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Alexa, bici courier: «La mia Milano in bicicletta durante la pandemia»

Il racconto di Alexa, bici courier donna che sfreccia nella città deserta durante la quarantena.

Il racconto di Alexa, bici courier donna che sfreccia nella città deserta durante la quarantena.

Sfreccia, Alexa, nella città deserta. Pedala lungo i viali alberati, attraversa le piazze vuote. Corso Venezia, Via Dante, poi Corso di Porta Ticinese... A Milano non si fanno più slalom tra le macchine o i pedoni. Sono spariti i capannelli di turisti davanti al Castello Sforzesco. In Piazza Duomo è rimasto solo Michele, un senzatetto che accudisce i piccioni. E i semafori, così come molte convenzioni stradali, in condizioni di anomalia sembrano svuotarsi di significato.

Va veloce, Alexa, sulla sua bici Cargo bianca. La divisa nera a pallini gialli/ciano/magenta, i capelli raccolti in una treccia perenne che fa capolino di lato, sotto il casco scuro. L'aria è fresca e buona, si chiede che schifo abbiamo respirato finora. L'odore dei fiori e del pane appena sfornato si mescola a quello dei disinfettanti.

Finalmente riesce a sentire la sua bicicletta, distingue il rumore dei pedali, il fruscio delle catene non si confonde più nel rombo dei motori. Sente se stessa e i propri pensieri. Si incanta a guardare gli scoiattoli che saltellano attorno alla sua bici, senza aver paura. A rompere, ogni tanto, questo silenzio innaturale, i nuovi rumori che scandiscono il tempo delle città deserte: le voci delle auto della protezione civile, le sirene che annunciano l'incremento della mesta contabilità della pandemia. E poi i latrati dei cani che si rincorrono di balcone in balcone, la polifonia di stoviglie che filtra dagli appartamenti. Il passo, lento e molle, dei tram vuoti che vagano come fantasmi sconsolati per la città.

Alexa, 26 anni, è una delle poche, pochissime donne courier italiane. Fa parte del silenzioso esercito dei ciclofattorini, che continuano a lavorare nonostante l'imperversare della pandemia.

Le abbiamo chiesto della sua Milano, in bici, ai tempi del coronavirus.

Come mai hai deciso di metterti uno zaino in spalla e pedalare?

«Mi sono trasferita a Milano più o meno quattro anni fa, quando ho conosciuto degli amici corrieri. Lavoravo in caffetteria, loro venivano a prendersi spesso il caffè da me. Ho chiesto a uno di loro se c'era la possibilità di fare questo lavoro. Ho finito col licenziarmi dal lavoro al bar decidendo di fare la courier a tempo pieno. Da qualche turno a settimana adesso sono passata a lavorare 5 giorni su 7».

Cosa rappresenta la bicicletta per te?

«La passione per il mondo delle bici è nata grazie ad alcuni amici che mi hanno “introdotta”. Così mi sono regalata una bici un po' più “professionale” e ho iniziato ad a partecipare a una serie di raduni per cicloamatori. Stare insieme, vagabondare fra le città sulle due ruote è diventato per me un modo per sfogarmi, scaricare tutte le tensioni, liberarmi. L'unico momento in cui mi calmavo, riuscivo a pensare meglio a tutto».

Se è normale, tant’è che non ci si fa quasi caso, vedere un corriere uomo che sfreccia nel traffico, una donna fa ancora un certo effetto. Il tuo è uno dei quei lavori considerati “da uomini, insomma”. Perché secondo te?

«Perché questo lavoro è innanzitutto una passione. La passione per la bici ce la devi avere alla base. Non è un problema di resistenza, forza fisica, ma di passione. Le donne, secondo me, questa passione ce l'hanno meno. Tra tutte le compagnie che ci sono a Milano possiamo contare 5 ragazze in totale. Io sono l'unica della mia società...»

Qual è il tuo rapporto con i colleghi uomini?

«Sia io che loro tendiamo a metterci sullo stesso livello, non mi trattano in modo diverso perché sono una ragazza. Porto lo stesso peso che possono portare loro. Non mi hanno mai escluso da lavori pesanti perché sono donna».

La realtà di Bici Couriers, la vostra mission in poche parole.

«Bici Couriers è un servizio di consegna in bicicletta indipendente e locale. Lavoriamo solo in bici trasportando carichi anche abbastanza pesanti per evitare emissioni di gas. Offriamo un servizio di consegna alternativo ed ecologico per rendere la nostra città un posto migliore in cui vivere».

In cosa vi distinguete rispetto ad altri servizi di food delivery (Deliveroo, Glovo, Just Eat)?

«Non siamo solo al servizio di food delivery, come corrieri in bicicletta lavoriamo anche con uffici trasportando documenti in giro per la città, per negozi e aziende. I rider di Deliveroo e Glovo sono mossi da un algoritmo, noi siamo mossi dal nostro capo che smista gli ordini in giro per la città. Spesso si tende a confondere rider e corrieri, ma siamo due cose diverse».

In quali zone della città ti muovi principalmente in bici?

«Mi muovo in tutta Milano, dal centro agli estremi. Via Novara, Rembradt, corso Vercelli, Corso Magenta. Cambio ogni giorno percorso a seconda delle consegne che mi vengono assegnate».

Avete più o meno consegne in questo periodo?

«Molte di più! Se non duplicato il nostro lavoro è triplicato. Le persone ricorrono a noi soprattutto per la consegna della spesa a casa, beni di prima necessità come frutta e verdura, carne, latte ...»

Come vivi la città vuota? Ti piace?

«Vedere Milano vuota è un po' inquietante. Milano è sempre stata piena di turisti, piena di cose da fare. Se non dopo le 10 di sera piazza Duomo non l'avevo mai vista vuota. La cosa che mi rimane di più impressa è il silenzio. Passando dalle grandi vie come Via Dante per arrivare a Piazza Cordusio, Duomo, Parco Sempione. Davanti al Castello prima era pieno di turisti, adesso non c'è nessuno. Dal punto di vista lavorativo è molto più facile girare, non si creano file ai semafori e sei tu la prima a partire».

I rumori che senti?

«Gli unici rumori che sento sono i flash mob dai balconi, il brusio delle persone che parlano, la canzone che parte quando passi e che ti mette un po' di allegria. Diciamo che le persone si stanno tenendo occupate, si vede da fuori. Capisco noi che siamo sempre in giro e che vorremmo stare più a casa e capisco anche loro che stanno 24 ore su 24 da ormai tante settimane a casa».

Poi ci sono i rumori delle autoambulanze...

«E già. Ed è quasi più inquietante quando le vedi ferme... senza far rumore. Le luci accese ma ferme perché sono arrivate. Ecco, quello fa molto più “effetto”».

Ma i semafori li rispettate sempre?

«(Ride, n.d.r.) Beh, certo. Come siamo attenti quando c'è traffico siamo attenti quando il traffico non c'è».

Cosa ti manca di più della Milano di prima?

«La possibilità di stare all'esterno con i propri amici, ritrovarsi, andare in giro per la città ...».

La cosa che apprezzi di più in assoluto della Milano in quarantena.

«Dal punto di vista lavorativo l'avere più spazio, non dover più stare attenta allo spazio che occupo in strada».

Da quando è iniziato il lockdown a Milano e in Lombardia si respira meglio. La senti, la respiri l'aria nuova?

«Sì che la sento, e mi piace tantissimo! In alcuni momenti in giro per la città capitava che, aspettando che il semaforo diventasse verde, respirassi lo scarico della macchina davanti. Non proprio una cosa piacevole, insomma...».

Li hai visti i cigni che sono tornati sui Navigli?

«No, ma probabilmente ero distratta. In compenso un giorno un gruppetto di scoiattoli ha circondato la mia bici. Senza nessuna paura. Non mi era mai capitato finora...».

Come vivi il tuo lavoro in questo periodo... senti di star facendo un servizio alla comunità?

«Ne più ne meno di prima. La nostra azienda è aperta da 5 anni ormai, e l'impegno che ci metto in questo periodo è lo stesso che ci mettevo prima. È chiaro, adesso ci sono molte più consegne. Ma è un servizio per la comunità che la nostra azienda offre da 5 anni a questa parte».

In quanto rider sei molto più esposta di altri ai rischi del coronavirus. Hai paura? Di contagiarti, di contagiare ...

«No, non ho paura. Sto prendendo tutte le precauzioni possibili per proteggermi e per proteggere gli altri. Sicuramente mi piacerebbe restare a casa piuttosto che essere in giro ma c'è bisogno di questo adesso ed il lavoro che ho scelto lo faccio tranquilla».

Quali precauzioni stai prendendo?

«Fin da subito la nostra società ci ha dotati di guanti, mascherine e gel igienizzante. Giornalmente vengono anche disinfettate le bici a fine turno. Ci è stata data disposizione di evitare il più possibile il contatto con il cliente. Cerchiamo di parlare con quest'ultimo solo tramite il citofono. A volte lasciamo la consegna in ascensore. Altre volte, dietro la porta. Tutte tecniche di movimento che usiamo adesso per evitare il contatto».

In questo periodo molti tuoi colleghi sono stati vittime di aggressioni e furti durante le consegne. È capitato anche a te di sentirti in pericolo? Una specie di bersaglio mobile preda dei disperati o malintenzionati che sono per strada?

«Personalmente non mi è mai capitato. Ma ho sentito di colleghi che sono stati meno fortunati di me».

Cosa fai quando non lavori?

«Più altro mi riposo, essendo fuori 5 giorni full su 7 recupero tutte le energie che mi servono per la settimana successiva. Cucino dolci (mi piacciono tantissimo!), guardo serie tv e sto a letto tutto il giorno».

Immagino che ti sarai fatta dei muscoli d'acciaio!

«(Ride, ndr ) Sì in effetti sì: c'è chi lamenta che non fa la palestra e io faccio palestra (venendo pagata) tutto il giorno».

Come sarà la Milano (e l'Italia) post pandemia secondo te? Cosa cambierà? Cosa vorresti che cambiasse ...

«Non so quanto realisticamente potrà cambiare perché non appena ci sarà l'opportunità torneremo tutti a fare le stesse cose di prima. Continueremo a tenere un po' di distanza all'inizio ma torneremo alla Milano di prima. Ma spero con un po' di consapevolezza in più. Più rispetto per le strade. E anche più spazio per noi corrieri in bicicletta (Ci siamo anche noi per strada, notatelo!). Sarebbe bello che meno persone prendessero la macchina: si è visto che differenza ha fatto un mese con la macchina ferma. Se le persone imparassero ad usarla meno, a muoversi con altri mezzi come la bicicletta sarebbe meraviglioso».