Editoriali

Una nuova rivoluzione in Iran, è appena cominciata. E sta partendo dalle donne.

Una nuova rivoluzione in Iran, è appena cominciata. E sta partendo dalle donne.

Mattina. Vestizione. L’abito, lungo, a coprire gambe e braccia. Poi l’hijab: vorresti lasciar fuori una ciocca dei tuoi lunghi capelli neri, vezzo che concedi ogni tanto alla vanità… ti trattieni. Vietato. Esci. Lo vedi. Ti viene di corrergli incontro, baciarlo, stringerlo lì lì, per strada… desisti. Vietato. Allora gli sussurri, piano, le parole di una canzone d’amore, attenta a che gli altri non ti sentano cantare. Vietato. Guardi uomini a cavallo su motociclette rombanti, immagini di essere tu al loro posto, il vento che ti scompiglia tutta, quella sensazione di libertà… Vietato. Persino ballare (per le donne) è vietato.

Ho chiesto com'è oggi essere donna in Iran a Shirin Abedinirad, visual artist e scrittrice iraniana emigrata nel 2021 negli Stati Uniti perché: “lavorare nel mio Paese come artista, indipendente, donna, era diventato troppo difficile”.

Shirin ha vissuto un anno in Italia dopo aver vinto la borsa di Studio messa a disposizione da Fabrica, il centro ricerche fondato da Luciano Benetton e Oliviero Toscani: “Ricordo che indossavo quasi solo abiti rosa o rossi… una delle mie amiche italiane mi fece notare che non era molto “elegante” … Allora io le ho parlato delle restrizioni che ho subito da bambina. Non ci era permesso indossare colori accesi a scuola. Una volta avevo un cappotto rosa… lo adoravo. Mi hanno fermato proibendomi di metterlo”. Ascoltandola mi è tornata in mente Manna, una delle protagoniste di "Leggere Lolita a Theran" di Azar Nafisi (bellissimo romanzo del 2003 che è arrivato il momento di leggere (o rileggere): "La Repubblica islamica ha involgarito i miei gusti in fatto di colori, ho solo voglia di colori sfacciati, il fucsia e il rosso pomodoro, sono troppo affamata di colori per vederli come un'espressione poetica da scegliere con cura".

Shirin è nata in Iran sotto il regime dello ayatollah Khomeini. Lo stesso regime che ha introdotto l’obbligo del velo per le donne a partire dai 9 anni di età, in vigore dal 1981, abbassando a 9 anni anche l'età del consenso per fare sesso (in quasi ogni altro luogo a questo mondo se vai a letto con una bambina di 9 anni finisci in galera, in Iran no). Il medesimo che ha vietato per diversi anni l’uso di cosmetici per strada, autorizzando le guardie a rimuovere il rossetto con una lametta. Da allora troppo poco è cambiato. Dopo l’elezione a presidente di Ebrahim Raisi il controllo sui corpi delle donne, fondamento di regimi oppressivi e misogini come quello iraniano, è rimasto costante: “Adesso possiamo insinuare un po' di colore nelle nostre smorte "divise"… mostrare un po' dei nostri capelli, mettere lo smalto sulle unghie. Ma le leggi cambiano molto velocemente. Capita che il Governo ci conceda un po' di libertà … per poi togliercela poco dopo. All’illusione segue il disincanto. Questo è il loro modo per tenere le persone in silenzio”, mi racconta Shirin.

Il silenzio, finalmente, sembra essere cessato. Molto rumore, adesso, viene dall’Iran, dopo che Mahsa Amini, 22 anni e tutta la vita davanti, è stata assassinata dalla polizia morale iraniana perché non indossava il velo come prescritto. L’hanno arrestata per strada, mentre, in vacanza a Tehran, faceva la spesa con la famiglia… ficcata a forza in un furgone della polizia religiosa: “È molto comune arrestare le donne - spiega Shirin - ci sono drappelli di uomini e donne su fuoristrada bianchi appostati nelle strade e nelle piazze principali di Teheran e delle altre città iraniane. Il loro compito è accertarsi che le donne si vestano in maniera adeguata, non si trucchino, non si mostrino in pubblico in compagnia di uomini che non siano i rispettivi padri, fratelli o mariti. Di solito le arrestano, le chiudono in un centro di rieducazione, chiamano le famiglie o i genitori che portano loro vestiti più adeguati e poi le lasciano andare. Occhio: non le fermano perché non indossano l'hijab, ma perché non lo indossano correttamente! Se non indossi l'hijab vai direttamente in prigione”. 

Sono migliaia le donne rinchiuse nelle carceri iraniane per motivazioni che non riusciremmo neanche a concepire... Artiste, giornaliste, intellettuali che hanno avuto il coraggio di esprimere la loro voce o il loro talento contro il regime. Vittime di abusi e violenze sessuali volte a spezzare la loro volontà. Ma qualcosa, forse, sta per cambiare. C’era un fuoco, ardente e vivo, che covava sotto le ceneri: Mahsa lo ha riportato in superficie.

Mahsa ha acceso proteste e manifestazioni le cui proporzioni sembrano essere eccezionali. Eccezionali anche perché, ha commentato la giornalista e attivista iraniana Masih Alinejad, «questa è la prima volta che le donne non sono sole. Adesso gli uomini, molti uomini, combattono al loro fianco, per i loro stessi diritti». Era ora.

Donna, Vita, Libertà - Jin Jiyan Azadi

Sono le parole di una canzone curda, dolce nenia di addio intonata da molte donne il giorno dei funerali di Mahsa, nella sua città natale, a Saqqez, nella provincia del Kurdistan (Iran occidentale).

Sono lo slogan delle proteste che stanno incendiando il Paese.

Secondo le organizzazioni umanitarie, le vittime della repressione governativa sarebbero arrivate a più di 200. Tra queste Hadis Najafi, 23 anni, ammazzata con sei colpi di pistola: al collo, al seno, al viso, mentre manifestava a Karaj.

La notte della sua morte Hadis ha girato un video prima di andare in piazza: "Ora che sto andando,  penso che non vedo l'ora di rivedere questo video tra qualche anno, mi vedrò felice di aver partecipato a queste proteste, perché finalmente tutto sarà cambiato". 

Hadis era diventata celebre come "la ragazza della coda", protagonista di un video in cui, senza velo, si raccoglieva i capelli prima di andare a manifestare, questa versione poi è stata smentita dalla protagonista del video, che si è scoperto non essere Hadis.

Almeno 1.200 gli arresti: arrestata anche la figlia dell'ex presidente e venti giornalisti, tra cui Nilufar Hamedi, che per prima aveva dato notizia dell’arresto e delle violenze su Mahsa.

La morte di Mahsa ha scatenato reazioni di sdegno a livello internazionale. Manifestazioni di protesta in oltre 80 città del mondo fanno eco a quelle iraniane: da Berlino a Milano fino a New York e Toronto. Artiste, attiviste, personaggi dello spettacolo si schierano a difesa dei diritti delle donne iraniane.

«Rispetto per le donne dell’Iran, coraggiose, ribelli e senza paura» ha scritto l’attrice Angelina Jolie in un post su Instagram. «Tutte quelle che sono sopravvissute e resistono per decenni, quelle che oggi scendono in strada, Mahsa Amini e tutte le giovani iraniane come lei. Le donne non hanno bisogno che la loro morale sia controllata, che la loro mente sia rieducata, o che il loro corpo sia controllato. Hanno bisogno di libertà di vivere e respirare senza violenza o minacce».

Respirare. Riguardo in testa la scena di un film che mi è apparsa in questi giorni mentre scorrevo su Instagram le migliaia di post e video per e in memoria di Mahsa. L’urlo disperato di una donna iraniana che si sporge, alta, dal finestrino di una macchina gridando “Fuck youuuuu” (perdonate la mancanza di censura, non credo ce ne sia bisogno in questo caso). Come qualcuno che è stato a lungo in apnea, sott’acqua, sotto la vita, e finalmente riemerge, respira. Prende aria, tutta l’aria che può mettere in corpo. E urla, urla contro un regime che ti mozza il respiro. Il regime di repressione in Iran che ha ucciso l’Iran.

Il film è Critical Zone, di Ali Ahmadzadeh, arrestato (e poi rilasciato) il 30 agosto per motivi non chiari. Molto probabilmente per aver girato un lungometraggio non autorizzato dal governo iraniano.

Ho scoperto poi che la protagonista del video, la donna urlante, è proprio Shrin: “Le donne in Iran sono potenti, stanno superando molti limiti per raggiungere i propri obiettivi. Crescere in una situazione così repressiva ci ha fatto desiderare ardentemente di essere libere. Le donne sono l'albero della vita, secondo me, e prendersi cura di quest' albero si tradurrà nel mangiare il frutto della libertà sotto la sua ombra”.

Donne, vita, libertà.

Una nuova rivoluzione, forse, in Iran è appena cominciata. E sta partendo dalle donne.