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Nina Gigante: «Le mominfluencer non parlano solo di bambini»

Essere mamme è solo un aspetto della vita delle donne. Per questo abbiamo chiesto alla giornalista e scrittrice di gettare nuova luce su genitorialità, educazione social e qualche profilo smart da seguire

Essere mamme è solo un aspetto della vita delle donne. Per questo abbiamo chiesto alla giornalista e scrittrice di gettare nuova luce su genitorialità, educazione social e qualche profilo smart da seguire

Nina Gigante si definisce “writer feminist traveller mum”. Perché nessuno può essere davvero una cosa sola. Ne è lo specchio il suo profilo Instagram: un diario di viaggio in cui ha raccolto esperienze e lanciato appelli personali, poi diventati sociali. Il più importante è nato durante la pandemia, con le sale parto chiuse ai padri nonostante i vaccini e i green pass correttamente conquistati. Le abbiamo chiesto cosa significa essere una mamma influencer per lei che, nonostante non crei post sui migliori pannolini da scegliere, è un faro di speranza per tantissimi neogenitori in balia dell'inesperienza e dei sensi di colpa. Così le abbiamo chiesto qualche consiglio su come essere madri e padri consapevoli (anche nell'uso dei social), quali sono le battaglie da portare avanti e quali i profili – oltre il suo – in cui trovare orizzonti più ampi di quelli offerti dai post sulle colichette.

Chi è Nina Gigante

Origini pugliesi, Nina Gigante è nata a Trani, laureata in lettere moderne con una tesi sulla poesia contemporanea. Dopo il master Mondadori in editoria e giornalismo, si è occupata di ogni settore della filiera, dalla redazione all'ufficio stampa, passando per marketing e social network. Nel 2014 vola a Cambridge e, dopo qualche anno tra Londra, Barcellona, Amsterdam e San Francisco, nel 2017 torna in Italia con in tasca il master biennale in Holistic Nutritionist, Health Coach e Wholefood cook presso l'international Macrobiotic School.

Come mai la scelta di questo percorso?

Perché stavo male. Da ragazzina ho sofferto di disturbi alimentari. Non ho avuto il ciclo per 10 anni. Lo stress mi aveva portato a non assorbire più alcun nutriente. Attraverso le medicine orientali ho scoperto che il cibo poteva curare. Mentre studiavo, ho lavorato come chef di cucina naturale a Londra e poi ho iniziato a scrivere su alcuni magazine del rapporto tra alimentazione, emozioni e cibi che ci fanno stare meglio. Una ex collega de Il Saggiatore mi ha chiesto di scrivere di questi argomenti e ho iniziato la mia carriera nel giornalismo. Ho scritto anche di viaggi perché sono sempre stata nomade. Del resto essere nati sul mare dà orizzonti molto più grandi. 

Sei molto attiva su Instagram. Qual è il tuo rapporto con i social?

Il mio social d'elezione è Instagram perché, almeno all'inizio, teneva insieme due cose che mi piacciono: le parole e le immagini. Quando è nato, nel 2010, ho iniziato ad usarlo come un diario di viaggio, un luogo dove sfogarmi e ho continuato a usarlo anche quando sono rimasta incinta. Eravamo in pandemia. Io ero in una regione nuova, dove ho conosciuto il mio compagno, ho vissuto la mia gravidanza e il post partum. Ho partorito in piena zona rossa, mantenendo un rapporto aperto, quotidiano con Instagram. Qui ho combattuto forse la mia battaglia più importante.

Quale?

Quella del ritorno dei papà in sala parto. Quando dopo l'ultima visita mi hanno detto che il mio compagno non avrebbe potuto assistere, ho scritto un post in cui mi chiedevo: com'è possibile scoprire in modo quasi marginale che sarò sola a partorire? Niente diritti delle partorienti, dei padri e dei figli. Eppure avevamo i vaccini e i green pass. La provocazione social è rimbalzata ovunque. Spinta da questo clamore, ho raccontato quegli ultimi momenti prima della nascita di Arturo. Quando è nato, è stato quindi naturale raccontare anche quei primi momenti con verità, cercando di uscire dall'isolamento del post partum pandemico.

Cos'è per te la maternità social e come hai scelto di comunicarla?

Io e il mio compagnio ci siamo interrogati a lungo. Un conto è raccontare la maternità. Un altro è la rappresentazione di tuo figlio, collegato al racconto di prima, ma differente. Mostrare Arturo è stata una scelta precisa, quasi naturale, con dei filtri, naturalmente. Bisogna avere chiaro il fatto che i bambini sono esseri fragili e vulnerabili. Sta a noi avere la cura e l'attenzione necessarie verso di loro, oltre alla consapevolezza della non neutralità del mezzo. Sta al genitore averne coscienza. Oggi mi accorgo che tutto è molto cambiato, anche il mio rapporto con la piattaforma. Credo che sia necessaria una forma di educazione a questi strumenti.

In che modo?

Innanzitutto, bisogna mettere in chiaro che i nativi digitali non esistono. I cervelli dei bambini sono analogici. Vivono in un mondo digitale. Quindi va benissimo educarli all'uso degli schermi, ma anche gli adulti vanno educati. 

Qual è l'aspetto della genitorialità affrontato sui social a cui tieni di più?

Ci sono due argomenti. Il primo è il rientro al lavoro dopo la nascita di un bambino. In uno stato in cui il welfare è rappresentato per lo più dalla presenza dai nonni, tornare al lavoro è difficile. Basti pensare che solo 27 bambini su 100 trovano posto in un nido pubblico. Così questo diventa un momento complesso per le mamme, che si trovano schiacciate tra il lavoro e i figli. Questo aspetto si collega al secondo tema.

Quale?

I papà. Perché il problema esiste anche per loro. Oggi si parla tanto di congedi, ma basta pensare che in Italia siamo passati da 7 a 10 giorni, che nella vita di una mamma sono niente. Pensare che la figura paterna possa essere d'aiuto solo nei primi 10 giorni di vita del nascituro è grottesco. Secondo me il congedo non dovrebbe essere funzionale a supportare la madre, ma dovrebbe sostenere la creazione e il mantenimento della relazione padre-figlio, altrimenti non riusciremo mai ad avere un'idea di genitorialità condivisa. Se addossi al padre il compito di lavorare, come si può pensare che lo stesso si faccia carico dello sviluppo emotivo del bambino? Questo sistema va scardinato. In più, create le leggi, bisogna fare un altro passo.

Cioè?

Creare una cultura della genitorialità maschile, del diritto alla paternità. Il mio compagno deve poter mettere a letto mio figlio senza pensare che ci sia una call a cui si sta mancando.

Mominfluencer. Come essere d'esempio nel modo giusto?

Partendo dall'assunto socratico del “so di non sapere”. Quando ho raccontato le sale parto chiuse, tante mamme hanno iniziato a seguirmi chiedendo dei suggerimenti. Lì ho capito che siamo tanto sole e prive di quel villaggio necessario per crescere un bambino di cui si parla tanto. Questo è un fallimento per la società. Significa che non c'è una rete di supporto a cui credere. Quindi ci deve essere l'intelligenza e il buon senso di sentirsi alla pari e di rimandare la palla alle fonti di informazione corrette, come i pediatri. Bisogna avere l'umiltà di dire “non ho le risposte, posso solo raccontarti la mia esperienza, ricordando che ogni bambino e ogni genitorialità è diversa”. Ognuno di noi deve cercare la propria strada, ascoltare i propri bambini e scoprirsi come genitori. Ogni scelta che noi facciamo nella vita deve renderci più liberi, non infilarci in una nuova gabbia. Dato che noi genitori abbiamo tantissime gabbie, meglio alleggerirsi dai sensi di colpa.

Quali sono i limiti da non superare?

Non mostrare i bambini nei momenti di fragilità: bisogna ricordarsi che sono esseri umani in una posizione di svantaggio. Nei primi anni di vita hanno bisogno di attenzione e presenza, e i social sono una distrazione per noi genitori. Meglio dimenticare il cellulare in borsa e dedicarci a questi bambini. 

Fuori i nomi. Quali sono le mominfluencer che suggerisci di seguire?

Tegamini, Zuccaviolina, Lateladicarlotta, Elisa Pella e Valentina Raffaelli. Non sono mamme influencer tout court, ma persone intelligenti, che creano contenuti altrettanto intelligenti, in cui parlano anche dei propri figli, ma sempre per spingersi oltre, in un racconto che non è mai fine a se stesso. È un'attività in cui mi ritrovo. Avere un bambino cambia il proprio lavoro, la narrazione di noi stessi. E questi profili includono i bambini in una relazione più ampia con la quotidianità. Le mamme influencer rendono i bambini il perno della loro comunicazione, mettendoli al centro di tutto. Un profilo che parla solo dell'essere madri offre un taglio parziale su cosa significa essere donne.    

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