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Disturbo da stress post-traumatico: cos'è, sintomi, come uscirne

La morte, il dolore e la distruzione lasciano strascichi anche molto pesanti sulla salute mentale di chi è coinvolto, anche indirettamente: si parla proprio di disturbo da stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD). Ne abbiamo parlato con la professoressa Liliana Dell’Osso.

La morte, il dolore e la distruzione lasciano strascichi anche molto pesanti sulla salute mentale di chi è coinvolto, anche indirettamente: si parla proprio di disturbo da stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD). Ne abbiamo parlato con la professoressa Liliana Dell’Osso.

Ora che la guerra è arrivata fino alle porte dell’Europa, è impossibile non riflettere sulle sue conseguenze. Conseguenze in termini di vittime, danni a città e infrastrutture, effetti a catena sul sistema economico, ma non solo. La morte, il dolore e la distruzione lasciano strascichi anche molto pesanti sulla salute mentale di chi è coinvolto, in modo più o meno diretto. Si parla di disturbo da stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD) proprio per riferirsi al disagio mentale sviluppato in seguito a forti traumi. Ne abbiamo parlato con Liliana Dell’Osso, professoressa ordinaria di Psichiatria presso l'università di Pisa, direttrice dell'unità operativa di psichiatria dell'Azienda ospedaliero universitaria pisana (Aoup) e autrice di oltre novecento pubblicazioni scientifiche e numerosi saggi divulgativi.

Le cause del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) 

“Il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) è stato studiato per la prima volta negli Stati Uniti, sui veterani della guerra in Vietnam. È una condizione che può capitare a uomini e donne di tutte le età, dall’infanzia fino alla vecchiaia. Il motivo scatenante, infatti, sta nell’aver vissuto in prima persona un evento traumatico, oppure nell’esserne stati testimoni diretti (è il caso dei soccorritori che intervengono dopo un disastro naturale) o, ancora, nell’essere familiari o amici stretti delle vittime.”

Quali sono i traumi che scatenano il disturbo

“Nella vita capita a tutti di passare attraverso situazioni spiacevoli. Si parla di disturbo da stress post-traumatico quando all’origine ci sono episodi indiscutibilmente gravi e dolorosi: 

  • guerre
  • pandemie
  • lesioni fisiche severe
  • abusi sessuali
  • violenze
  • incidenti automobilistici seri
  • catastrofi naturali
  • torture. 

Capita anche che il PTSD non sia la conseguenza immediata di un singolo trauma, ma derivi dall’esposizione ripetuta a molteplici episodi di violenza e degrado che continuano nel tempo. Per questo motivo, dopo molti anni di ricerche e dibattiti, l’ICD-11 (International Classification of Disease) dell’Organizzazione mondiale della sanità ha introdotto la diagnosi di PTSD complesso (cPTSD) ha aggiunto i quadri che si manifestino in seguito ad eventi traumatici meno gravi ma ripetuti nel tempo.”

Anche il lutto può causare il PTSD?

“Sin dalla precedente versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) dell’American Psychiatric Association, il primo criterio che descrive la natura dell’evento traumatico contemplava come esso potesse non essere vissuto direttamente dall’individuo ma riguardare eventi subiti da familiari o amici stretti, inclusa la morte improvvisa e traumatica di uno di essi. Sebbene il manuale tenesse conto solamente della morte ‘traumatica e/o improvvisa’, certamente la morte di un caro rientra a pieni termini nella definizione di evento vitale stressante, e talvolta addirittura traumatico, soprattutto quando viene esperito da un individuo con una vulnerabilità psichica”, spiega la professoressa Liliana Dell’Osso. 

“A rimarcare il possibile ruolo patogeno del lutto, inoltre, nella nuova edizione del DSM uscita questa primavera (il DSM-5-TR), è stata introdotta nel capitolo dei disturbi correlati al trauma la categoria diagnostica di disturbo da lutto prolungato, che si riferisce a quelle condizioni in cui la fisiologica reazione da lutto non si risolve e cronicizza, accompagnandosi a un corteo di sintomi invalidanti”.

La crisi climatica peserà anche sulla nostra salute mentale

Parlando di catastrofi naturali, è impossibile non pensare alle drammatiche conseguenze dei cambiamenti climatici: dalla California che va a fuoco dopo infiniti mesi di siccità fino alle centinaia di morti per le piogge monsoniche nel subcontinente indiano. “Gli eventi meteorologici estremi quali terremoti, uragani, tsunami ed esondazioni costituiscono traumi a pieno titolo capaci di scatenare la sintomatologia da stress post-traumatico. A questo proposito, presso l’università di Pisa a partire dal 2010 ho stabilito una collaborazione con l’università di L’Aquila sul PTSD nei sopravvissuti al terremoto del 2009”, fa presente la professoressa. 

“In un contesto di grandi cambiamenti climatici, come quelli degli ultimi anni, questo tipo di catastrofi si stanno manifestando in aree geografiche dove prima erano pressoché inesistenti, abitate da popolazioni che non hanno avuto modo di sviluppare resilienza e strategie di supporto ed adattamento. Inoltre, alla luce del sopracitato concetto di PTSD complesso, anche eventi meteorologici significativi ma meno estremi possono influire sullo sviluppo della sintomatologia in soggetti vulnerabili, soprattutto se ripetuti (va posta attenzione su zone particolarmente a rischio) ed inaspettati”.

I sintomi del disturbo da stress post-traumatico

Quali sono, dunque, i sintomi? “Il disturbo da stress post-traumatico è una condizione complessa, associata a sofferenza psichica e compromissione del funzionamento, poliedrica nelle sue manifestazioni e caratterizzata da sintomi presenti anche in altri disturbi mentali che ne rendono spesso difficile e non univoca la diagnosi”, sottolinea la professoressa. 

“Una caratteristica peculiare del PTSD è che le persone affette esperiscono la comparsa di ricordi improvvisi, flashback, in alcuni casi anche molto vividi, come se l’individuo fosse nuovamente all’interno dell’evento traumatico o se questo si stesse ripetendo. A questo si associa la spinta, da parte del soggetto, ad evitare qualsiasi tipo di stimolo associato all'evento. Vi sarà poi la tendenza a reagire in modo esagerato a qualsiasi stimolo, a causa di una aumentata reattività e attivazione che può esitare in esagerate risposte di allarme o facili scoppi di collera”, continua.

“D'altra parte, specialmente nei casi cronici, possono essere presenti anche sintomi più subdoli, in apparenza non direttamente collegati a un evento specifico, ma a una diffusa alterazione in senso negativo della sfera emotiva e cognitiva, con distacco dagli eventi e dagli affetti, vissuti di colpa, visione negativa di sé stessi e del mondo, oppure comportamenti maladattativi quali l’utilizzo di alcol e sostanze stupefacenti”. 

Il disturbo acuto da stress (DAS) 

Cercando informazioni sul disturbo da stress post-traumatico, capita di imbattersi anche in un’espressione che a prima vista può sembrare simile: disturbo acuto da stress (DAS). Anch’esso è la reazione a un evento traumatico che il soggetto ha vissuto in prima persona o indirettamente (perché ne è stato spettatore, oppure perché è accaduto a una persona cara). 

Se è così, come si fa a distinguere queste due condizioni? “La principale differenza tra il DAS ed il PTSD è il criterio temporale. Nel DAS i sintomi compaiono solitamente immediatamente dopo il trauma, hanno breve durata: è necessaria la loro persistenza per almeno tre giorni per poter soddisfare il criterio diagnostico ma devono altresì risolversi nell’arco di un mese, con ritorno a un buon funzionamento sociale e lavorativo”, spiega la professoressa Liliana Dell’Osso. 

“Il quadro è spesso piuttosto variabile col passare dei giorni e può essere particolarmente frequente la presenza di sintomi dissociativi, come depersonalizzazione e derealizzazione, o amnesie psicogene. In caso di mancata risoluzione della sintomatologia, il DAS quindi evolve in PTSD. D'altra parte, non tutte le forme di PTSD iniziano con un DAS: i sintomi possono svilupparsi anche più gradualmente ed essere pienamente espressi anche più di sei mesi dopo l'evento”, precisa.

La diagnosi di disturbo da stress post-traumatico

Abbiamo visto che le cause del PTSD sono diverse, così come le manifestazioni e i possibili approcci terapeutici. Se è così, però, come fa il paziente a trovare il professionista più adatto ad aiutarlo? “Il paziente non può sapere da solo, in partenza, a chi rivolgersi, e prendere iniziative senza consulto può portare a peggiorare il problema, in alcuni casi con danni irreparabili”, puntualizza la professoressa Liliana Dell’Osso. “Come per tutte le branche della medicina, dunque, la cosa migliore e più immediata da fare è esporre il proprio problema al medico di famiglia, e farsi indirizzare da quest'ultimo allo specialista più adatto e più rapidamente accessibile nella propria zona. Sarà poi lo psichiatra a valutare il percorso terapeutico maggiormente indicato per lo specifico paziente, per le sue esigenze e necessità, coinvolgendo eventualmente anche più figure per lavorare su diversi fronti”. 

Quali sono le terapie per il disturbo da stress post-traumatico

Le linee guida suggeriscono tre possibili approcci terapeutici:

  • Psicoterapia. Alcuni terapeuti optano per la terapia dell’esposizione: ciò significa che invitano il paziente a immaginarsi in situazioni vicine al trauma subìto, per esempio nello stesso luogo. Uno dei metodi è l’EMDR (desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari), con cui il paziente segue il dito del terapeuta in movimento mentre si immerge con la mente nella situazione che l’ha fatto soffrire. Se svolto con gradualità e nei tempi adeguati, questo metodo può aiutare a ridurre l’ansia.
  • Terapia farmacologica, attraverso medicinali che vanno prescritti necessariamente da un medico.
  • Un approccio combinato in cui le due strategie entrano in sinergia tra loro.

“Ognuna di queste strategie si può declinare in modo differente a seconda della necessità. Per effettuare una scelta, bisognerà tener conto non solo della presentazione della patologia, delle sue caratteristiche e della sua gravità, ma anche dei possibili disturbi in comorbidità, compresi quelli di medicina generale, dei possibili sintomi sottosoglia e degli aspetti di vulnerabilità individuale oltre che, naturalmente, dell'assetto neurobiologico e personologico del soggetto”, conclude la professoressa Liliana Dell’Osso. “Questa complessità, riflesso della variabilità individuale e delle multiformi presentazioni della patologia psichica, non è riducibile a una griglia di casi tipo, poiché ogni caso è unico e richiede una valutazione specifica che risulterà in una terapia mirata, diversa per ogni soggetto (secondo l’attuale modello della precision medicine)”.

Foto in apertura: bialasiewicz / 123rf.com