Divertimento
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Lulu Rimmel, la cantante con corpo di bambola e cuore appassionato

Veronica Tulli, in arte Lulu Rimmel, è costretta in carrozzina per una forma di osteogenesi imperfetta. La sua voce è diventata il cuore di un documentario. 

Veronica Tulli, in arte Lulu Rimmel, è costretta in carrozzina per una forma di osteogenesi imperfetta. La sua voce è diventata il cuore di un documentario. 

Cantare è più forte di qualsiasi cosa, della sua carrozzina, degli ormai tiepidi rimproveri dei genitori. Veronica Tulli ha 30 anni e ormai è un'artista con ben due performance. Una nei panni della bambola gotica Lulu Rimmel, l'altra in quelli di se stessa, una ragazza come le altre, che va all'università e fa musica con il suo fidanzato, suonando l'ukulele. L'unica differenza sta nelle due ruote che l'accompagnano ovunque vada (anche quando guida lei).

Veronica Tulli è affetta da osteogenesi imperfetta, una patologia anche nota come “ossa di vetro”. Proprio come Chiara Bersani lei ha trasformato il suo corpo in un mezzo d'espressione, un modo per mostrare all'esterno tutto il talento e la gioia di vivere che si ha dentro.

«Ci sono delle soluzioni, sempre», forse anche alle ossa di vetro, con cui si convive ma da sopra un palco. «Se uno ha un'idea che vuole portare a termine deve necessariamente combattere per quella idea». Ecco chi è Veronica Tulli in arte Lulu Rimmel.

«Sono una cantante, ma lo sarei anche se non avessi una malattia genetica». Hai raccontato che canti da quando hai memoria, ma che hai iniziato a studiare a 17 anni con il preciso intento di migliorare.

Cos'è per te la musica?
Ho iniziato perché volevo approfondire qualcosa che mi piaceva fare. Volevo studiare per darmi una completezza che da sola non sarei riuscita ad avere. La musica è una componente molto importante della mia vita, lo è sempre stata. Mi piace farla e ascoltarla. È una compagna di vita, anche nelle faccende quotidiane, la ascolto mentre mi preparo per uscire di casa. Mi lascio guidare dall'umore nella scelta. Tra gli altri, mi piacciono Marylin Manson e i Beatles, i Queen ed Elton John, mi piace molto il metal e anche autori emergenti.

Chi è Lulu Rimmel?
Ho inventato questa bambola che suona l'ukulele per un'esigenza artistica. Con questo personaggio con cui faccio cover, reinterpreto brani in modo dark. Anche la scelta dell'ukulele ha un motivo preciso. Volevo qualcosa che fosse semplice da suonare e dovevo scegliere se spendere dei soldi per avere uno strumento personalizzato, poi l'ukulele mi ha offerto la risposta. Guardando un tutorial su YouTube ho pensato che sarebbe stato interessante suonarlo.

Chi è invece, musicalmente parlando, Veronica Tulli?
Cono una cantautrice che esegue i suoi brani in duo acustico con Guido, il mio fidanzato. Io scrivo e lui arrangia i pezzi. Quando mi esibisco come Veronica, anche l'approccio con il pubblico cambia.

Ti vesti da bambola gotica e sali sul palco, dove il pubblico resta incantato da te e dalla tua voce. Com'è stare lì, con i riflettori puntati addosso, che sensazione ti dà?
Adesso mi sembra una cosa molto naturale, mi piace molto, mi è sempre piaciuto. Mi emoziona in positivo, non mi impietrisce. Mi piace la scoperta del palco - perché ogni palco è diverso -, così come il pubblico. Quando sono lì, cerco di darmi tanto: magari nella vita sono estroversa, ma lì mi do tanto di più.

Come hanno affrontato la tua carriera i tuoi genitori?
Mi hanno sempre appoggiato, in tutto. Ho due genitori che mi hanno molto lasciata fare perché si fidano del mio modo di vedere le cose, di valutarle e perché non è mai capitato nulla che potesse fargli pensare che io sia una persona irresponsabile. Se non mi avessero incoraggiato però, io lo avrei fatto lo stesso. Perché è importante farcela lo stesso.

Cosa intendi dire?
Mia madre non è favorevole al fatto che io mi sia fatta tutti questi tatuaggi, ma io li ho fatti lo stesso. Sbagliare è formativo: se mia madre mi avesse tenuto in casa dopo la prima frattura, a 18 anni sarei scappata. Mi rendo conto che in altre famiglie può essere più difficile, ma da qualche parte bisogna pur partire. Mia madre non voleva che prendessi la patente, poi a 23 anni le ho detto che se non mi avesse accompagnato, avrei preso un taxi e ci sarei andata lo stesso. Bisogna avere anche un po' il coraggio di prendere una posizione. Una cosa, se la vuoi, te la vai a prendere.

Come scegli i tatuaggi con cui adornare il tuo corpo?
Ogni tatuaggio ha un suo perché. Oltre che per l'abbellimento, mi piace la filosofia che c'è dietro quella che ritengo una forma d'arte. Mi piace che si vedano. Scelgo sempre qualcosa che mi rappresenti, anche in piccola parte. Quelli più evidenti sono una serratura a forma di cuore e lo stregatto sulle mani. Sulle dita, ha fatto molto male, ma era per coprirne uno più piccolo. Alcuni sono un po' macabri...

Sotto questa pelle riccamente decorata, ci sono le tue "ossa di vetro": com'è la convivenza con questa patologia?
Sono affetta da osteogenesi imperfetta, volgarmente detta la patologia delle “ossa di vetro”. Nel mio caso specifico ho difficoltà a camminare, a stare in piedi e per questo la disabilità per me è rappresentata dalla sedia a rotelle. Devo fare numerosi controlli, convivo con i dolori muscolari e quelli alle ossa. Cose spiacevoli, a cui però sono abituata. La mia disabilità rende il mio corpo diverso da quello degli altri, ma nemmeno tanto: ormai siamo abituati a cose più stupefacenti.

Cos'è per te la disabilità?
La mia disabilità non è mai stato un impedimento a diventare quella che sono, mi ha insegnato tante cose. Se io sono piccola, cerco di trarre vantaggio da questa condizione e la uso per diventare Lulu Rimmel. Mi piace molto giocare con il pregiudizio delle persone: non me la prendo se mi dicono “Che piccolina!”. La cosa che mi dispiace di più è quanto le persone lontane dalla disabilità pensino che non faccia parte del loro mondo, che lo guardino sempre con troppo distacco. La disabilità è in relazione a tutto il mondo, è anche un problema loro.

Che effetto ti ha fatto essere inclusa nel documentario di Antonio Di Domenico, Cuore Di Bambola?
È stato molto emozionante, soprattutto perché è stato un percorso in divenire. All'inizio dovevano essere due o tre giornate di riprese, poi Antonio ha voluto incentrare il documentario più su di me. Mi sono dimenticata delle telecamere intorno e ho reagito in maniera spontanea. Alcune scene sono state un po' ricostruite, come l'incontro con Guido [con cui sta da un anno e mezzo, ndr.], ma lo abbiamo fatto in modo libero. Alla fine le riprese sono durate due anni.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sono in cantiere un disco, un piccolo punto per chiudere le prime canzoni che abbiamo fatto insieme io e Guido. Sarebbe un bel traguardo. Poi mi piacerebbe molto viaggiare in Italia e all'estero, avere la possibilità di spostarmi e suonare in giro.