Dall'origine della scelta al portafogli (che si svuota): ecco cosa devi sapere prima di diventare madre raccontato da una madre
Dall'origine della scelta al portafogli (che si svuota): ecco cosa devi sapere prima di diventare madre raccontato da una madreAvvertenze prima di iniziare: chi scrive è una donna che è diventata madre per la prima volta nel 2022 e per la seconda volta nel 2024. Due cuccioli di essere umano generati a 22 mesi di distanza. Non la più brillante delle idee, ma sicuramente - e a detta di molti - la più funzionale. "Cresceranno insieme" o anche "Tanta fatica all'inizio, ma poi sarà tutto in discesa". Chi è dentro questa sorta di meraviglioso incubo ad occhi aperti che è la doppia maternità a breve distanza, sa che non c'è alcuna frase che possa ristorare dalla immane fatica che avere due figli piccoli da accudire comporta. Tuttavia, non c'è bisogno di ingaggiare una competizione.
Avere due figli non ci pone su un gradino più alto rispetto a chi ne ha uno solo. L'odissea è la stessa. Siamo qui per raccontare cosa vuol dire davvero diventare madre nel 2025. Siamo qui per raccontare la maternità senza romanticismi. E io, senza falsa modestia, so di cosa stiamo parlando.
Maternità: obbligo o vera scelta?
Tutto inizia con le frecciatine dei parenti. Quando ti fidanzi? Fatto. Quando ti sposi? Fatto (o non fatto, a seconda delle scuole di pensiero). Quando fai un figlio? Fatto. Fai subito il secondo che poi non lo fai più. Fatto, però ora sono stanca. Eh, hai voluto i figli? Ora pedala.
Se anche tu sei diventata l'attrice protagonista di questo canovaccio da recitare a soggetto, saprai benissimo cosa significa diventare madri e non sapere se l'hai fatto più per soddisfare un input familiare, con le nonne che pregano di avere delle foto sullo smartphone da mostrare alle amiche mentre non ti aiutano a casa con i pargoli, o sociale, con i bombardamenti comunitari e mediatici che ci vogliono donne, mogli, madri, lavoratrici, tutto insieme, sempre al massimo.
In una logica di vita estrattivistica, pari quasi a quella che il capitalismo impone al nostro pianeta, abbiamo tirato fuori dai nostri lombi l'energia per compiere il nostro destino biologico. Magari lo abbiamo fatto tardi, superati i 40 anni, quando ormai quelle forze dovrebbero servire solo a concentrarci sul costruire i presupposti - economici, biologici e sociali - di una serena vecchiaia. Pertanto, quello che rimane dopo è assolutamente insufficiente a guardare in faccia le donne che eravamo prima di essere madri e che, giustamente, ci dicono: ehi, ma dove siamo finite?
Supporto: c'è o no?
I suddetti nonni, ansiosi di aderire anche loro allo stereotipo che li vuole disponibili e amorevoli nei confronti di ipotetici angelici nipoti, si ritrovano per casa dei normalissimi esserini vivaci, che smontano l'idillio nella loro mente, oltre alle loro case. Non sopportano di rimanere a disposizione per un tempo definito e necessario, in modo da permettere alle madri di lavorare quei 5-6 giorni a settimana che i contratti - precari o no - o semplici attività imprenditoriali richiedono.
Sono nonni moderni, che hanno lavorato, abituati a stare fuori casa e a ritagliarsi quel tempo per sé stessi che, diciamocelo, è un'invenzione moderna. Non ci sono più le nonne di una volta, mettetevelo in testa. Quel tipo di figure angelicate, tutte case e figli, si sono estinte con la sacrosanta emancipazione femminile, che ci ha portato ad autodeterminarci socialmente ed economicamente. Le nonne moderne sono tutte come Marcella Bella: forti, toste e indipendenti. E di stare appresso ai nipoti non ne vogliono sapere. Anche il minimo sindacale le stanca.
Dunque, pur nonni-dotate, si è costrette a ricorrere a servizi di baby sitting. Fare outsourcing dell'accudimento non è mai facile. Abbiamo bisogno di garanzie, referenze, curriculum in cui ci sia uno straccio di frase che assicuri che la ragazza è skillata. E invece no. Anche consultando le app specifiche, noti solo descrizioni generiche, che riferiscono di persone "amanti dei bambini", ma che non aggiungono altro. E ti devi fidare: perché devi scegliere in fretta. Magari il pupo non è riuscito a entrare al nido e tu hai un lungo anno da gestire. Chi trova una baby sitter brava trova un tesoro, che non si immagina nemmeno di voler condividere. E quindi è una caccia all'oro nel Klondike, con le neomamme che sognano le tate inglesi formate al Norland College di Bath e devono accontentarsi - magari! - della figlia della vicina che gira per casa col cellulare in mano.
Cosa dice il portafogli
La baby sitter è solo una delle voci di spesa che la maternità aggiunge al budget mensile. Fatte salvo le mancette di Stato, note anche come bonus (nido/maternità/figli, fate voi), sostenere l'arrivo di un neonato pesa. Tanto. Chi scrive vive al Sud, dove è radicata un'importante tradizione di salvaguardia sociale, fatta di regali alla nascita, oggetti e soldi lasciati in negozi appositi, dove - se la rete è forte e ramificata - è possibile ammortizzare un po' delle spese del primo anno. Dai pannolini alle prime pappe, quelle quote di denaro lasciate lì a dire "vi vogliamo bene", fanno la loro parte.
Il second hand aiuta. Non vi preoccupate se il body che indossa vostro figlio è di seconda mano: lui non se ne accorgerà. Gli basta solo che voi siate lì a metterlo con tutto l'amore che avete nel cuore. Il famoso villaggio, quando c'è, fa la sua parte anche in fatto di passaggio di giocattoli, libri e abbigliamento vario. Non vi formalizzate e accettate tutto l'aiuto e gli oggetti che vorranno donarvi. A fine mese, quei soldi risparmiati per l'acquisto dell'ennesima tutina da mettere per due settimane faranno la differenza. Certo, poi c'è il nido e, ancora più tardi, l'asilo da pagare e su quelli c'è solo da sperare che il calcolo dell'Isee sia benevolo perché è lì che dovrete farcela con le vostre forze, intese come quelle di mamma e papà.
Maternità e lavoro: storia di un amore tossico
Ammettiamo che i nonni vengano in supporto e tengano i pupi quando necessario. Ammettiamo di aver trovato la baby sitter perfetta e di non avere dunque un solo problema al mondo legato al dover intrattenere i bambini durante l'orario di lavoro, anche se ci sono gli imprevisti emotivi e le malattie da tenere in considerazione. Superato il congedo di maternità - che se si è lavoratrici con partita Iva può durare anche solo 15 giorni - è il momento di tornare in ufficio. Solo che vi accorgerete che la relazione con ciò che avete scelto di fare, con amore anche, è diventato un rapporto tossico.
Il motivo? Il vostro cervello potrebbe subire un improvviso sdoppiamento, in cui vi sentirete sempre a metà tra il voler tornare a casa quando siete al lavoro e un voler tornare in ufficio quando le cose col pupo si fanno difficili o insopportabili. Quando non avrete dormito, dovrete essere comunque performanti: il carnefice potrebbe essere il vostro superiore, di qualunque sesso, che magari non è sposato né ha figli. Quando i piccoli saranno ammalati, il vostro pensiero potrebbe essere occupato dal loro stato di salute e dal senso di colpa di non essere accanto a loro, a baciare la fronte che scotta e a raccontargli le favole.
Gli uomini non cambiano (oppure sì)
Ma in tutto questo quadretto gli uomini dove sono? Per lo più al lavoro. I pochi esemplari illuminati, allevati a pane e parità di genere, probabilmente discuteranno con la propria compagna su come gestire ferie, congedi e malattie pur di parcellizzare lo sforzo di allevamento e accudimento che costruire insieme, consapevolmente, una famiglia comporta. Le consoleranno dopo una giornata storta. Prepareranno la cena, senza bisogno di farsi spiegare tutto in stampatello, dall'accensione del gas al "dove sono le posate" in casa propria. Progetteranno momenti di svago per tutta la famiglia, fosse anche una passeggiata o un cambio pannolino esilarante.
Tutti gli altri sono lì, a fare chiacchiere da bar e a portare la pagnotta a casa senza altro pensiero che quello di essere in salute, riposati e concentrati. Si lamentano di non dormire, ma non si alzano di notte. Si lamentano di non mangiare più con calma, ma non imboccano la creatura. Si lamentano di non riuscire più a guardare un film, ma passano ore in bagno a scorrere il feed di TikTok. Fantascienza? No, (ancora) pura contemporaneità. E le donne che, nuovamente, si sentono dire "Hai voluto la bicicletta?" eccetera.
Ma cambiare è possibile. Basta "mettersi comode" e smettere di sopportare per intero il carico mentale che mandare avanti da sole una famiglia comporta. Responsabilizzare il partner - con percorsi condivisi o con metodi più "tranchant" se volete come buttare il cellulare fuori dalla finestra all'ennesimo compito richiesto e non svolto - è possibile. Anche solo in nome dell'amore o del mantenimento da versare che li manderebbe sul lastrico in caso di divorzio, cambiare è possibile. Io ci credo. Dobbiamo crederci, se non altro per andare avanti con questa faccenda chiamata genere umano.
Iena ridens o mater lacrimosa? L'equilibrio psicologico
Ma il vero problema della maternità resta solo uno: l'equilibrio psicologico. Tutto quello che abbiamo raccontato finora fa parte dell'arsenale puntato contro ogni neomadre, che mira a minarlo. Così se un giorno gli ormoni decidono di fare il loro lavoro, specie nel post partum, ci ritroviamo a gioire dei sorrisini di questi piccoli angeli, delle loro marachelle, dei loro progressi. Il giorno dopo, se le cose vanno particolarmente male, ci malediciamo per non esserci fatte chiudere le tube quando avremmo potuto.
In ogni caso, specie se l'equilibrio psicologico scricchiola un giorno sì e l'altro no, chiedere aiuto - qualsiasi tipo di aiuto - è doveroso. Lo è per noi stesse. Per i nostri figli, che meritano adulti consapevoli, stabili e responsabili, pronti ad allevarli. Per la società, che ha bisogno di persone strutturate, capaci di agire per il bene comune.
La maternità non è una passeggiata. Tuttavia, è una delle esperienze più appaganti e realmente impattanti che un essere umano può vivere durante tutta la propria esistenza. Allevare un essere umano, formarlo, permettergli di crescere, coltivarne la mente, le emozioni e le esperienze è un impegno titanico, ma incredibilmente gratificante. Fatica tanta, ma anche gioia e quell'amore incondizionato che a ogni "buonanotte" accompagna un tenero "ti voglio bene" sussurrato da piccole voci.
Per tutta la vita cerchiamo quell'unico essere in grado di amarci qualunque cosa succeda, che ci accetti così come siamo, che ci accolga in qualunque stato d'animo. Be', la verità è che quell'amore assoluto - persino pericoloso - può darlo solo un figlio. Di fatto, lo si potrebbe classificare come dipendenza emotiva, ma la realtà è che - almeno per i primi anni - lo è. E allora meglio approfittare di questo momento magico in cui darci anima e corpo a chi ci accetta completamente e ci gratifica con baci ed emozioni a raffica. Ci sarà tempo per gestire il distacco.
Scegliere di non percorrere la strada della maternità, alla luce di tutto quello che avete letto finora, è la scelta razionale più giusta da fare. Ma se la famiglia che avete costruito funziona, contiene risate e amore, e accompagna la scelta consapevole di voler moltiplicare questi sentimenti attraverso dei figli, fatelo. Buttatevi senza paura. Il modo per far tutto si trova purché la parola d'ordine resti una: insieme.
Foto di apertura: prostooleh su Freepik