturbo antisociale di personalità e la sociopatia sono termini spesso utilizzati in modo intercambiabile per descrivere una condizione simile. Entrambi fanno riferimento a individui che manifestano comportamenti antisociali e mancanza di empatia, ma dal punto di vista diagnostico il termine ufficiale è "disturbo antisociale di personalità", come definito dal DSM.

Quali sono i tratti distintivi del disturbo antisociale?

I tratti distintivi includono disprezzo per le norme sociali e legali, menzogne frequenti e manipolazione degli altri, impulsività, aggressività, incapacità di assumersi la responsabilità dei propri errori, mancanza di rimorso e di empatia, irresponsabilità finanziaria e incapacità di mantenere relazioni stabili. La teoria psicodinamica evidenzia come sia mantenuta la capacità di provare ansia e depressione.

Anche in questo caso è utile superare la limitatezza dei termini e indagare i significati che hanno, per queste persone, determinati comportamenti, sia in termini di giudizio esterno, sia di valore e costruzione identitaria.

Come si manifesta (nella vita di tutti i giorni, per esempio sul lavoro, nella gestione dei soldi, e nei rapporti sociali)?
Sfruttare gli altri per ottenere vantaggi personali e avere difficoltà a stabilire legami affettivi significativi. Sul lavoro, possono essere inclini a violare le regole e a sfruttare i colleghi per il proprio guadagno. Nella gestione dei soldi, possono essere irresponsabili e tendere a imbrogliare per ottenere denaro. Nei rapporti sociali, possono apparire affascinanti superficialmente, ma possono essere poco affidabili e tendenti al conflitto.

Due processi che si verificano spesso durante lo sviluppo sono:

  • Profondo distacco da tutte le relazioni e da tutte le esperienze affettive
  • Tentativi sadici di legarsi agli altri attraverso l’esercizio del potere e della distruttività

Come vengono trattati e visti gli altri?
Come detto in precedenza, questi individui spesso trattano gli altri in modo manipolatorio. Non sono empatici (in termini affettivi, l’empatia cognitiva è presente e viene sfruttata per raggiungere i propri scopi) e possono considerare l’altro come semplice strumento per soddisfare i propri bisogni e desideri. Di conseguenza, le relazioni interpersonali tendono a essere superficiali e instabili.

Da dove nasce la rabbia che ha dentro chi ha questo disturbo?
La rabbia presente nelle persone con disturbo antisociale di personalità può avere diverse origini. Alcuni esperti credono che sia correlata a esperienze traumatiche passate, come l'abuso o la negligenza durante l'infanzia. Altri ipotizzano che possa essere il risultato di un'interazione complessa tra fattori genetici, ambientali e neurobiologici.

Risultati di alcuni studi:

  • riduzione bilaterale del volume dell’amigdala in individui psicopatici (media processi di elaborazione della paura, vergogna e colpa)
  • stretta correlazione tra ridotta responsività del sistema nervoso autonomo e rischio comportamenti criminali
  • individui psicopatici hanno caratteristiche anatomiche e funzionali diverse.

Confrontando 25 individui psicopatici (antisociali) con 24 soggetti di controllo e 18 borderline, gli autori hanno evidenziato come il primo gruppo manifesta una pronunciata mancanza di paura in risposta agli eventi (iporesponsività emozionale marcata e specifica per tale categoria)

Si possono poi evidenziare:

  • Mancata formazione del Super-io per difficoltà nell’introiezione dell’altro (quindi assenza di morale)
  • Ambiente ipercritico, aggressivo, umiliante, discontinuo. I circuiti dell’empatia affettiva, collegati al sistema dei neuroni mirror, sono stati inibiti nel contesto familiare. L’empatia cognitiva, che invece permette di identificare cosa prova l’altro senza entrarci in contatto, è estremamente performante ed utilizzata per ottenere ciò che lo psicopatico e l’antisociale vogliono dall’altro.

Quali sono le probabilità che venga commesso un crimine?
Il comportamento umano non è mai prevedibile. Fatta tale specifica, ci si può aspettare che persone con disturbo antisociale di personalità abbiano una maggiore probabilità di essere coinvolte in comportamenti criminali rispetto alla maggior parte della popolazione. Tuttavia è importante notare che non tutte le persone diagnosticate tali diventano criminali e che ci sono molteplici fattori che influenzano la propensione al crimine.

Le comorbidità sono frequenti?
Le comorbidità, ossia la presenza simultanea di due o più disturbi, sono piuttosto comuni nel disturbo antisociale di personalità. Spesso si verificano insieme a disturbi come l'abuso di sostanze, il disturbo borderline di personalità e il disturbo narcisistico di personalità (si parla di narcisismo maligno).

Come si diagnostica?
La diagnosi viene effettuata da un professionista della salute mentale, come uno psichiatra o uno psicologo. La valutazione si basa su una serie di interviste cliniche, valutazioni del comportamento e una revisione dettagliata della storia del paziente.

A ogni modo, come già evidenziato in precedenza, la diagnosi psicologica non è portatrice di verità (come può esserlo, invece, quella medica o quella dell’automobile): consiste in una serie di linee guide che possono aiutare i professionisti a comunicare tra loro attraverso un vocabolario condiviso, ma che spesso diventano alibi per imporre una realtà preconfezionata sull’altro (e sul mondo).

C'è il rischio che la diagnosi arrivi quando sia ormai "troppo tardi", quindi dopo essere sfociati nel penale?
Parlare di rischi non è utile: l’essere umano è in continuo cambiamento e, come ci siamo già detti, la predicibilità comportamentale è un’illusione, scientificamente infondata. La questione sta nel fatto che una persona incline ad adottare determinati comportamenti e ad avere una visione di sé e del mondo distante da quella dei più, una volta incasellata in termini giudiziari (carcerato, criminale etc.), tende a conformarsi ulteriormente con quell’etichetta e a rinforzare l’idea di sé disfunzionale in questione (e.g. problematico, deviante etc.). Inoltre, ulteriori conferme della medesima ipotesi identitaria arriverebbero dall’esterno (riferimento teorico: devianza secondaria).

Ciò che può essere utile è intervenire in termini educativi (ex-ducere) il prima possibile, sia nei confronti della persona, sia nelle principali reti sociale in cui è inserito: l’identità e i suoi esiti comportamentali sono l’esito di un continuo gioco di rispecchiamenti tra ciò che si pensa di sé, ciò che gli altri pensano di sé e ciò che la propria cultura offre come modelli normali e anormali (è bene tenere in considerazione le subculture: emo, “babygang” etc.).

La diagnosi del disturbo antisociale di personalità può essere fatta in età adulta, ma spesso i segni di questo disturbo sono già presenti durante l'adolescenza. È essenziale riconoscere i segnali precoci e cercare un'adeguata valutazione e supporto terapeutico per prevenire problemi futuri. In alcuni casi, se il disturbo non viene trattato e il comportamento antisociale persiste, potrebbe esserci un aumento del rischio di coinvolgimento in attività criminali.

Partendo dal presupposto che, come per qualsiasi disturbo, non può essere individuato da chi non è un professionista in materia, con le dovute competenze, qualora si avesse il sospetto che una persona cara, come una mamma o una moglie, abbia un qualche sintomo, cosa si potrebbe fare? Come si potrebbe aiutare la persona in questione, senza farla sentire giudicata, dandole il giusto supporto?
La cosa più utile in termini generali è proprio distaccarsi dall’idea che vi siano persone “sbagliate” in senso assoluto, aprendo le porte alla diversità: ciò non significa ignorare la legge o accettare qualsiasi tipo di movimento umano nel mondo, ma evitare di esacerbare le difficoltà altrui utilizzando teorie di senso comune (riferimento teorico: profezie che si autoavverano). Può essere d’aiuto annotarsi quelli che sembrano cambiamenti nei comportamenti e nelle emozioni della persona, da condividere con lei (mai in modo denigrante) o, meglio ancora, con un professionista.

Qual è il ruolo della terapia cognitivo-comportamentale?
La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è una delle terapie più utilizzate per trattare il disturbo antisociale di personalità. La TCC si concentra sulla comprensione e sul cambiamento dei modelli di pensiero e dei comportamenti disfunzionali. Può aiutare la persona a identificare e affrontare i pensieri e i comportamenti negativi, migliorando l'adattamento sociale e riducendo i comportamenti impulsivi.

L'efficacia della TCC varia da persona a persona e può dipendere dalla gravità del disturbo e dalla motivazione del paziente a impegnarsi nel processo terapeutico. In alcuni casi è valida come trattamento primario, ma rischia di non essere sufficiente per modificare in termini generali il modo che la persona usa per ragionare e per leggere sé e il mondo (risoluzione del singolo problema vs miglioramento olistico delle capacità di ragionamento: contenuto vs processo). Talvolta alla terapia psicologica viene affiancata quella farmacologica.

Quale potrebbe essere la parte più difficile? Chi ha un disturbo, in genere, non si rende conto di averlo, perché pensa che tutti vedano il mondo allo stesso modo. In questo caso specifico, la difficoltà potrebbe essere ancora maggiore per la scarsa empatia e la difficoltà a mettersi nei panni degli altri. È corretto?
Ci siamo detti che un disturbo non è qualcosa di esistente o fattuale, ma un modo per leggere i comportamenti umani. Alcuni approcci psicologici sostengono che le persone con questo disturbo tendono a giustificare i propri comportamenti o a incolpare gli altri per i loro problemi. Di conseguenza, possono rifiutare o negare la possibilità di avere un disturbo e potrebbero essere resistenti a cercare aiuto (rendendo più complicato avviare un percorso di trattamento).

Se le risposte che arrivano dall'altro lato sono unicamente il rifiuto e la negazione, quale consiglio si potrebbe dare?
Il consiglio principale è quello di rivolgersi a un professionista della salute (mentale...), che si occuperà di “entrare” nel mondo di quella persona, anziché limitarsi a giudicarla dall’esterno. La psicoterapia è un percorso che si intraprende con l’altro, non che si applica sull’altro: prima di tutto bisogna conoscere e comprendere come la persona si muove nel mondo; solo in seguito è possibile presentarle delle strade alternative e accompagnarla nella loro sperimentazione.

disturbo antisociale

Parte 2. Disturbo antisociale di personalità: profilo penale - Intervista a Patrizia Chippari 

Cosa sono i disturbi mentali nel processo penale?
Per affrontare tale argomento occorre partire dal presupposto che la maggior parte dei criminali è perfettamente normale, da un punto di vista psichiatrico; l’anormalità può essere ricercata in vari fattori concomitanti o univoci: insufficiente socializzazione, inadeguatezza dei valori-guida, carenza morale.

Posto ciò, il Codice Penale prevede il Vizio totale di mente e il Vizio parziale di mente, ma il concetto di infermità è più ampio di quello di malattia. Per il Codice Penale, l’infermità è qualsiasi manifestazione patologica in grado di interferire sulla capacità di intendere e di volere.

Si ha:

  1. vizio totale di mente: se l’infermità comporta la totale perdita delle capacità di intendere e volere;
  2. vizio parziale di mente: se l’infermità è parziale.

Per aversi vizio di mente è sufficiente la parziale riduzione anche solo di una delle due funzioni.

In sede penale sono rilevanti:

  • il ritardo mentale;
  • le demenze;
  • le psicosi;
  • la schizofrenia;
  • il disturbo delirante (Paranoia);
  • le parafilie;
  • i disturbi dell’umore;
  • i disturbi di ansia;
  • i disturbi del controllo degli impulsi;
  • i disturbi di personalità, tra i quali troviamo anche il disturbo antisociale di personalità, nel quale i soggetti sono spesso inosservanti dei diritti altrui. Già da ragazzi compiono atti vandalici e sono ribelli. Fanno abituale ricorso ad alcol e droghe. Facilmente sono inseriti in ambienti di sottocultura giovanili. Questo disturbo rientra tra i disturbi di personalità più significativi e rilevanti nell’ambito penale ai fini dell’imputabilità, assieme a quello schizoide, paranoide, istrionico, sadico ed esplosivo intermittente.

Gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità. Diverso è il caso di disturbi mentali transitori, per i quali è prevista una minore imputabilità.

Occorre precisare che per essere effettivamente rilevante in sede processualpenalistico, il disturbo psichiatrico deve determinare l’incapacità di intendere e volere o limitare tale capacità all’atto della consumazione del reato.

Detto ciò, i disturbi sopra esaminati, quali ad esempio le parafilie, determinano un reato in senso proprio, mentre i disturbi di personalità delineano solamente l’indole dell’imputato.

Se ci sono dati statistici, quanti casi in Italia di persone che hanno commesso crimini, hanno un disturbo mentale conclamato (che può essere quello antisociale oppure anche altri), quindi hanno commesso condotte criminose per tale ragione?
Non esistono dati statistici ufficiali ed ufficializzati inerenti i processi aventi quali imputati soggetti incapaci di intendere e volere e/o affetti da patologie psichiatriche atte a diminuire tali capacità. Del resto, storicamente si rilevano ben pochi casi, quali ad esempio il caso Chiatti (il mostro di Foligno), Carretta ed il caso Maso, incapaci di intendere e volere.

Che crimini potrebbe commettere una persona con un disturbo antisociale?
Il soggetto affetto da disturbo antisociale di personalità sono inosservanti dei diritti altrui, delle regole e delle leggi. Già da ragazzi compiono atti vandalici e sono ribelli, disonesti: il soggetto mente, usa falsi nomi, truffa gli altri.

Sono impulsivi, irritabili e aggressivi, irresponsabili e incapaci di far fronte a obblighi finanziari o di sostenere un’attività lavorativa con continuità; hanno limitata capacità di provare dei rimorsi e addirittura non ne provano. Sono manipolanti al fine di avere un proprio tornaconto. Fanno abituale ricorso ad alcol e droghe.

Premesso quanto sopra, tali individui possono commettere i reati più disparati: danneggiamenti, truffe (sociopatici alienati), maltrattamenti su animali (sociopatici aggressivi), per giungere a maltrattamenti in famiglia, lesioni personali sino a sfociare nell’omicidio. La commissione di reati è l’unico modo conosciuto per raggiungere il loro scopo.

Quale potrebbe essere il ruolo della riabilitazione penale, quindi come si possono reintegrare questi individui nella società e quali sono le forme di aiuto psicologico/psichiatrico che il sistema italiano offre?
Innanzitutto occorre precisare che, in caso di accertata infermità mentale, generalmente è richiesto al perito di stabilire se il soggetto, reo ma non imputabile, sia socialmente pericoloso, cioè se possa reiterare i fatti che ha commesso (nel caso di soggetti imputabili, questa valutazione è fatta direttamente dal Giudice).

Nel caso in cui il soggetto autore di reato sia stato dichiarato infermo di mente ma non socialmente pericoloso, si provvede al proscioglimento per vizio totale di mente e il soggetto non subisce alcuna pena detentiva.

In caso di vizio totale accompagnato da valutazione di pericolosità sociale, si procede all’internamento del soggetto in Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG), in data 31 marzo 2015 sostituiti dalle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) o, se possibile, all'invio presso strutture di cura e riabilitazione psichiatrica ambulatoriali o residenziali. In caso di vizio parziale è prevista la riduzione di un terzo della pena.

È in questo senso che occorre valutare la riabilitazione: percorso e terapia psichiatrica, somministrazione di farmaci ove necessari, psicoterapia. Le Rems sono strutture atte alla riabilitazione degli internati con personale specializzato.

Terminata l’esecuzione della pena nelle REMS, il soggetto dovrebbe continuare ad essere monitorato, assistito, aiutato, curato dalle strutture locali territoriali, CPS (centro psicosociale delle ASL), dagli assistenti sociali e dal medico di base. Riprendo sempre i famosi casi italiani Chiatti, Maso e Carretta i quali, terminato il loro percorso riabilitativo, hanno ripreso una regolare vita sociale.